Alla
ri-scoperta di un’artista unica, poco conosciuta ma molto influente per i
musicisti coevi e nati successivamente. Il suo nome era Karen
J. Dalton.
Parliamo oggi
di Karen J. Dalton nata il 19 luglio 1937, cantante, chitarrista e suonatrice
di banjo statunitense. È stata associata alla scena musicale folk del Greenwich
Village dei primi anni 1960, in particolare con Fred Neil, gli Holy Modal
Rounders e Bob Dylan.
Sebbene non abbia goduto di molto successo commerciale durante la sua vita, la sua musica ha ottenuto un riconoscimento significativo dopo la sua prematura dipartita, avvenuta il 19 marzo 1993, a soli 56 anni.
Vita e carriera
Dalton nacque
a Bonham, in Texas, ma crebbe a Enid, Oklahoma. Era metà Cherokee e metà
irlandese.
Con due
divorzi alle spalle, all'età di 21 anni lasciò l'Oklahoma e arrivò al
Greenwich Village, New York City, nei primi anni '60. Portò con sé la sua
chitarra a dodici corde, il banjo a manico lungo e… uno dei suoi due figli.
Scena
del Greenwich Village
Dalton si radicò rapidamente nella scena musicale folk del Greenwich Village dell'epoca. Suonò al fianco dei grandi nomi, tra cui Bob Dylan (che occasionalmente la supportò all'armonica), Fred Neil, Richard Tucker e Tim Hardin, reinterpretando molte delle loro canzoni nelle sue esibizioni. Dylan in seguito scrisse che "Karen aveva una voce come Billie Holiday e suonava la chitarra come Jimmy Reed". Fu tra le prime a cantare "Reason to Believe" di Hardin. In seguito, sposò Tucker, con il quale a volte suonava in duo, e in trio con Hardin.
Dalton era un
habitué del famoso locale folk Café Wha? e si esibì in concerti di beneficenza
per gruppi per i diritti civili, ma era riluttante nell’eseguire le sue
canzoni. Il suo normale uso di alcol ed eroina, rendeva particolarmente
difficile registrare la sua musica e andare in tour.
Dalton si trasferì in Colorado con il marito Richard Tucker e la figlia Abralyn (Abbe) e visse lì per un po' di tempo, nel 1960, in una piccola capanna mineraria a Summerville. Alla fine tornò a New York via Los Angeles, e poi a Woodstock, New York.
It's So Hard to Tell Who's Gonna Love You the Best (album)
Dalton "non era interessata ai giochi dell'industria musicale in un'epoca in cui i musicisti avevano poca altra scelta", come ha osservato il bassista e produttore Harvey Brooks. Spesso rispondeva con rabbia quando i produttori tentavano di cambiare la sua musica durante la registrazione.
All'inizio, il produttore Nick Venet non riuscì a registrare il suo primo album, It's So Hard to Tell Who's Gonna Love You the Best (Capitol, 1969). Fu solo quando invitò Fred Neil a una sessione che furono in grado terminare le registrazioni. Anche allora, Venet e Neil ebbero successo solo ingannando Dalton, facendole credere che il nastro non stesse girando. Dalton registrò la maggior parte delle tracce con una sola ripresa, e tutto in una notte. Il disco contiene canzoni di Neil, Hardin, Jelly Roll Morton e Eddie Floyd & Booker T. Jones. È stato ripubblicato dalla Koch Records su CD nel 1996.
In My Own Time (album)
Il secondo album di Dalton, In My Own Time (1971), fu registrato ai Bearsville Studios (che furono fondati dal manager di Bob Dylan, Albert Grossman) e originariamente pubblicato dall'etichetta del promoter del Woodstock Festival Michael Lang, la Just Sunshine Records. L'album fu prodotto e arrangiato da Harvey Brooks, che suonò il basso. Il pianista Richard Bell fu l’ospite dell'album. Le note di copertina furono scritte da Fred Neil e le foto di copertina scattate da Elliott Landy. Dalton portò i suoi due figli adolescenti, il suo cane e il suo cavallo dall'Oklahoma per sentirsi più a suo agio con la registrazione.
Riedizioni e tributi
It's So Hard to Tell Who's Gonna Love You the Best è stato ripubblicato dalla Koch Records nel 1997, in collaborazione con il DJ radiofonico newyorkese e fan di Karen Dalton Nicholas Hill, e con note di copertina di Peter Stampfel. Nel 1999 l'etichetta francese Megaphone music fece una riedizione europea dello stesso album, che includeva un DVD bonus con rare riprese di performance di Dalton e un servizio televisivo francese su Karen Dalton del 1970. In My Own Time è stato ripubblicato in CD e LP il 7 novembre 2006 dalla Light in the Attic Records.
Due registrazioni del 1962 e del 1963, precedentemente di proprietà dell'amico di Karen Joe Loop che gestiva il piccolo club "The Attic" a Boulder nei primi anni '60, sono state pubblicate su Megaphone nel 2007 e nel 2008 come album live Cotton Eyed Joe e l'album registrato in casa Green Rocky Road.
La
compilation tributo, Remembering Mountains: Unheard Songs di Karen Dalton,
è stata pubblicata nel 2015 dall'etichetta folk Tompkins Square. In modo simile
agli adattamenti di Wilco e Billy Bragg delle canzoni di Woody Guthrie in
Mermaid Avenue, l'album presenta adattamenti del lavoro di Dalton di artisti
come Patty Griffin, Lucinda Williams, Josephine Foster, Sharon Van Etten e
Julia Holter. Le canzoni contengono testi e poesie che Dalton scrisse prima
della sua morte, che erano affidate alle cure del suo amico, il chitarrista
folk Peter Walker.
Stile
La voce blues
e "stanca del mondo" di Dalton è spesso paragonata alla cantante jazz Billie
Holiday, anche se Dalton detestava il paragone e disse che Bessie Smith aveva
avuto su di lei un'influenza maggiore. Dalton ha cantato blues, folk, country,
pop, motown, riprendendo ogni canzone nel suo stile. Suonava la chitarra a
dodici corde e un banjo a manico lungo.
Conosciuta come "la risposta folk a Billie Holiday" e "Sweet Mother K.D.", si dice che Dalton sia il soggetto della canzone "Katie's Been Gone" (composta da Richard Manuel e Robbie Robertson) nell'album The Basement Tapes di The Band e Bob Dylan, che scrisse di Dalton: "La mia cantante preferita era Karen Dalton. Aveva una voce come Billie Holiday e suonava la chitarra come Jimmy Reed. Ho cantato con lei un paio di volte".
Gli artisti moderni Adele, Nick Cave, Devendra Banhart, e Joanna Newsom l'hanno tutti notata come un'influenza. Così come la cantante country Lacy J. Dalton, che conobbe Dalton nel Greenwich Village e adottò il suo cognome come tributo.
Ultimi
anni e morte
Il fallimento commerciale del suo album In My Own Time e il suo allontanamento dai figli contribuirono ad un ulteriore abuso di sostanze che minarono ulteriormente la vita di Dalton.
Negli ultimi anni visse in una casa mobile situata in una radura fuori Eagle's Nest Road, fuori dalla città di Hurley, vicino a Woodstock.
L'amico Lacy
J. Dalton la aiutò mandandola in riabilitazione in Texas nei primi anni 1990;
una permanenza che durò solo un paio di giorni prima che lei chiedesse di essere
riportata a casa, a Woodstock. Morì lì nel marzo 1993 per una malattia
correlata all'AIDS, all'età di 56 anni. Secondo il suo amico Peter Walker,
aveva vissuto con la malattia per più di otto anni.
Documentario
Un
documentario, Karen Dalton: In My Own Time, dei registi Richard
Peete e Robert Yapkowitz, ha fatto la sua prima mondiale al Doc NYC nel
novembre 2020. Sheri Linden su The Hollywood Reporter scrive: "Poiché
presenta un'artista unica nel suo genere ai non iniziati e la celebra per gli
appassionati, è tutto da ascoltare, più che da vedere!”.
Discografia
Album
in Studio
It's
So Hard to Tell Who's Going to Love You the Best (1969)
In My Own Time (1971)
Album
Live
Cotton Eyed Joe (2007) (recorded live in 1962)
Altre
Uscite
Green
Rocky Road (2008) Recorded at home circa 1962-63, released by Delmore Recording
Society; contains unreleased recordings.
1966 (2012). Released by Delmore Recording Society; contains previously unreleased recordings.
Remembering Mountains: Unheard Songs by Karen Dalton (2015), rilasciato da Tompkins Square