martedì 5 gennaio 2021

CROMOLUX-“Dust Of The Time”


Commentare il progetto dei CROMOLUX mi riporta all’essenza della (M)usica, alla passione vera, alla sfida contro tutto e tutti pur di alimentare necessità basiche, alla voglia di creare e condividere.

La zona di “lavoro” è quella di Alba e dintorni e la storia che viene presentata in questo articolo profuma di un basso Piemonte che regala soddisfazioni da ogni punto di vista, un tessuto sociale molto attivo in cui nasce una band che, dal 1983, non ha mai cessato la propria azione.



L’intervista a seguire, realizzata col batterista Enzo Patri, permette di entrare nei rivoli di un’incessante attività che, nel tempo, ha assunto una dimensione sempre più professionale e autarchica, tanto che il nuovo album, “Dust Of The Time”, nasce e viene rilasciato come produzione propria, ad eccezione del mastering finale.

A fine chiacchierata viene fornita la modalità che permette di acquisire l’album, tenendo conto che la stampa del CD prevede, come nelle occasioni precedenti, un numero limitato di copie che verranno regalate a chi lo richiederà anche se, nel caso specifico, le eventuali donazioni saranno devolute in beneficenza.    

Vediamo qualche nota generica partendo dalla sintesi del mio feeling successivo all’ascolto.

“Dust Of The Time” è una cartolina sonora che riporta al passato, una sorta di pop di estrema qualità che rispecchia i tempi di avvio della band e che ha mantenuto il mood di quei giorni, capace di lasciare in tutti quelli che hanno vissuto quel periodo una devastante - almeno per me - nostalgia.

I brani, presi singolarmente, potrebbero vivere di luce propria, ma approfondire la proposta porta ad avere una visione concettuale che è poi quella di Biagio Cairone, autore della quasi totalità delle liriche, pensieri che riportano al quotidiano che, per un osservatore esterno quale io sono, presentano gli stilemi di un importante bilancio personale.

La lingua utilizzata è quella inglese, che è certamente di grande appeal, ma va segnalato che i testi sono stati pensati nella nostra lingua e solo successivamente tradotti. In ogni caso il booklet contenuto nel CD presenta la traduzione per ogni canzone.

Provo a delineare la scaletta, costituita da nove episodi, utilizzando il metodo step by step.


Si apre con “Desire” e arriva una significativa sorpresa, la vocalità di Cairone ricorda quella di David Bowie, così come l’atmosfera generale.

Un testo molto poetico che evidenzia la passione che nasce tra un uomo e una donna, un disegno che diventa struggente quando l’uso della chitarra elettrica tocca gli anfratti della psichedelia.

 

A seguire “Sign Of The Moon” e va segnalato come certi elementi “naturali” e quasi mistici (il sole, la luna) abbiano ruolo preminente nella narrazione, tanto da caratterizzare l’immagine di copertina.

Musicalmente parlando siamo al cospetto di una ballad quasi west coast che sfocia in un modus floydiano molto coinvolgente, mentre la luna diventa testimone di un atto finale, di un amore che scema, di una luce scomparsa, in attesa di un nuovo giorno.


Silent Walk” apre ad un mood distopico che è sentiero del disco.

We are sitting now on the edge of the sky, watching the life that’s moving under our feet; close your eyes, it’s only way to really see the truth, because tomorrow you know we’ll be gone from here”.

Ritmo lento e regolare, voce cavernosa e lungo assolo gilmouriano, il tutto a disegnare un’ambientazione tra sogno e angoscia.



Burned Man” sarebbe stata una potenziale hit in tempi remoti.

La sensazione che il tempo dei sogni sia finito e che, dopo tanti errori, non ci sia più la possibilità di voltare pagina: rimpianti e rimorsi tangibili sottolineati da un ritornello vincente e da arrangiamenti ad ampio respiro, dove i fiati contribuiscono alla creazione di uno spleen impossibile da tenere alla larga.

 

Rilevante il duetto vocale in “Fly”, pezzo acustico e intimistico, con un finale struggente che prende il largo, tra arpeggio di chitarra e tromba, un’ambientazione in un formato bianco e nero.

Un mondo visto dall’alto, col giusto distacco, con il cuore e la mente libera, in uno stato di moderata follia che annulla il pregresso e crea serenità: “I, here alone, in this madness of the fly I can see the clouds touch my legs, touch my heart”.

 

Melanconico è “1961”, un brano di oltre sette minuti che propone il tema della lontananza dagli affetti legata alla necessità di sostentamento: un treno che corre nella notte, tanti uomini tutti uguali pronti a scavare nelle budella di una montagna, il cuore rimasto nel luogo di origine ma con un obiettivo che mantiene vivi.

Meravigliosa la seconda metà del pezzo, completamente strumentale, sognante, capace di disegnare il concetto di viaggio, tra disperazione e speranza.

 

E arriviamo alla title track, “Dust of the time”, giustamente rappresentativa dell’intero album.

Ora lasciatemi tranquillo, io chiuderò gli occhi alla fine del giorno, abituatevi senza di me; ho vissuto tanto che un giorno dovrete per forza dimenticarmi, ma non crediate che io muoia, ma accade il contrario, che sto per vivere…”.

Non è mai facile decodificare i pensieri di chi scrive e lascio all’interpretazione personale questa “polvere del tempo”, un incedere musicale sontuoso che scava nelle profondità dell’ascoltatore virtuoso.

L’utilizzo, nel finale, di un apporto esterno estratto da un documentario della BBC dedicato a George Orwell, contribuisce concettualmente a sottolineare la necessità di eliminare quella nebbia che ogni tanto appare nelle nostre vite, capace di incantare, di offuscare la mente e di allontanare la ragione.

 

Il brano numero otto si intitola “Raining Light”.

Anche in questo caso troviamo una dicotomia che divide il cantato dallo strumentale, rimarcando un’altra caratteristica del disco che è più tipica della musica progressiva, ovvero la proposizione di brani lunghi - un terzo superano i sette minuti - entro i quali è possibile abbinare il messaggio alla voglia di dilatare gli aspetti musicali.

Il concetto di “pioggia di luce” e di “gocce brillanti” in caduta libera conducono ad un pensiero positivo per il finale della storia.


La conclusione è affidata a “Red”, l’episodio più lungo.

Il colore scuro invade ogni angolo della terra, mentre ciò che tutti sognano è un mondo colorato, perché la nostra vita ha bisogno di tutte le sfumature esistenti.

Una chiusura che abbina la visione realistica alla speranza che ci sia ancora spazio per una completa libertà, quella di cui parla il protagonista aggiunto, Martin Luther King.

Una canzone che potrebbe essere un manifesto, capace di toccare il cuore e la mente.

Davvero un bell’album, alla faccia dei “musicisti nei ritagli di tempo”.

Un vero viaggio, un vero concept, un vero percorso fatto di parole importanti e di sonorità  significative.

Un piacere averlo ascoltato e averne scritto.

Per i dettagli rimando all’intervista realizzata con Enzo Patri, titolare della sezione percussioni.

 


Partiamo dalla band e dalla storia: come e quando siete nati, con quale obiettivo e cosa avete realizzato sino ad oggi?

Ci siamo formati alla fine del 1982 esibendoci per la prima volta dal vivo nel 1983. La formazione comprendeva due chitarre, tastiere, basso e batteria. Proponevamo alcune cover e brani composti dal nostro chitarrista Biagio. Alcuni testi erano in italiano e altri in un inglese un po’… improvvisato! Da allora Biagio Cairone, Ezio Bogliolo, Enzo Patri e Alberto Flori hanno continuato fino ad oggi a suonare con la denominazione CROMOLUX. Negli anni hanno fatto parte del gruppo, in aggiunta ai su menzionati, altri chitarristi, percussionisti, cantanti, fiatisti. Gli ingressi più significativi sono senz’altro stati quelli di: Paolo Ciliutti (chitarre e voce, durante i primi anni), Bruno Battaglino (voce e flauto per oltre una ventina di anni) e Alfredo Ottaviani (chitarre e cori dai primi anni 2000). Agli inizi degli anni Ottanta, poco più che ventenni, non ci ponevamo alcun obiettivo se non quello di suonare (soprattutto dal vivo). Da considerare anche che in quegli anni le documentazioni sonore sono rappresentate esclusivamente da alcune cassette audio con materiale qualitativamente molto scadente, per cui poco resta di quel prolifico periodo. Nel 1996 vengono registrati due brani nello studio di Emanule Ruffinengo (in seguito produttore e arrangiatore con Area, Pooh, Ornella Vanoni, Chick Corea…) poi pubblicati ufficialmente sulla cassetta “A place to survive”, panorama delle band del cuneese. Con l’avvento del cd e la possibilità di registrare a costi molto contenuti, la nostra produzione è avvenuta sempre in modo autonomo: “Finisterre” (2004), “Il confine” (2009), “Anima persa” (2015) e quest’ultimo “Dust of the time” (2020). Il tempo è trascorso ma noi abbiamo comunque sempre continuato a provare quasi una volta a settimana per il gusto di ritrovarci e penso che le motivazioni siano ben espresse da Biagio: “Se siamo ancora insieme è perché il piacere di suonare è per noi privo di velleità”, e da Ezio: “Il successo della nostra unione è dato dalla musica: abbiamo il semplice piacere di farla”.

 

Il nome che avete scelto per la band ha una motivazione precisa?

Nasce da un particolare tipo di carta tipografica usato negli anni Ottanta. A noi piaceva.

 

Da chi è composta la vostra formazione?

In questo ultima produzione da: Biagio Cairone (chitarre, voce, tastiere), Alfredo Ottaviani (chitarre, armonica, cori), Ezio Bogliolo (tastiere), Enzo Patri (batteria), Alberto Flori (basso). Come riportato nelle note di copertina i brani sono stati composti tutti da Biagio Cairone, così pure i testi, ad eccezione di “Fly”. Tutti gli arrangiamenti sono di Biagio, Alfredo ed Ezio.

 

Avete avuto nel tempo la possibilità di esibirvi dal vivo?

Agli inizi abbiamo fatto parecchi concerti, soprattutto in provincia. Erano gli anni che ad Alba non c’erano manifestazioni musicali e noi nel 1983 ci siamo inventati “RICCAROCK” in un salone parrocchiale a Ricca d’Alba. Verso la fine degli anni Novanta abbiamo ridotto notevolmente le nostre uscite. L’ultima è stata per il trentennale della band nel 2012. Abbiamo invitato a suonare sul palco molti degli amici che avevano collaborato, riproponendo una scaletta che ripercorreva un po’ la nostra storia.

 

Avete appena realizzato un CD di brani originali: quali sono i contenuti lirici?

Giro direttamente la domanda a Biagio. “I temi trattati sono spesso autobiografici: l’amore e i rapporti con gli altri, esperienze di vita e ricordi indelebili del passato. Sensazioni vissute di gioia e felicità ma anche di rabbia, malessere, confusione. Riflessioni sul mondo che ci circonda con i suoi colori, profumi, suoni, umori. Molte volte vengono citate la luna e il sole, ed è per questo che ho proposto agli altri la rappresentazione del sistema solare per la copertina”. Anche in questo CD, come già accaduto in passato, sono stati inserite sezioni con voci fuori campo: un estratto di un documentario della BBC su George Orwell in “Dust of the time” o la voce di Martin Luther King nella conclusiva “Red”.

 

Come definireste la vostra musica a chi non l’ha mai ascoltata?

Difficile da definire! Abbiamo iniziato suonando cover di rock e poi quasi subito Biagio ha incominciato a proporre brani propri; nella composizione è naturalmente influenzato da quanto ha ascoltato nei vari periodi. Ad oggi pensiamo che Biagio abbia composto la musica di almeno 200 brani di cui molti sono stati regolarmente provati e suonati. Generalmente i nostri pezzi possono essere etichettabili come Pop-Rock con derivazioni Prog, dove sono sempre presenti i testi ma viene concesso molto spazio alle parti strumentali con assoli di chitarre o inserti elettronici.

 

I testi sono in lingua inglese: da dove nasce la scelta?

Per parecchi anni nella band era presente un cantante che componeva i testi e li eseguiva in italiano. Da questo CD siamo tornati agli inizi, quando la voce era Biagio, che per l’occasione ha scritto anche i testi e ha preferito cantarli in inglese perché ha ritenuto che tale lingua sia particolarmente adatta all’impiego nel genere musicale che proponiamo. Sono stati scritti in italiano (infatti ci sono le traduzioni a fronte di ogni brano) e poi tradotti in inglese. Potremmo poi disquisire su come sia più facile cantare in lingue come l’inglese dove le parole sono spesso costituite da una o due sillabe, oppure come un termine breve possa racchiudere il significato di più parole in italiano, o, ancora, come le parole tronche (in italiano terminano tutte con una vocale…) siano più facili da cantare. Questo è però un discorso troppo tecnico in cui eviterei di entrare!

 

Nel progetto compaiono alcuni ospiti: sono collaboratori di lungo corso? Che ruolo hanno avuto?

Per la prima volta abbiamo invitato questi amici che hanno contribuito perché c’era necessità di una doppia voce femminile (Fabiana in “Fly”) e di fiati “veri” e non campionati (Matteo in “Fly” e “Burned Man” e Francesco in “Burned Man”).

 

Ho captato che siete molto autarchici e fate tutto in proprio, dalla creazione sino alla distribuzione passando per registrazione e arrangiamenti: precisa scelta o necessità contingente?

Per parecchi anni abbiamo pagato affitti in sale prove in condizioni spesso precarie, posti in cui portavamo gli strumenti ogni volta. All’incirca nei primi anni del 2000 abbiamo allestito una nostra sala, ricavata all’interno di un capannone industriale di proprietà di uno di noi. Questa è diventata la nostra “casa/studio” (disponibile solo ad un’altra band dove militano alcuni di noi) e l’abbiamo dotata di tutto ciò che serve per provare e anche per registrare in qualsiasi momento si decida di farlo. Non siamo quindi condizionati da giorni, orari, ecc. per cui con molta calma (un po’ di alcol, nicotina e molte parole…)  proviamo i vari brani e poi decidiamo quali possono essere registrati in multitrack digitale. Seguono tutte le fasi di missaggio, equalizzazione, sovraincisioni e naturalmente gli arrangiamenti che spesso sono suggeriti dopo i numerosi ascolti dei pezzi. Solo l’ultimo passaggio prima dell’incisione, il cosiddetto “mastering”, viene affidato a studi professionali per ottenere il master definitivo, sempre sotto il nostro diretto controllo. La distribuzione è la cosa più semplice: infatti i nostri cd (la stampa ne prevede almeno 300 copie) sono sempre stati regalati a chi ne ha fatto richiesta senza pretendere alcuna somma, salvo in alcuni casi, come quest’ultimo, per scopi benefici.

 

Anche l’artwork è molto curato e così il booklet annesso che presenta anche le traduzioni dei testi: chi ha seguito questi aspetti?

Abbiamo sfruttato la risorsa interna: Biagio, infatti è un grafico molto apprezzato in zona ed in passato ha collaborato alcune volte alla realizzazione di copertine di dischi e cd. Sua è la creazione della copertina dell’LP “Forse le lucciole non si amano più” (1977) del gruppo prog LOCANDA DELLE FATE. Abbiamo inoltre deciso per la traduzione dei testi in italiano perché ci pareva giusto dare importanza e accessibilità alle liriche scritte da Biagio. Nella realizzazione grafica ha collaborato anche Andrea, figlio di Biagio.

 

Come hai già indicato avete stampato un numero di copie limitato: come sarà possibile ascoltare “Dust of the time”?

Per un brano è stato creato un video (SILENT WALK) che si può vedere su Youtube   https://youtu.be/YPBwZWDLAt0. Le copie che non sono state ancora distribuite possono essere richieste su whatsapp al 3394479799. Le regaliamo, ma se qualcuno vuole fare un’offerta di almeno 5,00 euro, contribuirà alla raccolta fondi per la Comunità l’Accoglienza di Ricca d’Alba.