Sono ormai abituato, piacevolmente, alle escursioni
letterarie di Luciano
Boero, cofondatore della Locanda
delle Fate ma, evidentemente, i suoi talenti superano quello per cui era conosciuto ai più.
Ho letto i suoi libri - almeno quelli di cui sono a
conoscenza - e posso dire che so ormai molto di lui, della sua famiglia, delle
sue vicende, dell’evoluzione di un’epoca in un contesto geografico che mi è
chiaro e “vicino” - il Piemonte e confini -, così come mi è consona la scelta
musicale di una vita, un genere che per comodità sintetizzo col termine “Prog”.
Parlando di progressione, devo dire che dalla mia prima
lettura - “La mia chitarra suona il rock”,
quattro anni fa -, passando per “Soldato
da otto soldi”, del 2015, Luciano ha preso confidenza con la penna virtuale,
affinando la sua scrittura che ora appare matura, piacevole e seriosa, capace
di nascondere, e successivamente estrapolare al momento giusto, concetti
giganteschi, che pesano, anche se detti con il sorriso sulle labbra.
Luciano Boero, con questo “Prati di
lucciole per sempre”, chiude un cerchio, e lo fa utilizzando una
parte precisa della sua vita, gli ultimi quarantacinque anni, quelli che hanno
visto la nascita, lo sviluppo, l’accantonamento e il rifiorire di un progetto
incredibile, quello legato alla prog band Locanda
delle Fate. E le vicende personali trovano punti di riferimento e legame
nei particolari attimi di esistenza, un continuo rincorrersi di eventi
puntellati da rimembranze sonore.
E’ un romanzo… che cosa, meglio della vita vissuta, potrebbe fornire
gli elementi appropriati?
E’ una storia… fatta di amicizia solida e di grandi
soddisfazioni professionali, con un elemento preponderante, la passione, che dovrebbe
essere didattica pura per i nostri giovani, che potrebbero trarre insegnamento dall’impegno/entusiasmo
messo da Boero & friends su di un’impervia via verso la realizzazione di un
progetto ambizioso, dove le sole skills sarebbero risultate insufficienti per
raggiungere la meta.
La Locanda delle Fate, dal punto di vista meramente musicale,
non aveva niente da invidiare alle band coeve più famose, e il motivo
principale che impedì loro il grande successo commerciale nei seventies - quello che ti
consegnava alla storia - è legato al leggero ritardo temporale rispetto ad
altri gruppi. Sembra impossibile da spiegare, ma è successo a molti, e in
alcuni casi il “disco nel cassetto” è uscito solo a distanza di lustri: se si
proponeva musica originale e di qualità, legata alle linee guida romantiche in
voga all'epoca in ambito rock, lo si poteva fare entro il ’75, prima che
cantautori impegnati e la “Disco” frivola saturassero il mercato. E così un
album come “Forse le lucciole non si
amano più”, uscito nel 1977, non poté avere grande successo di vendite,
quello richiesto dalle etichette discografiche: anche in quei giorni antichi la
parola “businnes” imperava, seppur mascherata da altri sostantivi.
Ma che soddisfazione presentarlo in RAI! Ragazzi talentuosi
della provincia che dimostravano di avercela fatta, arrivando allo stadio più
elevato, quello che contava ieri, quello che conta oggi.
A volte i sogni si avverano, ed è di un grande sogno che
Luciano scrive, un obiettivo separato dall’evolversi della linea temporale, se
è vero che la Locanda è tuttora in attività.
Non so se esistono contenitori di vita paragonabili a quello
della musica, dove il passare del tempo può fornire delle seconde chance
potenti, che oltrepassano quindi ciò che è stato.
Il tempo scorre inesorabile,
e l’esperto, il “non più giovane”, trova davanti barriere insormontabili, in
qualsiasi rappresentazione del quotidiano, ma la storia raccontata dall’autore
testimonia che esistono possibilità di rivincita, e riprendersi uno spazio
perso, che spetta di diritto, è a volte possibile.
Le vicende della Locanda sembrano arrestarsi ad un certo
punto, momenti in cui la realtà si erge davanti come muro invalicabile, e le
scelte diventano obbligate: una famiglia da creare e coccolare, un lavoro da
migliorare, una carriera da perseguire. Ma le passioni, quelle vere, non si
affievoliscono mai, ed ecco che il nuovo millennio regala soddisfazioni enormi
e inaspettate, con i successi Giapponesi - dove la Locanda è considerata band
stellare -, messicani, europei e, of course, italiani.
E’ anche l’occasione per ripercorrere quasi mezzo secolo di
fasi musicali salienti presentate da altra prospettiva, quella solitamente ad
appannaggio degli addetti ai lavori, e lo svolgersi del racconto permette di
entrare nei dettagli, nei meandri più reconditi, per carpire aspetti tecnici e
sottolineare relazioni umane che a volte entrano in conflitto, ma trovano
sempre un punto di incontro, se l’amicizia viene considerata il valore più
importante, il collante che cementa per sempre. Senza tale “corrispondenza di
amorosi sensi” - sì, e di amore che si parla, per la musica e per chi aiuta a
crearla con unità di intenti - non sarebbero spiegabili le fatiche protratte
nel tempo a cui si sottopongono Luciano,
Oscar, Alberto, Leo, Michele, Giorgio, Ezio, tanto per
citare la line up di “Forse le lucciole…”,
e trovarli ancora oggi sul campo fornisce il senso della famiglia allargata,
pronta a condividere gioie e dolori, con intemperanze e ripensamenti, perché
“le teste” in una casa sono spesso di diverso pensiero, come è giusto che sia.
Tra le pagine si leggono i nomi di figure mitiche della
musica, e come sempre accade l’effetto domino porta a ripescare cose ormai
dimenticate, accanto a fatti recentissimi, e le ere si mischiano, condite da
aneddoti e citazioni.
Resta un sottofondo dolceamaro, la sottolineatura di un
cerchio che inevitabilmente si chiude… si chiuderà per tutti noi, troppo
presto, qualunque sia il momento che qualcuno ha scelto in nostra vece.
Scrive Luciano Boero nell’ultima pagina: “Nonostante un oceano di acqua sia passato
sotto i ponti, la mente va ancora alla cantina di Corso Savona. Non era
certamente la brama di denaro o di successo a tenerci incollati agli strumenti
fino a notte fonda. Cos’era allora se non la voglia di dar corpo ai nostri
sogni?”.
Sogni perseguiti, sogni realizzati… e arriva il tempo della
serenità.
La reunion degli anni ’90 culmina con un album che avevo
sottovalutato, ripescato proprio a seguito della lettura. Il nome è “Homo homini lupus”, e fu accolto con
meno entusiasmo del precedente, forse perché in logica deviazione rispetto al
riferimento di “Forse le lucciole…”.
In realtà presenta sonorità più adatte ai tempi, ma, per chi ama incanalare
tutto in etichette precostituite, lo si può considerare a tutti gli effetti un
disco di neo prog. Riascoltandolo, sono rimasto fortemente colpito da un brano,
“La fine”, di cui parlerò in altro
articolo nei prossimi giorni. Credo sia il più rappresentativo della parabola
che più o meno volontariamente Boero ha tracciato nel suo libro, e la metafora
da lui inventata - è suo il testo - ci racconta in pochi versi una realtà che
diventa sempre più nitida mano a mano che i giorni scorrono rapidi. La musica
di Ezio Vevey e gli arrangiamenti della band forniscono al brano un sapore
aulico, carico di spleen, e tutto questo lascia il segno.
La Locanda delle Fate ha annunciato il tour di addio per il
2017: forse ci sarà un’altra reunion nel 2027, chi può dirlo! Ma se così non
fosse resterà comunque la loro musica, e grazie a Boero anche una storia
abbinata ad essa.
Credo che Luciano abbia scritto soprattutto per sé stesso,
per metter a posto la punteggiatura della sua vita, per non lasciare nulla di
incompiuto, ma tutto questo dispendio di energie potrebbe diventare un ausilio
per chi verrà dopo di noi, perché la storia va studiata, aiuta a capire e ad
agire per il meglio, e La Locanda delle Fate è STORIA!
Un libro che consiglio caldamente, a chi ama la musica e a
chi è interessato ai “banali segreti” della vita. E in tutto questo l’elemento
anagrafico perde ogni valore…