martedì 9 dicembre 2025

Una guida al folk progressivo in 10 atti


Le band folk e folk rock sono responsabili di alcune delle musiche più progressive mai realizzate. Non solo, ma hanno influenzato il mondo del rock come lo conosciamo noi.

È una scienza imprecisa cercare di definire la musica per categoria e genere. Gli artisti si scagliano contro di essa, i critici si sforzano di inchiodarla nei termini più semplici, nelle definizioni più comode e nelle frasi ad effetto. Ma, in definitiva, è utile cercare di spiegare il legame che artisti apparentemente diversi possono condividere. Quindi, che tipo di folk è questo genere che chiamiamo folk progressivo?

Bene, esattamente questo: gruppi folk e artisti che hanno osato espandere i propri orizzonti rispetto al formato tradizionale. Nel profondo, la musica folk urla tradizione. Le canzoni folk vengono tramandate di generazione in generazione. Sono canzoni cantate nei pub e nei salotti di tutto il mondo. In quanto tale, la vera musica folk è un importante strumento storico.

Un contestatore al Manchester Free Trade Hall il 17 maggio 1966 chiamò Bob Dylan "Giuda" per aver osato espandere le sue radici folk, abbandonare la sua acustica malconcia e prendere e collegare una chitarra elettrica, ma in verità il folk è spesso stato tra le forme di musica più progressiste. Doveva esserlo, semplicemente per sopravvivere così a lungo. La musica ha dovuto cambiare con i tempi.

Ai tempi in cui non c'erano le chitarre, la musica folk veniva cantata a cappella di default. Poi a volte veniva cantata a cappella di proposito. Poi, quando la tecnologia ci ha portato chitarre, mandolini, pianoforti, chitarre elettriche, sitar, mellotron e migliaia di altri strumenti, la musica folk poteva essere suonata su qualsiasi cosa.

Gli artisti folk sono al centro delle forme di musica rock. Ammettiamolo, senza folk e blues non ci sarebbe il rock'n'roll. Senza l'innovativo lavoro di chitarra di Bert Jansch dei Pentangle o l'intrigante modo di suonare di Roy Harper, i Led Zeppelin avrebbero probabilmente avuto un suono molto diverso. Se Rick Wakeman non avesse iniziato la sua odissea musicale con gli Strawbs e non avesse abbracciato la loro natura progressiva, sicuramente gli Yes sarebbero stati una bestia dal suono completamente diverso.

Probabilmente la rock band più influente e grande del mondo avrebbe potuto svilupparsi in un modo totalmente diverso se non si fosse incrociata con un folk progressivo. Se Donovan non avesse ampliato le sue prime inclinazioni folk e non si fosse seduto a suonare la chitarra con John Lennon e George Harrison, i Beatles, forse, non avrebbero suonato come la band che conosciamo oggi.

I folk progressisti non avevano (e non hanno ancora) paura di sperimentare, sia vocalmente, sia nei testi, sia in termini di arrangiamento, usando musicisti extra, orchestre o semplicemente armeggiando con le loro chitarre che suonano così incredibilmente aliene. Usare violini e chitarre elettriche, sitar e zucche, voci all'unisono e linee di chitarra brucianti è la normalità per i nostri amici progressisti, e dobbiamo esserne loro grati.


Pentangle, da Londra 

Formazione classica: Terry Cox (batteria e voce), Bert Jansch (chitarra e voce), Jacqui McShee (voce), John Renbourn (chitarra e voce), Danny Thompson (contrabbasso).

Supergruppo folk? Beh, se mai ne è esistito uno, allora è sicuramente quello dei Pentangle. Due luminari del folk revival degli anni '60 si sono uniti per creare una gloriosa cacofonia di rumore folk progressivo: i chitarristi Bert Jansch e John Renbourn si sono uniti all'inizio del 1968 con la voce cristallina di Jacqui McShee, il contrabbassista Danny Thompson e il batterista Terry Cox. La sezione ritmica proveniva entrambi da un background jazz/blues che avrebbe avuto una profonda influenza sul sound della nuova band.

Jansch (una grande influenza su Jimmy Page dei Led Zep) e Renbourn avevano stili di chitarra diversi che si scontravano delicatamente, bruciavano e sottolineavano la voce slanciata di McShee. I ritmi jazzati che Thompson e Cox portarono alla band fornirono una leggerezza al folk rock prevalentemente acustico dei Pentangle.

Avendo i mezzi per realizzare che il rock e il folk non devono necessariamente escludersi a vicenda, la band arruolò il produttore Shel Talmy (che aveva lavorato sia con The Who che con The Kinks) per dare forma al loro sound. Mixarono con successo canzoni folk tradizionali come “Let No Man Steal Your Thyme” con standard jazz di artisti del calibro di Charlie Mingus.

I Pentangle hanno avuto un notevole successo mainstream: il loro terzo album “Basket Of Light” è entrato nella Top Five nel Regno Unito ed è rimasto nella classifica degli album per oltre sei mesi. La loro influenza rimane profonda e, infine, quest'anno la band è stata riconosciuta per i suoi risultati e la formazione originale si è riunita per i BBC Radio 2 Folk Awards, dove hanno ricevuto un Lifetime Achievement Gong. E ovviamente hanno anche suonato.

Consigliato: The Pentangle (Castle, 1968)


The Strawbs, da Londra 

Formazione classica: Dave Cousins (chitarra e voce), John Ford (basso e voce), Richard Hudson (batteria e percussioni), Rick Wakeman (tastiere),Tony Hooper (chitarra)

Sia Rick Wakeman degli Yes che Sandy Denny dei Fairport Convention hanno trascorso del tempo con gli Strawbs prima di avventurarsi nel loro futuro progressivo. L'album di debutto degli Strawbs è riuscito a cavalcare i confini tra folk e prog rock più tradizionale con canzoni come “Oh How She Changed” e “The Battle”. 

Ma la band non riuscì a mantenere questo ritmo con la loro seconda uscita “Dragonfly” nel 1970, e il membro fondatore Dave Cousins ​​coinvolse Rick Wakeman. Questa collaborazione fu un successo e gli Strawbs pubblicarono un autentico album crossover folk rock/prog rock chiamato “Just A Collection Of Antiques And Curios”.

Registrato dal vivo alla Queen Elizabeth Hall di Londra nel luglio 1970, il disco ha visto la band estendersi e include un'esaltante performance di Wakeman su “Temperament For A Mind”. Se non altro, questo è stato il disco che ha segnato in modo succinto la transizione degli Strawbs dai folk al rock progressivo più tradizionale. “Bursting At the Seams” del 1973 ha finalmente prodotto alla band un singolo di successo in “Part Of The Union”, ma ormai i loro inizi folk stavano svanendo. 

Consigliato: Bursting At The Seams (A&M, 1973)



The Incredible String Band, da Glasgow 

Formazione classica: Robin Williamson (violino), Mike Heron (chitarra),  Licorice McKechnie (voce e piatti a dita), Clive Palmer (banjo)


Non si penserebbe necessariamente che Glasgow sia il luogo da cui il folk progressivo ha tratto le sue influenze indiane e africane, ma The Incredible String Band ha preso il suo marchio infuocato di folk celtico e lo ha mescolato con alcuni sapori molto internazionali. Il chitarrista Mike Heron e il suo compagno di crimine violinista Robin Williamson sono riusciti senza sforzo a fondere sfumature indiane e africane nella loro musica. 

Le cose arrivarono davvero al culmine dopo che Williamson trascorse un po' di tempo in Marocco, dando vita al completo, impossibilmente eclettico “The 5000 Spirits Or The Layers Of The Onion” nel 1967 (che vedeva anche Danny Thompson dei Pentangle al basso). Molti critici lo citano come un disco psichedelico, ma se questo non è il titolo di un album prog, non sappiamo cosa lo sia. 

Nonostante le sue canzoni disparate, insolite e, francamente, folli (con testi su ricci canterini e riferimenti casuali agli alberi di Natale), la comunità folk lo adorava. “The Hangman's Beautiful Daughter” seguì nel 1968, e fu altrettanto psichedelico. 

Consigliato: The Hangman’s Beautiful Daughter (Warners, 1968



Roy Harper, da Manchester.

Il contributo di Roy Harper al folk progressivo non può essere sottovalutato. Cresciuto nella scena folk londinese della metà degli anni '60, Harper si è tenuto alla larga dall'interpretazione degli standard folk e si è concentrato sul suo materiale fin dall'inizio. I suoi primi album consistevano nel suo eccentrico lirismo poetico sostenuto dal suo intrigante modo di suonare la chitarra acustica. 

Cercando sempre di spingere i confini del folk tradizionale, Harper era creativo con la sua esplorazione sonora: un primo album (“Flat Baroque And Berserk“) lo vedeva suonare la sua chitarra acustica attraverso un pedale wah-wah nel brano "Hell's Angels". Mentre Hendrix ci aveva fatto conoscere il wah-wah su una chitarra elettrica, ascoltare l'effetto su uno strumento più tradizionale era sorprendentemente diverso. 

Harper aveva sempre ampliato il formato della canzone e il suo quinto album distintivo galvanizzò questo talento. Con solo quattro canzoni, “Stormcock” era un'opera sbalorditiva, che spaziava liricamente dalla religione che criticava (“The Same Old Rock”, una canzone che presenta un cameo furtivo di Jimmy Page mascherato da S. Flavius ​​Mercurius) a “Me And My Woman”, un tributo epico alle donne della sua vita, sottolineato da un grande arrangiamento orchestrale. Tanto di cappello a (Roy) Harper, davvero. 

Consigliato: Stormcock (Harvest, 1971)



John Martyn, dal Surrey (Regno Unito) 

Chitarrista e cantante fenomenale, John Martyn ha cambiato il suo stile di folk progressivo nel corso della sua lunga e brillante carriera.

Rifuggendo il folk tradizionale, Martyn incluse molti elementi sia del blues che del jazz nei suoi primi lavori. Ciò fu ulteriormente esaltato dai suoi trucchi con la chitarra. Senza paura di sperimentare, Martyn fece passare la sua chitarra acustica attraverso molti pedali di effetti, dalla distorsione (tradizionalmente usata con uno strumento elettrico) al flanger e al phase-shifter, trasformandone il suono in qualcosa di alieno e unico. 

Per molti, il modo di suonare di Martyn è sinonimo di Echoplex, un'unità che aggiunge un eco/ritardo al suono della chitarra, rendendolo distintivo e ultraterreno. Questo processo è stato utilizzato per ottenere un effetto raffinato sulla traccia “I'd Rather Be The Devil” nell'album “Solid Air di Martyn” del 1973, la cui traccia del titolo era un omaggio all'amico di John e collega folk prog Nick Drake.

Nel corso della sua carriera, Martyn ha abbracciato tutti gli stili musicali nel suo modo di suonare idiosincratico. Ha persino lavorato con il flautista/sassofonista jazz Harold McNair per il suo secondo album, "The Tumbler". Pur rimanendo un folkie nel profondo, Martyn ha spinto i confini musicali per tutta la vita. E se questo non è progressive, non sappiamo cosa lo sia! 

Consigliato: Solid Air (Island, 1973)



Nick Drake, da Birmingham 

Sottovalutato in vita (morì nel 1974 all'età di 26 anni per overdose di antidepressivi), Nick Drake riuscì comunque a cambiare la percezione della musica folk tradizionale, seppur postuma. Cronicamente timido e ostinato dalla depressione e dall'insonnia, Drake non fu mai veramente tagliato per essere un artista, ma furono queste condizioni psicologiche a influenzare chiaramente la natura inquietante del suo lavoro.

Principalmente un chitarrista (e uno che usava alcune delle accordature più strane e innovative immaginabili), i testi di Drake riflettevano spesso il suo fragile stato mentale. Ma fu la combinazione del suo modo di suonare idiosincratico, dei testi toccanti e degli abili arrangiamenti orchestrali del suo amico di college e collaboratore Richard Kirby che portarono davvero Drake oltre l'essere un semplice cantautore qualunque. Il suo secondo album ("Bryter Later") avrebbe persino contenuto elementi di jazz.

Con solo tre album all'attivo, Drake è stato poco più di una figura di culto durante la sua vita. Suonava raramente dal vivo e, nonostante fosse stato scoperto da Ashley Hutchings dei Fairport Convention, la scena folk non lo abbracciò mai veramente. Rimase un musicista per musicisti fino alla fine degli anni '80, quando iniziò a essere citato nella stampa musicale popolare.

Oggi, Nick Drake è probabilmente il cantante folk progressivo più citato nella cultura mainstream. 

Consigliato: Five Leaves Left (Island, 1969)



Fairport Convention, da Londra 

Formazione classica: Sandy Denny (voce), Dave Swarbrick (violino e viola), Richard Thompson (chitarra e voce), Simon Nicol (chitarra e voce), Ashley Hutchings (basso e voce), Dave Mattacks (batteria e percussioni) 

I Fairport Convention nacquero nel 1967 a Muswell Hill, Londra. Frutto dell'ingegno del bassista Ashley Hutchings, dei chitarristi Richard Thompson e Simon Nicol, i Fairport erano una band che inizialmente aveva un grande debito nei confronti della musica folk tradizionale americana e della nascente scena acustica della West Coast.

Prima che il loro album di debutto omonimo arrivasse sugli scaffali nel 1968, i Fairport avevano già sostituito la loro cantante solista Judy Dyble con Sandy Denny. Conteneva principalmente materiale originale, scritto principalmente da Thompson, fatta eccezione per una cover di Chelsea Morning di Joni Mitchell. Il loro sound era abbastanza eclettico da attirare un po' di attenzione e la band fu persino brevemente definita "i Jefferson Airplane britannici".

L'aggiunta di Denny portò la band a vette più alte. Fresca del suo periodo negli Strawbs, era una voce familiare al contingente folk tradizionale. Il secondo album della band (“What We Did On Our Holidays”, 1969) mescolò le cose: la band affrontò canzoni di Mitchell e Bob Dylan insieme a melodie folk tradizionali inglesi.

Con “Unhalfbricking” (luglio '69) la band continuò su questa strada, ma dopo un tragico incidente stradale in cui perse la vita il batterista Martin Lamble, la band si riunì per registrare la loro definitiva affermazione “Liege And Lief”. Il violinista Dave Swarbrick si unì a tempo pieno e la band si immerse nel materiale, dai feroci riff acustici al violino ad alto voltaggio, il tutto completato dalla straordinaria voce di Sandy Denny.

Sarebbe stato il loro momento decisivo, ma avrebbe anche decretato la fine della formazione classica. Verso la fine del 1969, sia Hutchings che Denny avevano lasciato la band. 

Consigliato: Liege & Lief (Island, 1969)



Tim Buckley, da Washington D.C. 

Tim Buckley, a cavallo tra il mondo del prog folk e quello della psichedelia, è stato uno dei cantautori più intriganti della fine degli anni '60.

Sebbene la musica folk fosse sicuramente al centro della sua attività, Buckley riuscì a infondere nella sua scrittura di canzoni elementi di così tanti stili musicali diversi, dal progressive jazz alla West Coast country. Di conseguenza, molti detrattori di Buckley (e persino fan) lo criticano per il suo sound non coerente.

E, con il passare degli anni, Buckley si interessò sempre di più al jazz, infondendo nel suo lavoro una bravura che raramente si sente nel folk. Avrebbe usato la sua voce come uno strumento d'avanguardia e, come tale, l'album “Lorca” del 1970 lo alienò da molti dei suoi fan. Sparito il cantautore sensibile e pieno di sentimento, al suo posto c'era uno sperimentatore eccentrico, pieno di scat vocali su jam stridenti e discordanti.

Purtroppo, il 1975 segnò la fine del viaggio musicale di Buckley, che morì per overdose di eroina. Ma, per quanto riguarda i folkster progressisti, Buckley rimane ancora all'avanguardia. 

Consigliato: Starsailor (Rhino, 1970)



Steeleye Span, da Londra 

Formazione classica: Tim Hart (dulcimer, chitarra e voce), Bob Johnson (chitarra e voce), Rick Kemp (basso, batteria e voce), Peter Knight (violino, tastiere e voce), Maddy Prior (voce) 

Quando lasciò i Fairport Convention, il bassista Ashley Hutchings aveva bisogno di un altro progetto: non aveva ancora finito nel mondo progressive. Così si unì ai folk affermati Maddy Prior e Tim Hart per creare gli Steeleye Span. Ma il mandato di Hutchings non durò a lungo e dopo tre album prese strade diverse.

Questo non significò la fine degli Steeleye, però. La band aveva lavorato duramente per tutta la sua esistenza per essere accolta nel mondo del rock. Così decisero di continuare. Sfruttando un lato più duro e proggy, gli Span pubblicarono “Below The Salt” (1972) e “Parcel Of Rogues” (1973). Le grandi chitarre rock lottarono per la supremazia tra i violini elettrici killer e le loro ormai caratteristiche linee vocali armoniche.

Per promuovere il loro sound prog folk, la band ha coinvolto Ian Anderson dei Jethro Tull per produrre “Now We Are Six” (che ha visto anche la partecipazione di nientemeno che David Bowie al sax), un album di canzoni folk principalmente tradizionali con il trattamento Steeleye. La loro svolta commerciale è arrivata sotto forma di “All Around My Hat” (1975) prodotto da Mike 'Womble' Batt, e nel 2019 la band ha pubblicato il suo 24° album in studio. 

Consigliato: Parcel Of Rogues (Chrysalis, 1973)



DONOVAN, da Glasgow 

Spesso è stato chiamato "mellow yellow", ma Donovan è molto più di quel successo del 1966. Salito alla ribalta nello stesso periodo in cui Bob Dylan stava facendo progressi negli Stati Uniti, Donovan è stato spesso ingiustamente etichettato, o addirittura liquidato come "il Dylan britannico".

Ma questo non sorprende affatto, dato che sia Dylan che Donavan ammiravano il lavoro di Woody Guthrie e di altri primi folk americani tradizionali. Il cantante fu anche influenzato dalla musica folk scozzese e inglese (trascorse del tempo su entrambi i lati del confine durante la sua crescita), e prese in mano la chitarra in giovane età e iniziò a imparare a suonarla da solo. In termini di chitarra, il collega folk Bert Jansch ebbe un'enorme influenza sul giovane chitarrista, tanto che Donovan scrisse la canzone “Bert's Blues” in omaggio.

Una volta perfezionato, lo stile di Donovan nel suonare la chitarra era davvero distintivo: sviluppò la sua tecnica distintiva, il "flatpicking", e spesso gli viene attribuito il merito di aver insegnato questo specifico stile di picking a George Harrison, Paul McCartney e John Lennon dei Beatles mentre erano tutti in ritiro in India con il Maharishi.

Donovan non si accontentava di scrivere semplici canzoncine folk acustiche e leggere; il suo sound si sarebbe presto evoluto, incorporando elementi jazz (era un grande ammiratore di Billie Holiday), sfumature psichedeliche e, grazie al suo soggiorno in India, orchestrazioni di sitar.

Nonostante avesse ampliato i suoi orizzonti musicali e reso il suo genere folk il più progressivo possibile, Donovan rimase comunque una presenza fissa sulla scena folk britannica, riuscendo a coinvolgere il suo pubblico anziché alienarlo.

Oggi, Donovan continua questo viaggio musicale e ha pubblicato il suo album più recente, “Gaelia”, nel dicembre 2022. Attualmente si sta preparando per gli spettacoli del 60° anniversario nel 2025. 

Consigliato: A Gift From A Flower To A Garden (Pye, 1967)


E la storia continua...





lunedì 8 dicembre 2025

Erva de ientu – Airportman & Egidio Marullo

 


Erva de ientu – Airportman & Egidio Marullo

Lizard Records

 

La fragilità che resiste, tra suono e immagine

 

C’è un vento che soffia sulle dune, e porta con sé sabbia, sale e memoria. Tra i cardi e le erbe spontanee che resistono al mare, nasce un’immagine fragile e tenace: l’“erva de ientu”, l’erba di vento che gli anziani salentini chiamavano così, quasi a riconoscerne la forza silenziosa. È da questa immagine che prende vita il nuovo lavoro di Airportman insieme al pittore Egidio Marullo.

Il progetto appare come un viaggio che intreccia suono e pittura, radici e resistenza. Ogni brano è accompagnato da un’immagine, e ogni immagine diventa tappa di un percorso che si guarda e si ascolta allo stesso tempo. Sei quadri, sei titoli, sei atmosfere: Erva de ientu, Sentiere, Èpopteìa, I cardi e l’alba, Orazione, Elegia.

Il lettore e l’ascoltatore sono invitati a entrare in questo paesaggio sospeso, dove la musica si fa pigmento e la pittura vibra come suono. È un’opera che chiede tempo, attenzione e apertura, come un sentiero che si percorre lentamente, lasciandosi guidare dal vento.

Ogni quadro di Marullo dialoga con un brano di Airportman, e insieme costruiscono un’opera che non si limita al suono ma si apre a un’esperienza multisensoriale.

Erva de ientu - L’immagine iniziale è essenziale, quasi scarna, come la pianta che resiste al vento. La musica che la accompagna è fragile e sospesa, ma proprio in questa fragilità si trova la forza. È l’apertura del viaggio, il manifesto di un’estetica che celebra la resistenza silenziosa.

Sentiere - Qui la pittura suggerisce un cammino, una traccia che si perde e si ritrova. La musica diventa passo lento, esplorazione interiore. È come seguire un sentiero che non porta a una meta precisa, ma invita a perdersi nel paesaggio.

Èpopteìa - Il titolo enigmatico richiama ritualità e visioni iniziatiche. L’immagine sembra custodire un mistero, un segno che non si lascia decifrare subito. La musica accompagna con atmosfere più dense, quasi sacrali, come se ci trovassimo di fronte a un rito segreto.

I cardi e l’alba - La pittura evoca l’asprezza dei cardi, ma anche la luce che sorge. È un contrasto tra durezza e rinascita. La musica riflette questa tensione: suoni spigolosi che si aprono a una luminosità improvvisa, come il primo chiarore del giorno.

Orazione-L’immagine qui si fa più meditativa, quasi liturgica. La musica è contemplativa, lenta, come una preghiera che non chiede ma ringrazia. È un momento di raccoglimento, di sospensione, dove il tempo sembra fermarsi.

Elegia - L’ultima immagine è malinconica, ma non cupa. È memoria, è ricordo. La musica chiude il viaggio con un tono elegiaco, lasciando l’ascoltatore in uno stato di quieta riflessione. Non c’è finale netto, ma un dissolversi che invita a restare nel silenzio.Registrato alle Airport Officine nell’inverno 2024/2025, mixato da Paolo Bergese e rifinito da Paride Lanciani presso Oxygen Studio, Erva de ientu esce per Lizard Records nella collana Open Mind. Una cornice perfetta: perché questo è un lavoro che richiede apertura, ascolto lento, disponibilità a contemplare.

Musicalmente, Airportman conferma la sua vocazione per un suono sospeso tra ambient e post-rock, dove il silenzio è parte integrante della composizione. Non ci sono esplosioni o virtuosismi, ma tessiture rarefatte, elegiache, capaci di evocare paesaggi interiori e naturali. È una musica che non si consuma in fretta, ma che chiede tempo e attenzione, come un quadro che si osserva a lungo per coglierne le sfumature.

Le immagini che accompagnano il disco – segni astratti, figure frammentarie, tipografie essenziali – non cercano di spiegare, ma di evocare. La palette cromatica sobria, fatta di bianchi, neri e grigi, amplifica il senso di resistenza silenziosa. È come se la grafica fosse anch’essa un paesaggio: dune che respirano, spazi che si aprono, simboli che rimandano a un mistero più grande.

Erva de ientu è una vera e propria esperienza multisensoriale, un viaggio che unisce suono e immagine, fragilità e resistenza, natura e arte. È un lavoro che parla di radici e di vento, di ciò che sembra fragile ma in realtà è capace di durare.

Un incontro tra musica e pittura che diventa esperienza, e che invita chi ascolta e chi guarda a lasciarsi attraversare, come l’erba di vento che resiste sulla sabbia.


Venerdì 5 dicembre uscirà per Lizard Records Erva de ientu, un album che unisce sei brani di Airportman a sei acquerelli di Egidio Marullo, pensati per dialogare con la musica e valorizzati dal formato 20x20. La gestazione è stata veloce e libera: un lavoro a distanza, fatto di confronti periodici e di rimandi poetici tra immagini e suoni.

Con una ventina di dischi all’attivo, Airportman rappresenta una delle realtà più solide e tenaci del rock indipendente italiano, custode di un’idea di musica totale che nasce dalla provincia e dalla periferia, e che continua a resistere grazie alla visione di Loris Furlan e della sua Lizard Records.


Tiratura limitata

Contatti: 338 81 93 612

studio_risso@tiscali.it








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domenica 7 dicembre 2025

Savona, 5 dicembre 2025: la Stella Maris rivive la storia del Live Aid a 40 anni dall'evento

 


Commento all'evento: Live Aid – Un ponte tra storia e solidarietà

 

La serata del 5 dicembre 2025, presso la Sala Stella Maris di Savona, ha celebrato in grande stile un anniversario fondamentale della storia della musica e della televisione: i 40 anni dal Live Aid (13 luglio 1985), con la presentazione del volume LIVE AID – Il juke-box globale compie 40 anni di Angelo De Negri e Aldo Pedron.

L'evento si è rivelato un successo su tutta la linea. La sala strapiena e il pubblico attento e partecipativo hanno creato l'atmosfera ideale per ripercorrere un'epoca e un evento che hanno ridefinito il concetto di musica come veicolo di solidarietà globale.

Il cuore della serata è stato il dialogo tra il co-autore Angelo De Negri e lo storico Giovanni Fabbi (autore dell'inquadramento dedicato agli anni Ottanta in Usa e Uk). Il confronto ha saputo intrecciare con grande profondità l'analisi del contesto storico e musicale che portò alla realizzazione del Live Aid.

Si è spaziato dai grandi brani solidali che fecero da apripista - come Do They Know It’s Christmas? dei Band Aid e We Are the World degli Usa for Africa - fino alla ricostruzione della giornata del 13 luglio 1985, con una buona aneddotica, gradita dai presenti. Gli interventi hanno ben evidenziato come il volume sia un'opera essenziale non solo per i fan della musica, ma per chiunque voglia comprendere il primo grande spettacolo televisivo benefico mai realizzato, toccando temi centrali come l'altruismo e l'immenso sforzo tecnologico che rese possibile il tutto.

A fare da cornice musicale alla presentazione, in un set intimo e acustico al servizio dello spirito solidale dell’evento, sono stati gli ospiti speciali The Cost of Freedom, che hanno proposto un sentito omaggio con sette brani eseguiti originariamente al Live Aid, sottolineando il ruolo della musica come forza motrice per il cambiamento.

I presenti hanno potuto riascoltare, ma in chiave acustica, sette brani simbolo del Live Aid:

Brano

Artista (Live Aid, 13 Luglio 1985)

Imagine

Patty LaBelle (a Philadelphia)

Let It Be

Paul McCartney (a Londra)

All You Need Is Love

Elvis Costello (a Londra)

Teach Your Children

Crosby, Stills and Nash (a Philadelphia)

Southern Cross

Crosby, Stills and Nash (a Philadelphia)

Blowin' in the Wind

Bob Dylan (a Philadelphia)

We Are the World (Finale)

USA for Africa (eseguita come finale con tutti gli artisti a Philadelphia)

I The Cost Of Freedom hanno proposto un set acustico elettrificato ridotto, pensato per la serata. La band è la seguente: Ivo Bologna (basso e cori), Marco Briano (chitarra 12 corde e cori), Fabrizio Cruciani (cori e percussioni), Athos Enrile (chitarra e cori) e Roberto Storace (voce, chitarra 12 corde, armonica e arrangiamenti).

In conclusione, la presentazione è stata un’occasione ricca e stimolante che, a quarant'anni di distanza, ha saputo riaccendere i riflettori su un evento spartiacque, confermando che il Live Aid non è solo un ricordo, ma un modello per la solidarietà globale, magnificamente documentato in questo nuovo volume.

Video Riassunto della serata



7 Angel's Egg", il viaggio psichedelico e avventuroso dei Gong (uno dei tanti!)

Album: Angel's Egg

Artista: Gong

Pubblicazione: 1973

Durata: 43:29

Genere: Space rock, Rock progressivo

Etichetta: Virgin Records

Produttore: Gong


Recensire - seppur in modo semplice e avvicinabile da chi non conosce la band - l'album "Angel's Egg" dei Gong significa immergersi in un viaggio musicale straordinario, pieno di avventure psichedeliche e sperimentazioni sonore.

L’album è il quarto della band, ed è stato pubblicato il 7 dicembre 1973. È anche il secondo della trilogia Radio Gnome Invisible, che si conclude con il successivo “You”.

Qualche nota estremamente sintetica sul gruppo Franco britannico…

I Gong sono un gruppo di rock progressivo fondato dal musicista australiano Daevid Allen, precedentemente membro dei Soft Machine. Il loro stile è talvolta catalogato anche come space rock ed ha uno strettissimo legame con la scena di Canterbury. Una delle caratteristiche più particolari del gruppo è l'anticonformismo dei suoi membri (a partire da Allen), e la variopinta "mitologia" messa in scena nei loro testi. Intorno al gruppo principale Gong hanno ruotato un grande numero di formazioni e gruppi paralleli (Pierre Moerlen's Gong, Planet Gong, Mother Gong, New York Gong ecc.) che complessivamente sono noti come la Gong Global Family.

Ma veniamo al disco, uno di quelli a cui mi sono avvicinato per caso da adolescente e da cui non mi sono mai più “staccato”!

"Angel's Egg" si apre con la traccia "Other Side of the Sky", un brano che incarna perfettamente lo spirito cosmico e avventuroso dei Gong. Con una combinazione di strumenti tradizionali, sintetizzatori spaziali e testi surreali, la band crea un'atmosfera unica che cattura l'ascoltatore e lo trasporta in un universo alternativo.

La suite di "Sold to the Highest Buddha" è un altro punto culminante dell'album. Con i suoi cambiamenti di ritmo, le improvvisazioni e i vocalizzi eccentrici di Daevid Allen, il brano offre un viaggio musicale straordinario e indimenticabile. Le influenze jazz, rock e progressive si fondono insieme in una miscela affascinante che caratterizza la musica dei Gong.

"Angel's Egg" è un album ricco di sfumature e varietà. Dalla ballata psichedelica "Prostitute Poem" alla travolgente e frenetica "Sold to the Highest Buddha", l'album presenta una serie di tracce che si distinguono per la loro originalità e creatività. Le sonorità eccentriche, i cambiamenti di tempo e le strutture musicali complesse fanno di questo album un'esperienza unica nel suo genere.

La produzione di "Angel's Egg" è impeccabile e la qualità del suono permette di apprezzare appieno gli intricati dettagli musicali e le sfumature sonore, che rendono l'ascolto un'esperienza coinvolgente e coinvolgente.

Un album che merita di essere scoperto e apprezzato dagli amanti della musica sperimentale e del rock progressivo, lavoro che trasporta l'ascoltatore in un viaggio psichedelico e avventuroso, attraverso suoni stravaganti e testi surreali. Nonostante siano passati molti anni dalla sua pubblicazione, l'album conserva ancora tutto il suo fascino e la sua rilevanza. È un classico intramontabile che dimostra la genialità e l'originalità dei Gong come band.


Tracce

Lato A

Other Side of the Sky – 8:00 (Tim Blake, Daevid Allen)

Sold to the Highest Buddha – 3:00 (Mike Howlett, Allen)

Castle in the Clouds – 5:30 (Steve Hillage)

Prostitute Poem – 5:30 (Gilli Smyth, Hillage)

Givin My Luv to You – 0:50 (Allen)

Selene – 3:10 (Allen)

Lato B

Flute Salad – 2:40 (Didier Malherbe)

Oily Way – 3:35 (Allen, Malherbe)

Outer Temple – 2:00 (Blake, Hillage)

Inner Temple – 2:15 (Allen, Malherbe)

Percolations – 0:40 (Pierre Moerlen)

Love Is How U Make It – 3:00 (Moerlen, Allen)

I Never Glid Before – 4:45 (Hillage)

Eat That Phone Book Coda – 3:00 (Malherbe)

 


Formazione

Daevid Allen – voce, chitarra

Steve Hillage – chitarra solista

Gilli Smyth – voce, Space whisper

Didier Malherbe – sassofono, flauto, cori

Tim Blake – sintetizzatore EMS Synthi A, voce

Mike Howlett – basso elettrico

Pierre Moerlen – batteria, marimba, vibrafono

Mireille Bauer – glockenspiel


Osserviamoli e ascoltiamoli dal vivo!

 





sabato 6 dicembre 2025

Il volo impossibile e l'incontro casuale: la storia di Phil Collins e Cher sul Concorde al Live Aid - La versione video, ligure, di Angelo De Negri

 


Il volo record di Phil Collins: sul Concorde incontra Cher, ignara dell'evento che sta per cambiare la storia della musica


Il 13 luglio 1985, giorno del Live Aid, il batterista e cantante britannico Phil Collins tentò l'impresa più folle della storia del rock. Dopo aver suonato davanti a 72.000 persone allo stadio di Wembley (Londra), Collins aveva un solo obiettivo: salire sul palco anche al JFK Stadium di Filadelfia, dall'altra parte dell'Atlantico.

Per compiere questa missione, Collins si affidò al mezzo più veloce disponibile: il leggendario aereo supersonico Concorde.

Una volta a bordo per il volo transatlantico, stanco ma adrenalinico, Collins si ritrovò in compagnia di una figura iconica del pop: Cher.

L'incontro fu subito surreale. Durante la conversazione, Collins raccontò entusiasta che era nel mezzo di una performance mondiale per raccogliere fondi contro la fame in Africa. La reazione di Cher lasciò il musicista a bocca aperta:

"Ero seduto sul Concorde e parlavo con Cher, e lei mi chiese: 'Cosa fai in giro?' Io le risposi: 'Sto andando a suonare al Live Aid!' E lei ha replicato: 'Cos'è il Live Aid?'"

Cher, una delle star più grandi del pianeta, non era a conoscenza dell'evento benefico del secolo.

Collins, incredulo, le spiegò l'importanza dell'evento e la spronò a unirsi. Cher, colpita dalla portata della manifestazione, accettò immediatamente l'idea di partecipare.

"Le dissi: 'Beh, vai a Filadelfia!'" ha raccontato Collins. "E lei: 'Ok, vado."

Una volta atterrato in America, Collins, dopo un trasferimento in elicottero, completò il sua tour de force: suonò la batteria per Eric Clapton e poi per la (poco riuscita) reunion dei Led Zeppelin. Stremato e deluso dall'ultima performance, decise che per lui la giornata era finita.

Mentre Collins si ritirava per il meritato riposo, accese la televisione proprio mentre il concerto americano si concludeva con la celebre performance corale di "We Are the World".

Con grande sorpresa, Collins vide sul palco, in piedi accanto a star del calibro di Lionel Richie e Tina Turner, proprio Cher che cantava. La donna che poche ore prima non sapeva cosa fosse il Live Aid, era lì, protagonista del gran finale. In un'amara ironia del destino, Cher prese parte al momento in cui l'uomo che l'aveva informata di tutto aveva scelto di non esserci.

Epilogo sarcastico: l'aneddoto in salsa ligure

Questa epica vicenda è stata rievocata in chiave comica e locale da Angelo De Negri, co-autore del libro “LIVE AID – Il juke-box globale compie 40 anni, scritto assieme ad Aldo Pedron.

Durante una presentazione a Savona, in un ambiente familiare e rilassato, il racconto dell'incontro tra Collins e Cher è uscito con una verve sarcastica che, spontaneamente, ha preso la forma di un dialogo "quasi in dialetto genovese" tra due personaggi tipici liguri, trasformando l'evento storico in un esilarante sketch da cabina di un traghetto.

Qui di seguito potete trovare la versione video di Angelo che racconta, con sarcasmo e un tocco ligure, l'incontro tra Phil Collins e Cher sul Concorde...




Festival di Altamont: i tragici fatti del 6 dicembre 1969



Girovagando per la rete a caccia di storie musicali emergono spesso riferimenti a quanto accaduto al Festival di Altamont nel lontano 1969.
Sto parlando di avvenimenti tragici in cui la musica, elemento principe negli intenti, passò in sottofondo, diventando la colonna sonora di un momento oscuro, una giornata di morte, la prima e unica morte in diretta nel mondo del rock.

Ho trovato questo esauriente racconto.

Il Festival rock di Altamont si tenne in California, il 6 dicembre 1969.
Quattro mesi dopo il festival di Woodstock, i Rolling Stones decisero di organizzare un festival gratuito sulla costa ovest degli U.S.A., che avrebbe concluso il loro tour americano. Questo fu il loro modo di rispondere alle critiche che li avevano investiti durante la tournée a causa dell'elevato costo dei biglietti.
Al concerto presero parte Santana, i Jefferson Airplane, The Flying Burrito Brothers e Crosby, Stills, Nash and Young.
La manifestazione degenerò però violentemente a causa soprattutto della dabbenaggine degli organizzatori che affidarono incautamente agli Hells Angels locali, impreparati, l'incombenza della sicurezza, in cambio di alcune centinaia di dollari in cartoni di birra.

Il risultato di questa scelta furono quattro morti e risse continue che spesso finirono per colpire gli stessi artisti! Il nome di Altamont rimarrà sempre associato a quello di Meredith Hunter, un diciottenne di colore accoltellato a morte dalla sicurezza a pochi metri dal palco dopo aver estratto una pistola in mezzo al pubblico (questo è quanto sembrerebbero documentare le immagini del concerto).

Se Woodstock è universalmente riconosciuto come l'apice del periodo di controcultura giovanile, Altamont segnò "la fine delle illusioni".

Meredith Hunter, nato il 24 ottobre del 1951, fu accoltellato a morte di fronte al palco al festival rock tenuto all'Altamont Speedway durante l'esibizione dei Rolling Stones.
Morì durante il trasporto in ospedale.

L'omicidio stesso fu ripreso nel documentario Gimme Shelter.
Alan Passaro, un ragazzo di 21 anni membro degli Hells Angels, fu accusato del crimine, ma Passaro si appellò al fatto che aveva agito per autodifesa nei confronti di Hunter, (probabilmente provocato e sotto effetto di anfetamine) il quale estrasse una pistola (come si vede nel film). Passaro ottenne l'assoluzione per autodifesa.
Una leggenda urbana narra che la canzone cantata dagli Stones nel momento che Hunter fu ucciso fosse "Simpathy for the Devil". Ciò è falso. Anche se quel brano faceva parte della scaletta del concerto, i Rolling Stones stavano suonando "Under my Thumb" quando Hunter fu accoltellato.


Altamont è il nome di un circuito situato nella California del Nord, a Tracy, vicino Livermore.
La presenza nel cast di band come Grateful Dead e Jefferson Airplane aveva portato all’autodromo circa 300 mila persone, fiduciose di poter assistere a quella che da più parti si annunciava già come la “Woodstock dell’ovest”.
La scelta di Altamont come luogo dell’evento, comunque, venne fatta molto in ritardo rispetto alla data del concerto, con la risultante che ci si trovò di fronte a uno dei concerti peggio organizzati della storia: pochi bagni, poche tende di pronto soccorso, un sound system non sufficiente a farsi sentire da tutti i presenti, un palco disorganizzato nella struttura e nella gestione e – ultima ma non ultima – la presenza della famigerata crew motociclistica degli Hells Angels in veste di servizio d’ordine dell’evento.
L’idea di assoldare gli Hell’s Angels come tutori dell’ordine pare fosse stata dei Grateful Dead, che avevano già avuto a che fare con loro in passato e ne avevano proposto il nome.
Gli Angels furono pagati con 500 dollari da spendere in birra, ma sembra che non fosse da escludere un loro coinvolgimento nella distribuzione di droga al pubblico del Festival.
La gestione molto violenta del pubblico provocò però le ire di alcuni dei musicisti facenti parte del cast: già nel pomeriggio i Grateful Dead avevano comunicato che non avrebbero suonato, in disaccordo con la linea dura tenuta da chi gestiva il servizio d’ordine, ossia gli Hell’s Angels.
Con il trascorrere delle ore l’atmosfera si fece sempre più tesa e i Rolling Stones, che non avrebbero voluto suonare, salirono sul palco in uno dei momenti peggiori della serata.
La tensione era palpabile, ma nessuno poteva immaginare cosa stava per succedere: le telecamere di Albert, David Maysles e Charlotte Zwerin, che filmano il tour per conto degli Stones e puntano su quell’evento come apice del loro film documentario, si trovavano a riprendere in diretta l’omicidio di Meredith Hunter, un 18enne di colore trovato dagli Hell’s Angels in possesso di una pistola e per questo motivo ammazzato letteralmente di botte durante il concerto degli Stones, proprio di fronte al palco.
Nelle immagini si vede il panico e il nervosismo impotente della band che in quel momento sta suonando “Under my Thumb”, e non può fare altro, dopo, che sospendere la propria esibizione. Seguono veri e propri momenti di panico, finché i Rolling Stones, ancora ignari della orribile sorte toccata a Hunter, tornano sul palco a suonare per evitare disordini ancora più gravi. “Gimme Shelter” – titolo che proviene dalla canzone che scorre alla fine lungo i titoli di coda - diventa così il film documentario dell’unica morte in diretta nella storia del rock’n’roll: le Loro Maestà Sataniche ne sono gli officianti, in un macabro accostamento che durerà per molto tempo (gli Stones, devastati dall’esperienza, toglieranno “Sympathy for the devil” dalla scaletta dei loro concerti e resteranno lontani dalle scene per un bel po’) e che ha naturalmente la forza per snaturare quello che in origine avrebbe dovuto essere un documentario sul tour di maggior successo di una grande rock’n’roll band e diventa invece un momento “maledetto” della loro carriera.


Ecco quanto riportato dal Corriere della Sera un pò di tempo fa.

Mick Jagger nel mirino degli Hells Angels

La gang di motociclisti voleva uccidere il leader degli Stones, salvato da una tempesta agli Hamptons.
I motociclisti contro i Rolling Stones. Gli Hells Angels, una delle prime e più violente gang motocilistiche americane, odiavano a tal punto la band inglese da pianificare l'assassinio di Mick Jagger, leader dei Rolling Stones. Per farlo fuori era stato persino definito il piano, che prevedeva un avventuroso sbarco dal mare nella villa del cantante sugli Hamptons.
A rivelarlo è stato un ex agente dell'Fbi, intervistato da Radio Four della Bbc.
Mick Jagger era finito nel mirino degli «angeli dell'inferno» dopo che questi aveva deciso di non aver più nulla a che fare con loro. Il piano non fu portato a termine solo perché la barca dei sicari fu bloccata da una tempesta.
La decisione di uccidere Jagger fu presa da un gruppo di Hells Angels dopo il concerto al festival di Altamont nel 1969, in cui membri del gruppo furono usati dai Rolling Stones come servizio di sicurezza. Fu una scelta tragica: gli Hells Angels uccisero Meredith Hunter, uno spettatore nero di 18 anni, il tutto davanti alle macchine da presa. A quel punto, Mick annunciò di non voler avere più nulla a che fare con quei violenti. Secondo Mark Young, ex agente speciale dell'Fbi, una barca con a bordo diversi Hells Angels avrebbe dovuto partire alla volta della villa del cantante agli Hamptons (a Long Island, poco fuori New York) per ucciderlo. «Erano così furiosi del trattamento che aveva loro riservato Jagger, che decisero di assassinarlo. Un gruppo prese la barca, armato, pensando di attaccarlo dal mare», a spiegato il presentatore della Bbc, Tom Mangold.
Per fortuna di Jagger, ha raccontato l'uomo del Bureau, «la barca fu colpita da una tempesta, e gli uomini finirono in mare. Nessuno morì, ma il piano di uccidere Jagger non ebbe seguito».
Mick non seppe mai, almeno pare, del complotto, e per tutta la carriera ha sempre minimizzato i rapporti tra gli Stones e la gang.
L'omicidio di Altamont è passato alla storia come la fine dell'era di pace, amore e musica degli hippy.
Nel film documentario Gimme Shelter, si vede Hunter, che aveva appena avuto una lite con gli Angels, che si avvicina al palco armato di pistola mentre gli Stones suonano Under my thumb. Alan Passaro, membro della gang, lo blocca e lo accoltella. Poi gli altri Angels infieriscono su Hunter a calci. Gli Stones, che non sapevano che il ragazzo era morente, continuarono a suonare dopo un'interruzione. Arrestato per omicidio, Passaro verrà poi assolto per legittima difesa.