giovedì 20 agosto 2009

"Effetto Pop"- Innocenzo Alfano


A inizio giugno ho partecipato alla presentazione di un libro, “Effetto Pop”, di Innocenzo Alfano.
Il resoconto di quella gradevole serata passata allo studio Maia di Genova è fruibile al seguente link:
http://athosenrile.blogspot.com/search/label/Innocenzo%20Alfano

Nell’occasione non avevo emesso particolari giudizi, preferendo l’attenta lettura piuttosto che “l’impressione da dibattito”.
Solo in questi giorni di vacanza mi sono buttato su “Effetto Pop”.
Il motivo di tanto ritardo è legato al fatto che accumulo libri, che poi vado a leggere secondo un ordine preciso e cioè rispettando il FIFR, acronimo coniato in questo momento, che sta a significare “First In, First Read”, ovvero… chi arriva per primo viene letto per primo (e gli altri in coda).
A volte faccio qualche deroga, ma in questo caso proprio non potevo, preso dal timore di dover “troppo controbattere”.
Se fossi un professionista dovrei scegliere una logica precisa per commentare una lettura, ma non lo sono (non è falsa modestia, ma un dato di fatto) e posso quindi permettermi… voli pindarici, approfittandone per mettere in campo le mie convinzioni.
Parto da una mia precedente affermazione( meglio dire speranza) che espressi su questo blog a Natale, quando nella mia letterina di fine anno consigliavo ai miei occasionali lettori un regalo per i figli: uno strumento musicale.
Ce ne sono di tutti i tipi e di tutti i prezzi e una chitarra o un flauto, al posto di un gioco della play station, possono fornire inaspettati stimoli dai sorprendenti risvolti.
Non è demagogia, in casa mia ci sono strumenti in quantità industriale, con cui mi diverto e con cui “giocano” i miei figli.
Cosa c’entra tutto questo con Innocenzo Alfano?
Uno dei suoi dogmi dichiarati, con cui concordo pienamente, è che per fare musica in modo ortodosso occorre conoscere la materia.
Ci si può anche inventare “musicisti”, ma la maggior parte delle volte si viene scoperti con le mani nel barattolo della marmellata, intenti a rubarla.
Chi si tuffa in queste “spiacevoli” situazioni ha spesso enorme successo di pubblico e questo è davvero frustrante per chi è attento osservatore, musicale e non.
A volte ci troviamo davanti a peccati di giovinezza e la saggezza legata all’età fa si che anche musicisti di successo sentano il bisogno di completarsi, nel segno del “non è mai troppo tardi”.
Un esempio che mi viene in mente è quello legato all’artista che mi ha dato le maggiori soddisfazioni, Ian Anderson.
Non ho mai sentito nessuno muovergli critiche per il fatto di essere un autodidatta… critiche a LUI, inventore di qualcosa che prima non esisteva nella grande famiglia del rock!
Eppure, a distanza di lustri dalla sua incredibile performance di Wight (mi sono sempre chiesto cosa provò il pubblico, abituato al rockblues tipico di quei raduni, nell’ascoltare”My God” , per me sintesi di perfezione e innovazione) Ian, influenzato dal know out musicale della figlia, sentì il bisogno di ricominciare da capo e “studiare “ seriamente il flauto, prendendosi una lunga pausa dal palco, deciso a cambiare totalmente la tecnica di esecuzione.
Immaginiamo uno sciatore dilettante che dopo 20 anni di discese da autodidatta si affida ad un maestro!!!
Dietro a cambiamenti simili non ci sono motivazioni economiche, ovviamente, ma solo la volontà di sentirsi “adeguato” da tutti i punti di vista musicali, avendo la certezza/speranza di poter dare sempre di più al proprio pubblico e a se stessi.
Questa lunga divagazione mi serve per concordare con il concetto base che Enzo fa emergere a più riprese: non ci si inventa musicisti, anche se chiunque può fare musica e avere sconfinato successo di pubblico.

“Effetto Pop” è un saggio da tenere come riferimento in una corretta biblioteca musicale.
Ritengo non sia un libro per tutti e dopo spiegherò il perché.

Alfano ci presenta mezzo secolo di storia musicale attraverso analisi scientifiche.
Ci racconta dell’importanza di Battisti e dei Beatles come apripista e conduttori verso un nuovo e affascinante percorso. Ci parla di artisti sopravvalutati e di altri poco considerati, nonostante la qualità tecnica. Opera da iconoclasta nei confronti di mostri sacri come Stones e Velvet.
Il coraggio non gli manca !
Ma è sufficiente andare un po’ controcorrente e dimostrare onestà intellettuale per scrivere un libro significativo?
Posseggo innumerevoli testi legati alla musica, ma mai avevo trovato un tale accanimento (in questo caso termine da considerarsi positivo) nello sviscerare il singolo problema, la singola canzone o il singolo album.
Enzo utilizza una ferrea disciplina che lo porta ad arrivare all’essenza dell’argomento trattato, avendo adeguata cultura musicale, ma soprattutto un inusuale rigore scientifico.
E le sue convinzioni, le sue conclusioni, sono spesso ripetute sotto diversa veste, come se ci fosse la consapevolezza che certi concetti non sono poi così facili da digerire, e quindi rimarcare ed evidenziare a più riprese non appare come l’imporre a tutti i costi il proprio pensiero, ma un metodo necessario al “riportare a terra” un scritto che ha bisogno di una certa metabolizzazione.
Questo trattato colto (non so se era nelle intenzioni di Alfano concepirlo così) non è quindi un libro per tutti, o meglio lo può diventare se l’effetto domino provocato dalla curiosità( e gli appassionati di musica sono generalmente curiosi) porta poi ad approfondimenti e a voglia di migliorarsi e di mettere in discussione il proprio credo radicato nel tempo.
Le note sensibili, le pentatoniche, gli accordi maggiori o minori, rappresentano cibo per pochi, ma non è detto che non possano trovare diversa diffusione.
Vorrei possedere la capacità di Alfano di analizzare una qualsiasi canzone e spaccarla in quattro, cercando le sfumature che sono dettagli per i più, ma note rilevanti per gli studiosi della materia.
Dalle pagine del libro, così come dall’incontro di giugno, un gruppo in particolare ne esce massacrato. Parlo dei Rolling Stones, dei quali Alfano salva un paio di dischi su una produzione che si dipana per nove lustri.
Ritengo (ma anche Enzo lo scrive) che gli Stones siano utilizzati come simbolo, come massimo esempio di gruppo sopravvalutato, ancorché considerato il più grande in assoluto degli ultimi 50 anni, ma le citazioni potevano essere diverse e numerose.
Non starò ora a fare l’apologia degli Stones , gruppo che ho amato molto, ma che ricorderei allo stesso modo se avesse concluso la carriera a metà seventies… in quegli anni sono state scritte canzoni da brivido, ma da un certo punto in poi le “pietre rotolanti” hanno trovato la loro principale giustificazione ad esistere essendo un' imbattibile macchina da soldi.
Nel corso del dibattito allo studio Maia, ricordo di avere obiettato che la pochezza tecnica di Keith Richards rispetto ad illustri colleghi, ad esempio, poteva anche essere considerata come inesperienza legata alla gioventù( il Richards chitarrista ritmico di oggi non mi pare malvagio!).
In fondo anche Pete Towshend a vent'anni spaccava solo chitarre, ma poi è riuscito a immaginare il mondo di internet quarant'anni prima che qualcuno lo realizzasse!
Ma esiste un atteggiamento di fondo in cui ritrovo molte differenze tra me e Enzo, tra il semplice appassionato di musica e lo studioso della materia.
Ciò non significa che la ragione debba risiedere assolutamente da un lato o dall’altro, ma semplicemente che ognuno vive la musica nel modo che più lo soddisfa, a seconda del proprio retroterra musicale e culturale, e le varie posizioni possono convivere.
La musica mi fa stare bene, ma non sono in grado di dare una spiegazione razionale al fatto che preferisco un gruppo piuttosto che un altro, ad esempio.
Sono solito dire che mi bastano trenta secondi di ascolto di un nuovo brano per capire se non lo riascolterò mai più o lo farò “passare” mille volte.
Questo è qualcosa di inspiegabile, che sfugge all’abilità tecnica, all’assolo virtuoso, alla genialità del compositore e dell’esecutore. Stessa cosa per i concerti… spesso la musica si mischia al contorno e non si sa bene quale sia l’aspetto più importante.
Ho sentito dire al bluesman Fabrizio Poggi che la diversità tra lui e il pubblico, durante i concerti , è solo nella differente posizione, uno di fronte all’altro, ed è questa una cosa che verifico spesso.
Da “Effetto Pop” emerge anche un senso di frustrazione, lo stesso sentimento che provo quando accade come un mese fa, quando mi sono trovato con altri 300/400 cuori palpitanti, a vedere Jack Bruce o Eric Burdon e la mia mente andava a certi indecenti cantanti italiani , capaci di riempire stadi come se niente fosse!!”
O come quando scopriamo che ragazzotti usciti dalle “fiction” defilippiane arrivano nientepopodimeno che al disco di platino dopo una sola settimana di vita.
O come quando penso che per fare un buon disco di musica prog ci si impiega anche due anni e per fare una canzone che vince Sanremo bastano poche ore!
E così, scorrendo le pagine del libro, si scopre che al povero Alfano è stata fatta un’offerta allettante legata allo “scrivere di musica”, salvo poi scoprire che esistono condizioni, paletti e scarsa libertà di espressione, e il ribellarsi ai condizionamenti porta alle conseguenze più ovvie.
I compromessi fanno parte del nostro quotidiano, ma non tutti li accettano, preferendo magari il ruolo di novelli Don Chisciotte, sperando che prima o poi la storia cambi.
Io, che ribadisco, sono un “utente della musica”, e non un attento musicofilo come Innocenzo Alfano, sono arrivato alla scontata conclusione che la musica non sia in grado di cambiare il mondo, come qualcuno ha creduto in tempi lontani, ma abbia un potere enorme, che è quello di far stare bene, di abbattere le barriere di ogni tipo, di incrementare la socializzazione, di vivere di azione … non solo passivamente.
E’ per tutto questo che rivedendo Keith Emerson sul palco, a distanza di anni, non mi sono soffermato sui suoi errori palesi, ma mi sono lasciato coinvolgere dall’evento; è per tutto questo che vedendo Roger Daltrey senza voce, sotto un nubifragio, non ho pensato a niente di imperfetto e mi sono goduto il più bel concerto della mia vita.
Questo è l’istinto e la razionalità che io rappresento.
La razionalità e l’istinto musicale sono sicuramente racchiusi nel DNA di Innocenzo Alfano, ma la sua capacità analitica e il suo coraggio sono qualità “per pochi”, qualità che impregnano “Effetto Pop” , anche se occorre avvicinarsi alla lettura senza preconcetti.
Che strano, soltanto oggi ho scoperto, grazie a Innocenzo Alfano, che i 45 giri di cui ci nutrivamo un tempo erano da 7 pollici: il dato è stato davanti ai miei occhi per anni e non me ne sono mai accorto!

Innocenzo Alfano (Cosenza, 1971) si è laureato in Scienze Politiche e in Cinema Musica Teatro presso l’Università degli Studi di Pisa. È autore dei seguenti volumi: Fra tradizione colta e popular music: il caso del rock progressivo. Introduzione al genere che sfidò la forma canzone (Aracne, 2004); Verso un’altra realtà. Cenni di strategia compositiva e organizzazione dei brani nella musica rock, da Jimi Hendrix al rock progressivo (Aracne, 2006); Argentina e Brasile: quale politica comune? Tentativi di strategia politica unitaria dalla presidenza Frondizi al Mercosur (Il Coscile, 2006). Scrive per contrAPPUNTI, quaderno quadrimestrale del Centro Studi per il Progressive Italiano.

1 commento:

Gianni Greco ha detto...

Ok, va tutto bene, libera espressione ecc... ma perchè di ogni cosa che il genere umano riesca ad estrinsecare dal proprio animo si debba durante o a posteriori cercane un significato che vada bene a questo...a quello, o a tutti. Nel caso specifico della musica, e ancor di più il ROCK, per il musicista, e io lo sono, è un'auto celebrazione del proprio io musicale, prescindendo se vi sia pubblico o no ad ascoltarlo,per l'ascoltatore, più o meno colto, pare sia solo una questione di sensazioni provocate dalla musica ascoltata. Poi, criticare, sezionare chirurgicamente la carriera di un musicista, mi pare pretenzioso e presuntuosamente ridicolo. Questo è il sistema degli pseudo intellettualoidi salottieri che mai hanno capito, e mi si permetta la licenza poetica, UN "CAZZO"di ciò che vuol dire mettere le mani su uno strumento e tirar fuori qualcosa di raro e originale, prescindendo dalla bravura tecnica, poichè, e questa è una mia ferma idea, ARTISTA E' COLUI CHE CREA E NON CHI ESEGUE. Ecc.. Quindi, rispettando l'Alfano, di pagine se ne possono imbrattare a iosa, ma di Roling Stones e simili se ne inventano uno ogni MAI. Questo vale per tutti i grandi fenomeni che in tutti i campi la storia umana è riuscita ad esprimere.
Gianni Greco.