venerdì 13 settembre 2013

Gibonni - 20th Century Man, di Gianni Sapia


È lo stato d’animo, più d’ogni altra cosa, che fa la differenza. La risposta che la nostra interiorità dà agli stimoli esterni, creando turbinii di sensazioni che sublimano il nostro essere, rendendolo magnificamente imperfetto ed incostante. La volubilità dell’essere umano è cosa nota, piccole ed inconsistenti nuvole in una giornata dominata dai venti. Sarcofagi epidermici di sentimenti viscerali alla mercé di spazio e tempo. Vulnerabili a immagini, odori, colori, parole, sfumature, sviste, contatti, suoni. Vulnerabili a tutto ciò che facilmente penetra l’artefatta corazza di cui sembriamo essere rivestiti. L’uomo si nutre delle sue sensazioni, che scaturiscono da altre sensazioni di esseri umani capaci di plasmare, capaci di esprimere l’irrazionale che hanno dentro. Poeti, scrittori, scultori, pittori, musicisti, artisti. L’evoluzione dell’uomo è l’evoluzione dei suoi sentimenti e la sensibilità degli artisti il suo fertilizzante. Mi sono un po’ perso nei casini della mia mente, d’altra parte sono un essere umano, magnificamente imperfetto ed incostante. Facciamo ordine. Gli ingredienti erano: stati d’animo, sensazioni, volubilità, vulnerabilità, evoluzione, arte… ma certo! Ora ricordo! Gibonni! TOC TOC. Busso prima di entrare e chiedo permesso. Con crescente reverenza mi accosto al mondo di Gibonni, artista croato mio coetaneo (è nato a Spalato il 13 agosto 1968) e capisco la mia premessa. Nasce e vive in una terra che nel corso degli anni ne vede di tutti i colori, ma resta fedele all’idea che la sua musica sia un mezzo per aiutare la gente a capire e ad affrontare le difficoltà, ne intuisce gli stati d’animo, le sensazioni, ne comprende la volubilità, difende la vulnerabilità delle persone dovuta a quei momenti e ne aiuta l’evoluzione con la sua arte, con la sua musica. Anche lui ha una sua evoluzione, che va dall’heavy metal degli esordi con il gruppo Osmi Putnik (ovvero l’Ottavo Passeggero, da titolo croato del film Alien), fino all’attuale rock popato (se esiste il termine jazzato, perché non dovrebbe esistere il termine popato?) del suo ultimo album 20th Century Man. 


Gibonni, alias Zatlan Stipisic, abbandona la sua lingua natia per questo lavoro e sceglie l’inglese, per respirare aria internazionale, per andare oltre la linea d’orizzonte che il mare della sua Spalato disegna davanti ai suoi occhi. Croazia e dintorni sono per lui terre conosciute, dove la sua fama è ormai consolidata, per questo parte verso ovest, alla ricerca di nuovi mondi, come Colombo, per questo l’inglese. E poi l’inglese è la musica del rock. La stessa rock è una parola inglese. L’arabeggiante Hey Crow apre l’album e mi regala subito una sensazione di Robert Plant e Jimmy Page in No Quarter, salvo alternanze maggiormente melodiche. Hide The Mirror è la prima di più di una ballata presenti nell’album, con la sua giusta dose di pathos, che non può mancare in una ballata rock, dove pianoforte e chitarre ne caratterizzano la linea sonora. Linea ripresa in Broken Finger, altra ballata dal gusto dolce, profumata di tramonto sul mare. Nuvole magiche attraversano il cielo di My Cloud e disegnano emozioni sulla pelle di chi ascolta. È una canzone che ti fa venire voglia di abbracciare qualcuno, chiunque, il primo che incontri. Nella title track il rock ritrova i suoi più caratteristici connotati. Marcature nette di chitarra, basso e batteria personalizzate da aperture di fiati, un qualcosa che sa di Huey Lewis & The News, ma più piccante, con tanto di lieve isterismo finale. E tra le ballate si può inserire anche Kids In Uniform, anche se l’arrangiamento va oltre la ballata rock e in alcuni passaggi ha qualcosa di acido, psichedelico, di progressivo, fino a sfociare nei cori dei Kids, che ne fanno un brano davvero sui generis. In My Brother Cain, Gibonni spreme dal suo stomaco tutta l’intensità di cui è capace, regalando all’ascoltatore un’interpretazione davvero intensa, che fa il paio con la musica dai toni epici. E l’artista continua a spremere sangue dal suo cuore con la successiva She Said, brano da cantare tutti insieme allo stadio, con gli accendini accesi. Nothing Changes è un’ulteriore conferma di quanto ascoltato fin ora. Emozioni e sensazioni forti, sentimenti esposti che bruciano come ferite bagnate dall’alcool. Il rocker croato ci saluta con il pezzo, a mio parere, più bello dell’album. Con Ain’t Bad Enough for R’n’R si ritorna alla semplicità e all’allegria del rock’n’roll, alla sua immediatezza, schiettezza, alla sua meraviglia pirotecnica. Si conclude ridendo insomma.
20th Century Man è un album con cui Gibonni vuole dare una svolta alla sua carriera, questo è evidente e si avvale di collaborazioni importanti, come quella con Andy Wright, già collaboratore di artisti del calibro di Simply Red, Eurythmics, Simple Minds, Pavarotti. L’album ha connotati internazionali ed una maturità artistica spiccati, ma soprattutto si sente la forza di un uomo del ventesimo secolo, legato alla genuinità della vita reale, legato al quotidiano, ancora distante dal quel mondo freddo e virtuale che il futuro sembra riservarci e che ha avuto la sua evoluzione di uomo attraverso paura e tormento, gioia e serenità, attraverso la vita vissuta, che ha voluto raccontare ed esprimere con la musica, con la sua musica, con la musica più bella che c’è, con il rock.