Gli Ubi Maior sono una band giovane, ma non troppo, nel senso che l’esperienza è davvero significativa e si snoda su una ventina di anni di attività, periodo considerevole per poter tirare qualche somma.
Non ho mai avuto la possibilità di
vederli in azione, anche se recentemente ho potuto apprezzare le
caratteristiche della chitarrista Marcella Arganese, impegnata in un progetto
parallelo. Ed è stata proprio Marcella il mio tramite con il gruppo, musicisti
a cui ho posto qualche domanda, in un momento in cui sono già pianificati live
importanti ed esistono le basi per la preparazione di un nuovo album, il quarto
della loro carriera.
Ecco che cosa mi hanno raccontato…
Quest'anno gli Ubi Maior festeggeranno i 20 anni di attività:
possibile riassumere la storia della band.
I primi 5-6 anni sono stati di
apprendistato, passati tra lo studio delle cover e la creazione dei primi
segmenti che faranno parte del nostro primo CD, “Nostos”, qualche anno più tardi. L'avvio è stato abbastanza blando.
Non avevamo la fretta che intravedo oggi di mettersi subito a registrare un CD
per inserirsi nel giro "giusto".
A cavallo fra i due millenni internet
stava giusto decollando, i social così come oggi li vediamo non esistevano ancora.
Ci si affidava ancora un pò alle gloriose fanzine di settore che tanto, e forse
meglio, hanno fatto per il genere. Mandavi il CD-demo, iniziavano le prime
recensioni, c'era il passa parola. Oggi è tutto più veloce. Devi registrare,
avere un CD, martellare, millantare tirature impossibili, proporti in qualsiasi
modo.
Fra il nostro primo CD e il secondo, “Senza tempo”, del 2010, c'è stato
proprio il passaggio decisivo. Finite le fanzine si è passato ai social, ai
portali prog, alla velocità di consumo e di produzione.
Dal canto nostro abbiamo continuato a
fare le cose per bene e con calma, contando solo sulle nostre forze e sulla
produzione chiara e corretta della nostra casa discografica AMS. Noi non compriamo
i like su facebook e non abbiamo mecenati alle spalle.
La prima parte della storia della band
si è conclusa nel 2010 con l'abbandono del nostro primo chitarrista, Stefano
Mancarella, e l'avvento di Marcella Arganese. Marcella è un vulcano d'energia
ed è impegnata oltre che con noi con i Mr. Punch (tribute band dei Marillion “epoca
Fish”) e con gli Hostsonaten di Fabio Zuffanti. “Incanti bio meccanici”, il nostro terzo lavoro, ha segnato un
interessante, quanto lieve, cambio di direzione a livello sonoro: un pò meno
sanguigno hard-prog italico e più attenzione alle atmosfere e agli
arrangiamenti.
Un lavoro più maturo.
Prima di affrontare il futuro vorrei soffermarmi sul vostro ultimo
atto, "Incanti bio meccanici", album inusuale per i contenuti: me ne parlate?
Incanti bio meccanici è un album
decisamente progressivo sinfonico. Meno debitore del glorioso rock progressivo
italiano rispetto agli album precedenti. Sfruttando una forma compositiva
comunque ben radicata negli anni settanta, come la suite, abbiamo però
sviluppato armonie e melodie più originali e più attuali. Abbiamo stratificato
maggiormente i brani, lasciando più spazio al lirismo del singoli strumenti,
come su “I cancelli del tempo” e in “Lo specchio di mogano”. A livello lirico
abbiamo incrociato l'arte onirica del teatro cinetico di Sharmanka con gli
approfondimenti letterari del nostro cantante Mario Moi. I testi sono
decisamente unici nel panorama attuale italiano, di un livello altissimo.
Che tipo di riscontri di pubblico e critica avete avuto in questa
occasione?
Inutile girarci attorno. Il pubblico
che acquista CD negli ultimi 20 anni è diminuito. Esiste ancora ma se anni fa
vendevi 100 oggi vendi 60-70, se va bene. Il riscontro della critica è stato
molto buono. Non tutti i paesi allo stesso modo. Puoi ottenere entusiastiche
recensioni in Giappone e in Germania e magari meno benevole in Belgio o
Olanda...è sempre molto strano e poco prevedibile. Cantare in italiano è sempre
una lama a doppio taglio. Lo era negli anni Settanta e lo è anche oggi.
Non è bello incasellare la musica ma... come definireste la vostra
proposta a chi ancora non la conosce?
Non ho mai avuto paura delle etichette
e non mi da fastidio essere definito prog. E' la musica che facciamo, che
amiamo. Alcuni definiscono il rock sinfonico di oggi regressive anziché
progressive. Ognuno è libero di pensarla come vuole.
Dal canto nostro cerchiamo di non
riproporre semplicemente un genere in voga 40 anni fa. Inseriamo elementi
diversi che completano un puzzle oppure lo rinnovano e lo fanno progredire.
Parlando dei nostri brani, “Teodora” è
senz'altro una suite molto classica dal punto di vista compositivo. “Alchemico fiammingo” e “Lo specchio di Mogano” sono invece più
sorprendenti, pur sempre incasellate in strutture già codificate. Troviamo
tracce di musica melodica anni ‘80 come pure accenni di jazz o riferimenti
etnici. Cerchiamo insomma di essere originali all'interno di una forma d'arte
ben codificata.
Le vostre liriche appaiono di spessore e non un "atto
forzato" (come a volte accade): come nascono i vostri testi? E' un lavoro
di squadra o esiste precisa suddivisione dei compiti?
I testi finali sono opera di Mario
Moi. Non è facile interagire in questo processo creativo. Puoi dare qualche
idea di massima, spunti, come ha fatto Marcella per “Incanti”, ma poi la realizzazione definitiva spetta a Mario. Mario
è molto attento a far combaciare la metrica delle parole col tempo del brano.
Inoltre compone le melodie vocali e tutto ciò che riguarda il violino e la
tromba. Le strutture e la musica di base è opera principalmente mia e di
Marcella. Poi c'è il lavoro di arrangiamento con tutta la band coinvolta.
Come sono i live degli Ubi Maior?
Sono live atmosferici. Cerchiamo di
rendere l'idea del brano e del testo che si sta cantando in quel momento.
Stiamo lavorando a certe idee e vedremo se potranno essere realizzate in
futuro. Ovviamente non è facile fare numerosi concerti. Nel 2016 abbiamo
partecipato sia al grande Festival di Veruno che al Progressivamente di Roma.
Nel 2017 abbiamo suonato al FIM di Erba.
Non abbondano le occasioni e i gruppi sono davvero tanti. Stiamo
tentando di andare all'estero e quest'anno saremo ad aprile in Germania per il
festival di Reichnbach ArtoRock Festival.
Cerchiamo di ottenere il massimo
mantenendo la nostra dignità: non puoi andare a suonare totalmente gratis o
senza una minima prospettiva di rientro, anche perché si abituano i gestori a
pagare sempre meno, e questo rovina la scena musicale abbassando spesso anche
il livello qualitativo… credo che sia bello poter calcare alcuni palchi per
meriti propri e non pagando, poi oggi ci si può accontentare anche di una via
di mezzo.
"Incanti…" è un disco del 2015: cosa bolle in pentola?
Bollono in pentola un pò di brani. Un
paio sono già pronti e li presenteremo nelle nostre prossime esibizioni, uno l'abbiamo
già suonato a Veruno. Stiamo lavorando per il nostro quarto album e sarà
tendenzialmente diverso dal precedente. L'obiettivo è un ritorno a una
struttura più contenuta dei brani, lasciando sempre più respiro agli strumenti
e alle atmosfere. E’ questo Il traguardo per il 2019.
Come ha inciso il recente cambio di line up sulla vostra musica?
La decisione di Walter di lasciarci ci
ha rallentano un pò nella prova dei brani nuovi, ma rientreremo presto nei
ranghi. Il nuovo elemento Gianmaria Giardino è competente e molto giovane e ci
porterà senz'altro nuova linfa ed energia. Lo vedremo nei prossimi mesi.
Che giudizio vi sentite di dare dell'attuale stato della musica in
Italia?
A livello undergroud è un rigoglio di
band, come sempre. In superficie però siamo sempre alle solite. Il RAP e le
cover band la fan da padroni nei festival, nei locali. La gente affolla i loro
concerti perché vogliono ascoltare quello che già conoscono, o forse perché
questa super produzione (resa facile anche dall'utilizzo dei pc) - anche per
riagganciarci alla prima domanda - è una produzione forse troppo desiderosa di
fare e di arrivare, formazioni che durano il tempo di un cd e poi non esistono
più, persone coinvolte in troppi progetti: forse così non si stanno creando
masterpiece (sarebbe bello poter parlare di questo argomento senza pensare a
nomi in particolari ma a tutta la scena italiana). C'è poca voglia di ricerca.
Ci sono alcuni locali coraggiosi che propongono musica originale e band che
compongono la propria musica. Esiste anche uno zoccolo duro di persone che
affolla i festival organizzati in Italia.
Dovrebbero essercene sempre di più. Cerchiamo di ottenere il meglio da
quello che viene offerto.
Quali sono le prossime occasioni per vedere gli Ubi Maior in
concerto?
Se siete in Germania ci vedremo il 7
aprile per l'Art Rock festival di Reichenbach insieme a tanti altri artisti:
tre giornate di sano progressive rock. Abbiamo poi in programma un concerto in
area milanese a marzo, e per inizio giugno al Progs and Frogs festival a
Cascina Caremma. Vi consigliamo comunque di tenere d'occhio la pagina facebook
degli Ubi Maior oppure il nostro sito www.ubimaiorweb.com
Formazione:
Mario Moi - vocals, violin,
trumpet
Gabriele Dario Manzini - keyboards
Gianmaria Giardino - bass
Alessandro Di Caprio - drums
Marcella Zaubermaus Arganese: electric and acoustic guitar
Gabriele Dario Manzini - keyboards
Gianmaria Giardino - bass
Alessandro Di Caprio - drums
Marcella Zaubermaus Arganese: electric and acoustic guitar