martedì 30 settembre 2008

Graceland



Graceland, maggio 2008

Dopo una settimana di lavoro americano avevo ormai perso la speranza di vivere qualcosa di unico.
Di ogni viaggio oltreoceano ho ricordi indelebili, sia in vacanza che “on businnes”. Nel secondo caso gli impegni giornalieri non lasciano spazi adeguati, ma la sera - o la mezza giornata libera - solitamente regala qualche sorpresa.
Sono quei momenti che mai avrei pensato di vivere, attimi che lasciano il segno. Ne avrei a decine da raccontare, ma la mia soddisfazione non ha niente a che vedere col mettere in piazza le mie occasionali fortune per proporle come oggetto di vanto, ma è piuttosto un continuo ricordare a me stesso che la vita mi ha dato qualche opportunità che va al di là delle gratificazioni materiali .
Ritengo che gli episodi piacevoli che hanno caratterizzato un percorso, siano un buon ausilio nei momenti difficili, una specie di album fotografico che è dentro di noi, che possiamo scorrere a nostro piacimento, senza condividerlo, in qualsiasi luogo ed in qualsiasi momento.

Oggi devio il mio proposito e provo a descrivere un episodio del mio ultimo viaggio.
Ovviamente lo faccio perché ha un forte legame con la musica.
Jackson è in Tennessee, ed è a metà strada tra Nashville e Memphis, a un’ora di auto .
Come non essere attratto da queste due città musicali?!
Ma questa volta il tempo manca davvero e incomincio a pensare che il mio sogno di comprare una chitarra sul posto, sfruttando il cambio favorevole, rimarrà solo un proposito.
A Jackson non trovo niente di interessante, salvo qualche CD. Ci sono solo centri commerciali, ristoranti e pompe di benzina. Mi rimane un’unica possibilità che prevede lo spostamento a Memphis, al venerdì , giorno che precede il ritorno a casa.
A Memphis c’è una cosa che occorre assolutamente vedere, se si è nei paraggi: Graceland, ovvero la dimora di Elvis PresleyE’ vicinissima all’aeroporto, e l’hotel in cui ho prenotato è ad un tiro di fucile. Prendo un taxi alle 4 p.m. e mi ritrovo davanti ad una Cadillac azzurra, con su scritto “Welcome to Graceland".
Lo scorso anno, a metà agosto, il TG raccontava del solito pellegrinaggio nella Elvis’s House, in occasione del giorno della sua morte, e ricordo di aver pensato a quel luogo come a qualcosa di irraggiungibile. Impensabile per me partire dall’Italia con lo scopo di una visita simile, il Rock and Roll non è esattamente il mio modello musicale, ma entrare in quel luogo di culto, girare tra quelle stanze, e vedere le cose appartenute a Elvis, rappresenta un’esperienza davvero emozionante. La musica che non vedi e non senti ti entra dentro. I sui dischi, i suoi cimeli, le chitarre, i suoi vestiti, le sue foto, emanano i suoni che solo le persone con fine sensibilità musicale possono udire.
Graceland è una fabbrica da soldi. Non so se in parte vadano in beneficenza, come si dice, ma anche l’aria che si respira costa. All’entrata mi impongono di lasciare la videocamera in un armadietto apposito. Mi accingo a farlo, con molto dispiacere, e mi accorgo che oltre ad obbligarmi ad un’operazione dolorosa mi fanno pure pagare un dollaro per l’utilizzo del box.
In questa zona sono situati tutti i negozi e alcuni musei che custodiscono le auto e le moto di Elvis. I due aerei sono visibili anche dall’esterno. Non ho il tempo per tutto e mi accontento di prendere il bus che mi porterà al di la della strada, dove e’ situata la casa, immersa nel parco.
La visita non è guidata, ma un comodo traduttore aiuta a comprendere i dettagli. Che emozione trovarsi davanti alla porta di ingresso! Elvis promise ai genitori che avrebbe fatto fortuna con la musica e una volta ricco avrebbe acquistato, anche per loro, una casa adeguata.
Si entra in gruppo. Il piano visitabile è solo il pianterreno. Ci viene raccontato che il piano superiore è chiuso al pubblico per mantenere inviolata la parte più intima dell’abitazione. Come si fa a girare tra le varie stanze senza pensare che quella moquette è stata calpestata da chi ha fatto la storia della musica!? Non ci sono vani enormi, anzi. L’arredamento è discutibile, e anche se parliamo di mezzo secolo fa è palpabile l’esagerazione e la voglia di ostentare, come di solito fa chi passa da condizione modesta a esagerata ricchezza. La stanza dei divani colpisce per i colori giallo e blu e soprattutto per le tre televisioni antiche, che Elvis guardava in contemporanea, emulando il presidente Johnson. Su di una parete si erge il simbolo del lampo, traduzione dell’idea di Presley di trattare gli affari nel segno della rapidità. La stanza dello svago presenta ancora un originale”sette” sul panno del biliardo, operazione di un amico maldestro. E poi la jungle room, davvero inguardabile, se si pensa allo stile. Ma ad ogni passo è un’emozione nuova. All’esterno la vista non riesce a misurare il parco verde e ben curato. La piscina è circondata da fiori ed è situata proprio di fronte alle tombe di Elvis e dei familiari.


Non c’e’ tristezza nei visitatori, l’ambiente è troppo sereno. Io non so più da che parte guardare e mi emoziono all’idea di visionare un gran pezzo di storia, della musica e non. E’ facile chiudere gli occhi e ricordare i film di un tempo, dove “Elvis the Pelvis” cantava, suonava, amava, giocava. E la parte migliore della sua vita, quella più felice, è circoscritta all’interno di Graceland, perché come sempre accade, le soddisfazioni maggiori arrivano dalla sfera privata. Tutto questo è palpabile .
O forse è l’atmosfera che è riuscita ad influenzarmi e a condizionarmi. Mi guardo attorno e vedo tanta gente normale, coppiette fresche di matrimonio (riconoscibilissime), anziani, bambini, maschi e femmine, tutti apparentemente incantati. Riprendo il bus che ci riporta all’origine. Mi riapproprio della videocamera e mi dedico ad un minimo di shopping. Se non lo facessi me ne pentirei amaramente. Dopo enorme selezione acquisto una cintura per chitarra con su il marchio di Elvis, e il quadrettino con l’immagine della porta d’ingresso, con su scritto “We have visited Graceland”. Giusto un ricordo. Sono le 5 pm. È passata solo un’ora ma mi sembra un’eternità. Tante emozioni, forti e concentrate, fanno perdere la cognizione del tempo.
Ho ancora tutta la serata per me. La downtown si chiama Beale Street. Là troverò musica blues, artisti incredibili, gente ammalata di musica… esattamente come me. Potendo scegliere, sarebbe quello il mio mondo ideale!


Alle nove p.m. esatte mi trovo casualmente davanti ad uno dei luoghi che avrei voluto trovare nel corso della settimana. Deviando da Beale Street, incuriosito dallo stadio dei Grezzly (NBA) vedo in lontananza un’enorme luce che illumina la via. L’insegna luminosa riporta il nome “GIBSON”.

Nei depliant trovati in hotel e’ contemplata la possibilità di una visita guidata al laboratorio Gibson per la modica spesa di 10 dollari. Le vetrine propongono ogni ben di Dio. Ma a quest’ora della sera tutto è chiuso e forse è un bene per me. Ritorno nel cuore di Memphis, trascinando i piedi dalla stanchezza. E’ tardi ormai, saluto idealmente tutti i musicisti e prendo un taxi. L’autista è somalo e trova strano che io voglia sedermi accanto a lui. Gli racconto della mia giornata a Graceland e della visita alla tomba di Elvis. Lui ride di gusto e dice:” Ma c'è ancora qualcuno che crede che Elvis sia morto?! “.




giovedì 25 settembre 2008

Bachman-Turner Overdrive


Dedico oggi poche righe ad un gruppo che ho sempre identificato con un solo brano, "You Ain’t Seen Nothing Yet" e, alla fine di stringate note biografiche, presento il filmato relativo.

Loro sono i Bachman-Turner Overdrive, e hanno lasciato tracce significative che provo a riassumere.

La rock band Bachman-Turner Overdrive venne creata nel´72 in Canada dal chitarrista Randy Bachman, che aveva appena lasciato i The Guess Who.

Dopo aver arruolato il fratello Robbie alla batteria, il bassista Fred Turner e Chad Allan, Bachman nominò inizialmente la band Brave Belt.

Con questo nome pubblicarono due album, prima di diventare, nel 1973, BTO, rendendo omaggio alla rivista per camionisti “Overdrive”.


I singoli “Takin’ Care of Business” e “You Ain’t Seen Nothing Yet” diventarono hit mondiali e l´album “Not Fragile” scalò le chart.


Nel ´77 Bachman lasciò il gruppo per tentare la carriera solista.





martedì 23 settembre 2008

Pat Metheny



Prosegue il mio viaggio tra i virtuosi della chitarra...

Pat Metheny , uno dei più celebri musicisti jazz, è anche un apprezzato compositore che ha saputo creare brani che attraversano differenti stili musicali. Il suo gusto personale si esprime in contesti molto vari. La formazione di Pat Metheny spazia da chitarristi come Jim Hall alla musica classica. Il suo primo album, "Bright Size Life" (1976), coniuga delicati paesaggi sonori con suoni stratosferici, frutto di elaborate armonizzazione. Formò successivamente un nuovo quartetto e incise vari allbum, tra cui "American Garage" (1979), nel quale crea effetti orchestrali tramite un sinstetizzatore per chitarra ed esegue una varietà di assoli che vanno da lirici a complessi.
Metheny dichiara di suonare la musica che gli piacerebbe ascoltare; con grande curiosità, la sua musica risulta contaminata da numerose influenze, classiche ed esotiche.




In particolare, tra le altre, si annovera anche la musica brasiliana. Metheny ha vissuto in Brasile e si è esibito in concerti con molti musicisti brasiliani, come Milton Nascimento e Toninho Horta.
Metheny ha citato anche Ornette Coleman tra le sue fonti, di cui ha ripreso numerosi brani nei suoi dischi. Con Coleman ha anche inciso "Song X".

A sua volta, Metheny ha influenzato numerosi musicisti più giovani; ne è la prova il grande numero di sue composizioni riprese da altri artisti ed il numero di giovani musicisti che di volta in volta collaborano con il Pat Metheny Group.
È grande amico del chitarrista di jazz napoletano Antonio Onorato.
Sicuramente Wes Montgomery è stato un punto di riferimento per Pat Metheny, primo chitarrista apprezzato da Pat quando ancora era molto giovane e assisteva ai suoi concerti.

Ascoltiamolo.


Minuano






venerdì 19 settembre 2008

R.E.M.



Nel corso della serata dedicata al “mandolino nel rock”....

da me descritta alcuni giorni fa,è stato presentato il filmato di “Loosing my Religion”, dei R.E.M., gruppo che in quel brano ha utilizzato lo strumento “della mia settimana”.
Qualche nota su i R.E.M.
Il 19 aprile del 1980 i R.E.M. si esibiscono per la prima volta in pubblico, nella loro città , Athens, in Georgia; la formazione è composta da Michael Stipe (nato il 4 gennaio1960, voce), Peter Buck (nato il 6 dicembre 1956, chitarre), Mike Mills (nato il 17 dicembre 1958, basso) e Bill Berry (nato il 31 luglio 1958, batteria). Il loro seguito cresce e si infoltisce tra i coetanei della University of Georgia . Lo stile iniziale si avvicina molto alle melodie e alle sonorità dei Byrds, ma riprende al contempo echi punk e ricorda, a tratti, l’energia dei primissimi Who. I R.E.M. sono considerati uno dei gruppi più importanti del rock americano degli ultimi 25 anni. Subito dopo essersi formati, all’inizio degli anni ’80 ,esce il primo disco, “Murmurs” (1983) e loro diventano una delle realtà più importanti del college-rock nazionale. Fin da subito, il loro marchio di fabbrica è un suono che unisce il folk rock degli anni ’60 a un’attitudine rock e new wave ispirata alla New York degli anni ’70 (Patti Smith e i Television). Per i primi cinque dischi, però, la band rimane un nome di nicchia.


Il grande salto arriva tra il 1989 e il 1991: i R.E.M. firmano per la major Warner, che pubblica “Green” (a cui segue il primo tour mondiale) e successivamente “Out of time” (1991), che li consacra star internazionali grazie al singolo “Losing my religion”.
La band decide di non andare in tour per diversi anni, e passa il resto del decennio tra sperimentazioni folk (“Automatic for the people”, 1992, da molti considerato il capolavoro del gruppo) e rock. Il batterista Bill Berry lascia nel 1997; per la band inizia una nuova fase. Seguono tre album di studio (il primo è “Up”, 1998) segnati da un suono intimista e da ballate malinconiche, oltre a diverse raccolte. La band riprende ad andare in tour con regolarità, ma è solo tra il 2007 e il 2008 che si concretizza il ritorno al rock, prima con la pubblicazione di “R.E.M. Live”, quindi con l’annuncio di “Accelerate”, previsto per la primavera 2008.

Loosing my Religion



Citazione del giorno:
"Oggi gli apostoli sono rari, sono tutti padreterni." (Alphonse Karr)

lunedì 15 settembre 2008

Settimana del Mandolino

Ed ecco la settimana che non ti aspetti!

Raccontarla esaurientemente in un solo post non è cosa facile…. si rischia di perdere le infinite sfumature, a volte più importanti dell’evento principale.
Metterò alla prova la mia capacità di sintesi( ma so già che fallirò miseramente).

LA NOTIZIA

E’ un sabato di luglio , sono sulla spiaggia , sotto all’ombrellone,e mia moglie mi fa notare come nel quotidiano che sta leggendo sia presente un inserto che , tra le altre cose, parla di una settimana dedicata all’apprendimento del mandolino.
Come non approfittare di simili occasioni?
Da qualche anno avverto a Savona un occhio di riguardo per particolari iniziative a carattere culturale, e se parliamo di musica rock, la mia prima “malattia seria”, dal 2003 ad oggi evidenzio che parecchi miti ,universalmente riconosciuti, hanno “toccato” la mia città.
Ma la settimana che qualcuno ha deciso di regalare ai cittadini savonesi ha qualcosa di diverso.
E’ aperta a tutti, non è richiesta nessuna destrezza o conoscenza particolare, non è necessario possedere lo strumento,è praticamente gratuita.
Gli orari di lezione sono flessibili, in funzioni delle esigenze personali .
L’iter prevede l’apprendimento delle nozioni di base, con il simpatico risvolto della formazione di una piccola orchestra (credo 30 allievi, di ogni età) che nella serata finale dovrà esibirsi sul palco del Teatro Chiabrera, ricordando a tutti i presenti che con la passione e con l’impegno, i risultati arrivano sempre e comunque.

IL PROTAGONISTA

Ma chi è l’artefice di tutto questo?
Sicuramente toglierò qualche merito organizzativo, per mancanza di informazione, ma alla base della manifestazione c’e’ Carlo Aonzo che, assieme ai suoi collaboratori, ha permesso che tutto ciò potesse avere luogo.
Ma chi è Carlo Aonzo?
Senza scomodare biografie ufficiali, che tutti possono reperire in rete, penso di poter dire che è il top dei mandolinisti , ed è famoso a livello internazionale, per la sua arte non comune..
Alcune cose mi legano a lui , anche se praticamente l’ho conosciuto solo nel corso di questa settimana.
Un paio di anni fa, la Comunione delle nostre figlie ci ha portato …sullo stesso ”palco”, l’altare appunto, dove abbiamo accompagnato il momento solenne con i rispettivi strumenti, lui il mandolino ed io , indegnamente accnto a lui, la chitarrra.
Francamente non sono riuscito a comprendere chi avessi realmente vicino, proprio non avevo idea di chi fosse e quale importanza avesse, in ambito musicale.
Casualmente abbiamo un amico comune, un mio collega di Parigi che insieme alla moglie persegue la via dei concerti ed è cultore dello strumento.
Alla fine tutto si collega e ci si fa un’idea più precisa.
Ma potevo rinunciare a questa occasione?
Chi mi conosce bene sa che il mio attaccamento alla musica , in senso lato, è quasi maniacale.
Quotidianamente ne scrivo, ne parlo e mi diletto con ogni strumento mi capiti in mano.
Poco importa che io non abbia il talento dell’artista, la mia soddisfazione è comunque assicurata.
Gli amici sanno anche che ho dovuto adattare un garage al contenimento degli strumenti , che crescono e non trovano spazio in casa.
Ora ho anche un mandolino elettrico ,acquistato nel corso della settimana , a cui collegherò un multieffetto, e da cui farò uscire tutto ciò che potrò.

LE LEZIONI

Ma come si presenta una lezione tipo?
Prendiamo come riferimento un giorno di metà settimana, momento in cui gli allievi raggiungono un minimo di confidenza con l’attrezzo del mestiere.
Chi può, arriva prima dell’ora di inizio lezione, approfittando così dell’attesa per esercitarsi.
A seconda del grado di apprendimento raggiunto ci si divide in differenti aule, sotto la guida dei diversi docenti (io ne ho visti tre).
Lettura delle note sul pentagramma, scale, accordi e la preparazione del brano da presentare a fine corso.
Sto parlando di “Dance Tonight” , di Paul McCartney (facilmente trovabile su youtube).
Dopo 30 minuti i gruppi si uniscono, con piccole prove generali che evidenziano , a mio parere, il grande risultato raggiunto da tutti.
E poi consigli, richieste, domande, tutte cose che dimostrano interesse reale verso uno strumento che forse poco tempo fa sarebbe stato impensabile tenere tra le mani.



L’INTERMEZZO

Prendendo sempre il riferimento di metà settimana , segnalo una serata molto interessante.
Il tema era :“L’utilizzo del mandolino nel rock”.
Questa è musica per le mie orecchie!
Tra le tante mie passioni specifiche , ce n’e’ una che sovrasta le altre ed è l’amore per il gruppo che ho sempre definito “della vita”.
Sto parlando dei Jethro Tull, che spesso hanno utilizzato lo strumento in questione.
Ho quindi aderito con piacere all’iniziativa .
Da una vita non entravo al Filmstudio e alle 21.15, la piccola ma graziosa sala era pressoché piena.
A contribuire , artisti Israeliani,appena arrivati in Italia,e pronti ad esibirsi sul palco del Chiabrera , a fine settimana.
Mi riferisco a ,”The Israeli Plectrum Orchestra” , formata da trenta giovani orchestrali , ospiti della città.
È questa l’occasione per favorire il contatto tra differenti culture utilizzando, nello specifico, lo scambio tra musicisti e corsisti.
Sul piccolo palco del filmstudio, sono protagonisti , oltre ad Aonzo , che funge anche da traduttore, Ferdinando Molteni (credo che in questo caso sia predominante il suo amore per il rock rispetto alla “veste” ufficiale) e Sandro Signorile.



L’accostamento strumento/rock avviene attraverso i loro commenti ,coadiuvati dalla proiezione di filmati.
Si passa dai “miei “ Tull a Rod Stewart, dai Led Zeppelin ai R.E.M.
Ma come quotidianamente mi accade, scopro cose assolutamente nuove per me, quei particolari che mi spingono poi a ricerche infinite.
Ne elenco tre.
1)Rory Ghallagher …mai visto al mandolino…e che pezzo!!!
2)Ry Cooder….credevo fosse una chitarra umana, ma suonare così anche il mandolino …mi fa stare male !!!
3)John Hiatt . Appena arrivato a casa mi sono tuffato nella rete ed ho compilato un post per questo Blolg , che lo riguarda.

Un aneddoto su Aonzo ci viene raccontato da Molteni.
E’ un episodio rock e mi colpisce .
Pare che Carlo abbia avuto la possibilità di suonare assieme (o al suo cospetto, non mi è chiaro) a John Paul Jones, grande bassista dei Led Zeppelin.
Ecco un possibile dialogo.
Tanks a lot Carlo
Why?”
Because you showed me the Aonzo’s scale”.

La “Scala Aonzo” è una particolare sequenza di note “inventata dal padre di Carlo, anche lui noto musicista savonese, scala che ovviamente è stata tramandata al figlio.
Dovrò chiedere se esattamente è andata così, Carlo mi sembra molto riservato, e non incline a questo tipo di pubblicità, ma la sostanza resta.

La serata prosegue tra battute e scambi , in bilico tra italiano ed inglese, e si arriva alla piccola esibizione di tre giovanissimi e stanchissimi (appena arrivati a Savona) Israeliani , che danno dimostrazione delle loro qualità.

Mi alzo soddisfatto , il dibattito non c’è stato, ma sono personalmente molto contento, in attesa delle prove del sabato e, soprattutto, della performance, che di sicuro resterà come ricordo indelebile.

IL CONCERTO

Trovarsi sul palco dalla parte “misteriosa”, fa un certo effetto.
Si respira qualcosa di antico, si riflette sui personaggi illustri che hanno occupato i camerini, si respira l’aria delle prove, entrando in un alone di austerità che non è imposto da rigidi regole, ma emana spontaneo , in qualsiasi modo ci si ponga.
Gli spessi tendoni rossi,gli strumenti attorno a noi (la spinetta di Elena Buttiero basta da sola ad incutere estremo rispetto), persino le sedie, stanno lì a ricordarci che, per almeno un paio di minuti, metteremo da parte il divertimento, e ci impegneremo alla morte.
Quando niente ci divide più dalla platea, siamo pronti , a semicerchio, e si parte.
Di questo momento, di altri successivi, propongo immagini registrate da mano inesperta.
Chiedo venia, consolandomi col fatto che almeno il ricordo audio rimane.



In un lampo arriviamo al termine , credo soddisfatti, e godiamo della lettura dei nostri nomi .

A seguire Elena Buttiero , alla spinetta, e Carlo Aonzo.
Non ho nessuna competenza specifica per commentare, ma rilevo un gradimento assoluto, derivato anche dalla scoperta di un abbinamento strumentale per me sconosciuto.




Dopo l’intervallo l'attesa esibizione degli ospiti, vale a dire il concerto della “The Israeli Plectrum Orchestra”.


Nel filmato di presentazione che propongo, sono evidenziate le peculiarità degli abitanti della città israeliana da cui gli orchestrali provengono, luogo di cui non ricordo il nome.
Lo spettacolo è davvero notevole.
Trenta mandolinisti (e in un paio di occasione una cantante eccezionale) che, guidati da un maestro carismatico sciorinano brani che “penetrano” anche i profani come io purtroppo sono.
Il pubblico ascolta in religioso silenzio e sottolinea ad ogni fine brano il gradimento,con insistiti applausi.


Quando si arriva alla “Italian Fantasy” , verrebbe voglia di cantare e seguire i musicisti sul palco e trattenersi risulta difficile.
Si termina con una chicca, un brano riscritto dal maestro israeliano appositamente per Carlo Aonzo, e consegnato nell’occasione dell’incontro al Filmstudio.
Carlo si unisce quindi all’orchestra per la chiusura della serata.

C’e’ agitazione ora dietro ai tendoni rossi.
Tutti si salutano, si complimentano, si ringraziano ed io trovo l’occasione per parlare con la capogruppo dell’orchestra , scambiando poi con lei l’indirizzo mail.
Questo si che è un vero contatto tra mondi diversi!!!
Siamo fuori adesso e continua a piovere.
Carlo propone un ultima foto mista davanti all’entrata principale.



E’ l’ultima fatica, prima di un gelato savonese che pare sia particolarmente apprezzato dai nostri nuovi amici.

LO SCOPO

Inserisco come atto terminale i propositi dichiarati di Carlo Aonzo.
L’occasionale lettore potrà quindi giudicare autonomamente, dopo la mia descrizione, se lo scopo è stato raggiunto.
Quello che penso io credo sia chiaro, ma in qualità di “addicted to music” non posso rappresentare l’oggettività fatta persona.
Ma in una manciata di giorni mi sono avvicinato ad uno strumento nuovo , ho iniziato ad usarlo con soddisfazione e sicuramente proseguirò e approfondirò , passando altri input ai miei figlioletti, come sempre faccio.
Forse,a questo punto, dovrebbe esprimersi Carlo, raccontando l’esperienza dal suo punto di vista.
Proverò a chiedere…..tra qualche giorno.

Ed ecco il sunto del suo pensiero ante corso.

Il mandolino caratterizza una delle grandi tradizioni italiane.
Molte famiglie posseggono, magari in un angolo nascosto , un vecchio mandolino, ricordo della ricca attività musicale tipica di tutta Italia.
Fino a tempi molto lontani , infatti, la musica del mandolino era protagonista nelle feste ed il suo studio era una costante dei momenti liberi, per distrarsi, dopo magari una giornata di lavoro.
Nel tempo questa tradizione si è purtroppo dispersa , incalzata dai ritmi di vita e nuove abitudini , ma non per questo , il suo fascino è minore.
Il mandolino, infatti rimane sempre un compagno fedele per chi lo sa apprezzare: versatile, istintivo da imparare e in grado di creare un’atmosfera magica , con il suo suono semplice ma dalle infinite sfumature espressive.
Ecco perché il mandolino è uno strumento di famiglia , quasi un parente che si è un po’ allontanato, ma che merita di essere riscoperto , ed ecco perché abbiamo pensato a provocare questo tipo di coinvolgimento: il mandolino unisce, è facile da imparare ed è molto divertente
.”

Io una risposta la devo dare, utilizzando il mio pensiero radicale , conosciuto dai miei più vicini compagni di viaggio musicale, e proponendo un’ immagine della giornata di sabato.
Credo che poche cose come la musica abbiano la capacità di far socializzare gli uomini e di azzerare le differenze di qualsiasi tipo.
Ho diversi esempi di come , al cospetto di un evento musicale, possano convivere persone di colore diverso, il “nobile “ ed il meno nobile , il povero ed il ricco, l’uomo felice e l’infelice, che nell’occasione riesce a mutare il proprio stato d’animo.
Fuggo sempre dalla retorica e da i luoghi comuni e scrivo solo ciò in cui realmente credo.
A confortare le mie parole , un piccolo episodio accaduto ieri.
Nel corso delle prove generali del mattino, una corsista che avevo conosciuto nei giorni precedenti,comunica che non sarà presente alla sera, nell’occasione finale.
Mi dice poi alla fine della prova che alla base della sua rinuncia c’è la difficoltà di incastrare tutti gli impegni familiari.
Come la capisco!
Alla fine lascia una porta aperta , promettendo di provare ad essere presente almeno per quei pochi minuti di palco.
La ritrovo alla sera nel backstage, e commentando entusiasticamente l’esperienza fatta, mi dice :”Sai, sarebbe bello che Carlo ci desse l’opportunità di proseguire, magari una volta a settimana, con orari di comodo, e poi…se lui è in giro per il mondo, pazienza possiamo vederci lo stesso e strimpellare tra di noi!”

Carlo , forse un seme lo hai gettato ……nel campo giusto.

Un ultima cosa per la serie "The last but not the least".
Probabilmente le persone da ringraziare sono tante ed io non ne sono al corrente, ma rimarco l’importanza di Piera, moglie di Carlo,che ha lavorato duramente nella zona oscura, fuori dai riflettori, e con una cospicua prole da sostenere.
Sì, proprio una settimana da ricordare…..



venerdì 12 settembre 2008

John Hiatt



Esattamente un' ora fa ho ascoltato per la prima volta...

il filmato a seguire, e per la prima volta ho sentito parlare di John Hiatt .
Quante lacune ho!!!
L'occasione è stata una serata dedicata al seguente argomento: Il Mandolino nella Musica Rock.
Parlerò in maniera diffusa di ciò che mi è capitato questa settimana, quando arriverò a domenica.
Per poter far conoscere ad altri questo artista devo copiare di sana pianta ciò che ho trovato in rete , poche righe che pubblicizzano il suo disco, "Same Old Man".

Dice il recensore:
Non conoscevo questo artista finchè non ho trovato un post che tesseva lodi incredibili a questo album.
Me lo sono procurato e ne sono rimasto davvero incantato!
Uno splendido rock-melodico che scalda il cuore, fino alla leggendaria “Hurt me baby” ,alle ballate che stizzano l’occhio al country, richiamando alla mente le stupende immagini della provincia americana, alla struggente “Love me Again”.
A completamento questo favoloso prodotto il sapere che è stato realizzato da un vero cantautore tra il rock ed il blues, praticamente da solo, con pochissima tecnologia sostituita da strumenti essenziali, tanto mestiere ed un cuore dal calore infinito.
Su qualche sito è stato stranamente recensito in maniera non proprio entusiasta, soprattutto in confronto all’album precedente “Crossing Muddy Waters” .


Ma a me sembra un grande artista ed il brano ,Cry Love, sicuramente piacerà i lettori del blog.






Citazione del giorno:

"Il sapere e la ragione parlano, l'ignoranza e il torto urlano!" (anonimo)

mercoledì 10 settembre 2008

Pearl Jam

A volte scopro canzoni meravigliose....

che esistono da una vita e che io non conosco.

Girando per la rete si trova anche ciò che non si cerca, come accade nei centri commerciali, dove entri per quello che realmente necessita ed esci col superfluo. Ma se parlo di musica l'aggettivo superfluo è bandito.

Una di queste "perle nascoste" si chiama "Better Man" .


Ho trovato queste notizie .

Better Man (qualche volta scritta come Betterman) è una canzone dei Pearl Jam, scritta Eddie Vedder quando era ancora al liceo, performata dal vivo dalla sua prima band, i Bad Radio. Considerata "apertamente una grande canzone pop" , i Pearl Jam erano riluttanti nel registrarla e rifiutarorono di inserirla in "VS" a causa della sua accessibilità. Better Man appare sull'album "Vitalogy". Mai rilasciata come singolo (una pratica della band per incoraggiare le vendite dei CD), divenne comunque una delle canzoni dei più suonate e mandate in onda per le radio. La canzone raggiunse la prima posizione della Mainstream Rock Tracks chart di Billboard, il secondo sulla Modern Rock Tracks chart, e la numero tredici nella Top 40 Mainstream. Rimase per ben otto settimane in cima alla Mainstream Rock Tracks chart. Al tredicesimo ASCAP Awards, Better Man fu citata come una delle canzoni più performate del 1955.
Nei concerti dei Pearl Jam, il verso lento di apertura viene cantato spesso sia dal pubblico che da Vedder.
La canzone spesso viene proposta in un medley con la canzone "Save It For Later" della band Beat. Nell'ultimo concerto del tour "Vote for Change", nel 2004, Vedder apparve sul palco con Bruce Springsteen e cantò "Better Man" su richiesta di Springsteen; numerosi nel pubblico cantarono con lui.
La canzone fa parte del cosiddetto "Man Trio" ("Better Man, "Nothingman"" e "Leatherman") suonata occasionalmente nei concerti.


Significato del testo .

Sebbene ci siano molte idee differenti riguardo l'origine della canzone, variando da un possibile relazione abusiva nella quale un uomo è coinvolto oppure ad una donna, spesso si è pensato che la canzone fosse dedicata al suo patrigno.

Prima di suonare la canzone durante lo show di Atlanta il 3 aprile 1994, Vedder disse chiaramente:
« È dedicata al bastardo che sposò mia madre. »

BETTERMAN
Aspettando, guardando l'orologio,Sono le quattro, bisogna fermarlo Diglielo, non aspettare ancoraLei prova a dirlo tra sé e séLui apre la porta Lei si gira dall'altra parteFinge di dormire mentre si voltaFino a quando lui non prova a guardarlaLei mente dicendo che lo ama.Non può trovare un uomo miglioreLei sogna a colori, sogna in rossoNon può trovare un uomo migliore Parla con sé stessa Non c'è nessun altro Che abbia bisogno di saperlo Lei lo dice tra sé e sé I ricordi ritornano a quando era coraggiosa e forte E aspettava che il mondo arrivasse Lei giura che lo sapeva Ora maledice che lui se ne sia andato Lei mente dicendo che lo ama Non può trovare un uomo migliore Lei sogna a colori, sogna in rosso Non può trovare un uomo migliore Lei lo amava Non vuole abbandonare questa abitudine Lo difende Ecco perché lei tornerà indietro Non può trovare un uomo migliore.




Citazione del giorno:
"La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare" (Arthur Schopenhauer )

lunedì 8 settembre 2008

East of Eden


Gli East of Eden vennero formati in Inghilterra nel 1967 ....

da un manipolo di brillanti musicisti.
L'ensemble si assesto` presto in un insolito formato a cinque.
Mente e braccio del gruppo, nonché membro fisso fino al 1975, era il violinista e polistrumentista Dave Arbus (più famoso forse per aver suonato lo storico assolo finale di "Baba O’Riley" degli Who).
A lui si affiancava nella formazione originale il sassofonista Ron Caines, nonché il chitarrista e cantante Geoff Nicholson, il batterista Dave Dufont e il bassista Steve York, anche se questi ultimi due avrebbero lasciato il gruppo appena dopo le registrazioni del primo album.
"Mercator Projected "(1969) propose una miscela di improvvisazione ed esotismo trapiantata su strutture hard-rock (Northern Hemisphere), jazz (Isadora), folk (Waterways), classicheggianti (Communion) e persino pop (Bathers).
Le fantasie piu` spigliate (In the Stable of the Sphinx, Centaur Woman) erano delle piccole Valentyne Suite (Colosseum).
“Snafu” viro` verso un jazz-rock da classifica che frutto` il singolo Jig-A-Jig, ma causo` anche il divorzio da Caines.
Arbus ridusse gli East Of Eden a un trio e registro` un album, “East Of Eden” (1970), di country music.
Dopo “New Leaf” (1971) anche Arbus lascio` il gruppo.
Arbus sarebbe finito a suonare il violino nei gruppi di Richard Sinclair.


Nel 1996 tre dei pilastri della formazione originale - Ron Caines, Dave Arbus e Geoff Nicholson – si ritrovano assieme a registrare un nuovo album sfruttando il moniker East Of Eden; “Kalipse” (1997), tuttavia, è ben lungi dal riprendere il discorso iniziato negli anni 60, e si rivela un album di fusion piuttosto pigra, salvato a stento dal solito ineccepibile Arbus ("5th Amendment"), mentre la sezione ritmica, fornita da un bassista di scarso profilo e da un’insipida drum machine, fa acqua da tutte le parti.Armadillo (2000) versa un po’ di pepe nella minestra e si dimostra una sapiente e gustosa variazione sul tema; più versatile del suo predecessore, offre una visione d’insieme dell’abilità di Arbus e soci di spaziare tra diversi stili, conservando una patina unitaria: anche gli arrangiamenti sono decisamente più curati.
"Graffito "(2005) è il terzo, e probabilmente ultimo, album della serie, ma non aggiunge molto agli ingredienti del proprio predecessore.
Sia che decidano di andare avanti nei loro nuovi panni fusion, sia che abbiano raggiunto la fine della loro tormentata carriera discografica, gli East Of Eden di Dave Arbus saranno sempre giustamente ricordati per il loro favoloso debut-album più che per qualsiasi cosa pubblicata in seguito.
E’ un vero peccato che le circostanze avverse non abbiano saputo trasformare questa band in uno dei nomi di punta del rock anni 70, è ancora più triste che al nome East Of Eden siano ormai legati dischi mediocri che non hanno niente a che fare con i capolavori di un tempo, da riscoprire e rivalutare.



Citazione:
"Solo i grandi sapienti ed i grandi ignoranti sono immutabili" (Confucio)


giovedì 4 settembre 2008

Museo Rosembach



Ho chiesto aiuto alla rete per raccontare qualcosa del Museo Rosembach.


Lo scorso anno ho visto "Zarathustra " dal vivo , eseguita da "Il Tempio delle Clessidre", guidate dal vocalist originale del Museo Rosembach, Stefano "Lupo" Galifi.


"Nominate il Museo Rosenbach e vedrete una scintilla negli occhi di ogni appassionato di rock progressivo europeo.
Il loro Zarathustra è generalmente considerato uno dei migliori esempi di questo genere, al di fuori dell'Inghilterra.

Eppure il gruppo non ebbe tanto successo all'epoca, avendo anche dei problemi per le presunte inclinazioni politiche di destra, a causa della copertina tutta nera, dell'immagine di Mussolini nel collage della copertina,dei testi ispirati da Nietzsche.
Il Museo Rosenbach nacque dalla fusione di due gruppi della fine degli anni '60 provenienti da Sanremo, La Quinta Strada e Il Sistema, intorno al 1971, e la prima formazione comprendeva anche il futuro componente dei Celeste, Leonardo Lagorio al sax e flauto.


Le uniche registrazioni lasciate dal Sistema sono uscite in LP e CD della Mellow negli anni 1991-92, mentre la Quinta Strada era una cover band.
I brani di Zarathustra erano già pronti alla fine del 1972, quando il gruppo venne contattato ricevendo l'offerta di un contratto con la Ricordi, interessata a lanciare nuovi gruppi progressivi come il Banco del Mutuo Soccorso e la Reale Accademia di Musica, e il loro album fu pubblicato nell'aprile 1973.
La lunga suite Zarathustra sulla prima facciata è probabilmente il loro brano migliore, con leggere influenze classiche e le tastiere in evidenza come nella migliore tradizione del prog italiano, ma anche la seconda facciata, con i suoi tre brani più brevi, ha alcuni momenti eccezionali.


Il cantante "Lupo" Galifi ha una voce molto personale e il tastierista Pit Corradi aggiunge un tocco di originalità al suono del gruppo.
Il Museo Rosenbach ha avuto una breve esistenza, sciogliendosi subito dopo l'uscita dell'album e dopo alcuni buoni concerti nell'estate del 1973, e i due CD postumi pubblicati dalla Mellow fanno capire che grande gruppo sia stato.


Il batterista Giancarlo Golzi ha riscosso un grande successo commerciale con il suo gruppo successivo, Matia Bazar, che esiste ancora oggi.
Un nuovo album con 10 brani, Exit, è stato pubblicato nel 2000 dal bassista originale Alberto Moreno e dal batterista Giancarlo Golzi insieme a nuovi musicisti, ma in una direzione molto più commerciale del loro classico album.


Il prodotto più recente di questa nuova formazione è un'apparizione sulla compilation Kalevala dell'etichetta francese Musea, dedicata al poema tradizionale finlandese, con il brano "Fiore di vendetta".
Il cantante del Museo Rosenbach, "Lupo" Galifi, fa ora parte del Tempio delle Clessidre, gruppo che nel febbraio del 2007, in concerto a Genova con i Delirium, ha suonato l'intero Zarathustra."



MUSEO ROSENBACH

Zarathustra - Ricordi (1973)
Recensione originale tratta da "Ciao 2001".


Almeno sotto il profilo statistico, è un buon momento per i complessi italiani: ne nascono a decine e registrano dischi con relativa facilità; inoltre il pubblico ha modo di conoscerli direttamente grazie ai festival ed alle manifestazioni varie che soprattutto il mese di giugno ha visto nascere.
Naturalmente l'inflazione fa capolino, e chi ne risente, oltre al pubblico che resta confuso, sono gli stessi musicisti: costretti ad accettare compromessi di vario tipo per giungere all'incisione, a rincorrere il miraggio della superstrumentazione e della superamplificazione che poi non sono in grado di mantenere, delusi dopo i primi inevitabili insuccessi e magari troppo presto abbandonati da chi inizialmente ha creduto - o finto di credere - in loro; o, nella migliore delle ipotesi, stretti nella morsa degli impegni - che ne logorano il fisico ed il morale ripercuotendosi sulla bontà della loro produzione artistica.
Capita così un po' dappertutto, ma in Italia le cose che non funzionano in questo campo sono particolarmente numerose.
E allora, fra un nome nuovo ed un altro, occorre scegliere con estrema attenzione: per conto mio ben pochi dischi italiani sono passati per le colonne di questa rubrica.
Dei due gruppi di cui mi occupo questa settimana, uno è all'esordio, l'altro è il risultato della scissione dei New Trolls.
Il Museo Rosenbach, un quintetto genovese, dedica il suo album a Zarathustra, la cui disperata ricerca del superuomo - si dice nelle note di copertina - non vuole realizzarsi nell'immagine del violento condottiero di razza pura, come è stato erroneamente e tristemente interpretata, bensì nella serena figura dell'uomo che, vivendo in comunione con la natura, tende a purificare da ogni ipocrisia i valori umani. Ed infatti "l'uomo-museo", scelto dal gruppo quale proprio segno distintivo, è "lavaggio del cervello, utopia e falsità".
La musica del Museo è il rock melodico tipico dei gruppi italiani, del Banco soprattutto, con le tastiere in primo piano, e con gli eccellenti contributi di mellotron e moog che, se usati con parsimonia e con la dovuta funzionalità, posseggono sempre un fascino tutto loro.
Ci sono gli inevitabili agganci alla musica classica; ma come regola per i gruppi italiani, si tratta di semplici spunti ispirativi, o meglio di reminiscenze degli studi intrapresi dai musicisti; oltre che del bisogno di ricongiungersi ad una tradizione musicale che è più vicina alla nostra cultura ed alla nostra sensibilità di quanto non lo sia il rock o il jazz.
Lo schema è quello frastagliato, con passaggi di tempo e di ritmo, stacchetti e marcette, episodi melodici ad ampio respiro, immagini in serie; una tecnica impressionistica che con il Banco e la Premiata ha dato i suoi risultati più efficaci.
Le musiche sono di Alberto Moreno, bassista (e secondo pianista) del gruppo.
E' un fatto rilevante perché poche formazioni in Italia hanno nel bassista il proprio punto di forza.
Tra le due facciate del LP, lievemente superiore la prima.
Enzo Caffarelli


Lupo Galifi ripropone parte di "Zarathustra" assieme a "Il Tempio delle Clessidre"







martedì 2 settembre 2008

Silverhead



Alcuni giorni fa ho trattato l’argomento “Pamela Des Barres”.

Per induzione arrivo al di lei marito (ora ex) e cioè Michael Des Barres, leader della Band inglese Silverhead.
Lord Michael Philip Des Barres, è nato il 24 gennaio del 1948 ed è attore, oltre che cantante.
E’ conosciuto anche per aver ricoperto il ruolo di “Murdoc”, nella serie televisiva “Mac Gyver” e per aver rimpiazzato, successivamente, Robert Palmer nella band “Power Station”, partecipando al Live Aid del 1985.
I Silverhead arrivarono ad un minimo di gloria ad inizio anni 70.
Registrarono in studio due albums, “Silverhead” (1972) e “16 And Savaged (1973), che si possono catalogare nell’ambito del “glam rock” del periodo post Hippies.
In Inghilterra fecero da supporto a gruppi come i Nazareth al Finsbury Park, e Osibisa ale Brixton Sundown.
Iniziarono a lavorare in studio attorno all’abum “Brutiful”, nel 1974 , ma il gruppo “si ruppe”prima di arrivare al termine del lavoro.

La Band :
Rod Davies - percussion, vocals, guitar
Michael Des Barres - vocals
Nigel Harrison - bass
Pete Thompson - keyboards, drums
Stevie Forest - guitar, vocals (on "Silverhead" album)
Robbie Blunt - guitar, vocals (on "16 and Savaged" album)

Registrazioni ufficiali
Silverhead (1972)
16 And Savaged (1973)
Live At The Rainbow (1975) (Live LP, Japan only)
Show Me Everything (2001) (Live CD, Japan only)





Le ultime parole famose:


"E' ormai chiaro che non ci sara' in questo secolo alcuna riunificazione della Germania". (Flora Lewis, New York Times, 1984)



lunedì 1 settembre 2008

Marianne Faithfull



Nella scorsa primavera..... le anteprime dei concerti estivi savonesi...
presentavano la possibilità di vedere Marianne Faithfull, nell’ambito della rassegna “Just Like a Woman”.
Così non è stato, ma se il proposito si fosse realizzato sarei stato tra i primi a comprare il biglietto.
Della sua musica non so niente ed ho solo memoria di “As Tears Go By”, il brano degli Stones (da loro cantato anche in italiano) che Marianne presentò (mi pare) al Festival di Sanremo.
Però vederla dal vivo significherebbe essere a pochi metri in linea d’aria da chi ha vissuto tutto ciò che mi ha sempre interessato ed affascinato.
Pensiamo alla sua presenza davanti al corpo senza vita di Jim Morrison.
La Faithfull, infatti, all'epoca del periodo parigino di Jim era la compagna del conte Jean deBreteuil, amante e spacciatore di Pam Courson (donna di Jim), e si trovava assieme a lui nella capitale francese.

Ecco come è descritto il momento cruciale, nel libro autobiografico di Marianne:

"Stavamo al L'Hotel quando ricevette una chiamata da Pamela Morrison e dovette uscire improvvisamente.
"Jean, voglio venire con te", gli dissi. "Voglio incontrare Jim Morrison".
"Non puoi. Tornerò tra un paio di ore".
"Per favore Jean, per favore!"
"Non ora. Ti spiego più tardi, ok?"
Se ne andò sbattendo la porta.
Tornò alle prime luci dell'alba in stato di agitazione e mi svegliò.
Ero totalmente fusa per via dei Tuinals presi.
Non mi facevo di ero all'epoca ma prendevo un sacco di sedativi.
Poi, per nessuna ragione particolare, mi picchiò.
Ho notato che gli uomini in modo particolare sembrano diventare violenti (in modo abbastanza distaccato) sotto eroina.
Quando mi succedeva questo, la mia reazione naturale era pensare di aver fatto qualcosa per essermelo meritato.
In un'altra vita, forse.
Dopo il pestaggio, accesi una sigaretta e gli chiesi:
"Allora, ti sei divertito là? Hai intenzione di dirmi perchè sei di così buon umore?"
"Prepara le valigie" .
"Perché? Dove andiamo?"
"Marocco" .
"Molto divertente. Siamo appena arrivati" .
"Voglio che incontri mia madre, sbrigati" .
"Oh oooh. Cos'è successo là?"
"Sta zitta!"
"Oh merda!" "
Sì, è un casino" .
Aveva paura per la sua vita.
Jim Morrison era andato in overdose e Jean aveva fornito l'eroina che lo aveva ucciso.
Adesso era un piccolo spacciatore di eroina in un grosso guaio.
Jean si vedeva come lo spacciatore delle star.
Se avesse vissuto più a lungo, avrebbe potuto diventare un essere umano, ma era così giovane, non sapeva.
Nessuno ancora sapeva quale sarebbe stato il prezzo.

Vediamo qualche nota carpita a Fabio Secchi.

Marianne Faithfull nasce a Londra il 29 dicembre del 1946.
All'origine del fenomeno Marianne Faithfull c'è il suo compagno di fumo Mick Jagger, all'origine del suo boom internazionale c'è la musica e una bellezza immacolata, ma maledetta.
Una vita passata a combattere contro la vita, un lavoro, quello dell'artista, che ha contribuito a riabilitarla.
Da parte di madre (la baronessa Eva Erisso, ballerina e attrice della corte di Bertolt Brecht e Kurt Weill), Marianne è la discendente diretta del Conte Leopold von Sacher-Masoch, famoso nobile austriaco del XIX secolo da cui proviene la parola "masochismo" - nonché autore di opere come il libro erotico "Venere in pelliccia" - mentre da parte di padre è la figlia di una spia britannica della Seconda Guerra Mondiale, il maggiore Glynn Faithfull.
Una vita avventurosa e fuori dall'ordinario fin dalle radici della sua storia personale che, infatti, non smentirà le attese.
Studentessa del cattolicissimo Roman Catholic Girls School, assiste al per lei doloroso divorzio dei suoi genitori, decidendo però di seguire la madre a Reading, nel Berkshire.
Da adolescente, frequenta il St Joseph's Convent School, diventando una dei membri del gruppo studentesco del Progress Theatre.
È intorno al 1964, che si interessa alla musica e in particolare al canto, emergendo come cantante di musica folk nelle caffetterie.
È la ragazza giusta nel posto giusto, infatti in una Londra fiorente e stimolante, conosce i Rolling Stones e il loro manager, Andrew Loog Oldham durante un party.
Sono loro a spingerla nel mondo della musica con quello che sarà il suo primo successo musicale "As Tears Go By", cui seguiranno una serie di singoli come "This Little Bird", "Summer Nights" e "Come and Stay With Me".
L'anno dopo, trova l'amore nell'artista John Dunbar che sposa lo stesso anno, coronando il matrimonio con la nascita di un figlio, Nicholas.
Ma purtroppo il matrimonio ha vita breve, principalmente perché Dunbar è un dipendente di eroina all'ultimo stadio.
La Faithfull arriva persino a fuggire dalla propria casa, portandosi dietro il figlio, per evitare lo sfacelo matrimoniale, andando a vivere a Londra dagli amici Brian Jones e Anita Pallenberg. Ma durante questo periodo la Faithfull comincerà ad abusare di marijuana e si legherà sentimentalmente a Mick Jagger.
La relazione durerà fino al 1960 e la coppia diventerà incredibilmente nota, principalmente per i loro eccessi (una notte viene arrestata dalla polizia inglese perché trovata, con solo una pelliccia addosso, nella casa di Keith Richard alla ricerca di droga).
Sono gli anni peggiori per la Faithfull, ormai dipendente dalla cocaina, esce da un coma per overdose e, come se non bastasse, è psicologicamente traumatizzata dall'aborto spontaneo di una figlia (Corrina) che avrebbe dovuto avere da Jagger.
Si ritira nella casa in Irlanda del suo compagno ma non dimentica l'arte, infatti continuerà a scrivere canzoni come "Sympathy for the Devil", ispirato al bellissimo romanzo di Mikhail Bulgakov "Il Maestro e Margherita" e "Sister Morphina", oggetto di una battaglia legale per i diritti d'autore che la contrapporrà al suo stesso compagno, poi risoltasi a suo favore, ma che provocherà la rottura fra i due.
La Faithfull, leggermente ristabilita, divorzia dal marito e trova nell'amicizia con il poeta Allen Ginsberg una nuova linfa e comincia anche a moltiplicare le sue apparizioni sul piccolo schermo: dai programmi televisivi , fino al telefilm e al film tv Anna (1967) di Pierre Koralnik .
Il debutto cinematografico è invece tenuto a battesimo dal grande Jean-Luc Godard che la inserisce nella pellicola “Una Storia Americana” (1966).
La Faithfull si improvvisa attrice, quindi e recita accanto a Orson Welles ne “Il Complesso del sesso” (1967) e a Anthony Hopkins in Amleto (1969), dove offre una splendida interpretazione di una delirante Ofelia.
Il coma, i disordini alimentari, l'alcolismo, la marijuana e i numerosi tentativi di suicidio sembrano ormai lasciati alle spalle, ma non è così.
Purtroppo cade nell'eroina e sorprende tutti quando si scopre che vive come una barbona nelle strade di SoHo. Il motivo? Era disperata per la fine della sua relazione con Jagger e per la custodia persa di suo figlio, andata all'ex marito, ora riabilitato.La sua vita, afferma lei stessa, è in declino.
A nulla valgono le performance accanto a David Bowie e Sonny & Cher: sembra essere condannata all'infelicità.
Fortunatamente un gruppo di amici interviene per salvarle la vita.
Riescono nel convincerla a frequentare un programma di disintossicazione dalla droga: disgraziatamente la Faithfull è uno dei più grossi fallimenti del programma!
Eppure c'è ancora qualcuno che crede in lei, come il produttore discografico Mike Leander,il quale cerca di ravvivare la sua carriera finanziando parte del suo album "Rich Kid Blues".
Ma dopo tanti danni la beffa, l'uso insistente della cocaina e una brutta laringite alterano il timbro della sua voce: non sarà mai più la stessa. Costretta a vivere in un tugurio senza acqua né elettricità a Chelsea, assieme all'allora boyfriend Ben Brierly, un punk della band The Vibrators, nel 1977 riesce a realizzare quello che sarà uno dei suoi migliori successi l'album "Dreaming my Dreams".
Dopo un arresto per detenzione di droga in Norvegia, la sua carriera riprende a volta con l'album "Broken English", parzialmente ispirato al matrimonio con Brierly, avvenuto nel 1979 e che durerà ben 10 anni, attraversando eccessi di fumo, alcol e ancora droghe.
Gli Anni Ottanta sono invece ricordati per la sua lotta contro la dipendenza.
Il punto di rottura arriva a metà del decennio quando sotto l'influenza della droga e dopo una caduta, si rompe la mascella.
Viene ricoverata alla Hazelden Clinic in Minnesota e viene riabilitata lo stesso anno: il 1985.
Viene poi trasferita al McLean Hospital in Massachussetts e una volta disintossicata, va a vivere in un hotel a Cambridge, sposando l'attore Giorgio Della Terza nel 1988.
Continua a fare musica, lavora con Angelo Badalamenti e si appassiona al jazz e al blues, ma anche al teatro.
Gli Anni Novanta la spingono verso i Metallica e a ritrovare persino i suoi vecchi amori John Dunbar e Mick Jagger.
Recita la parte di Dio nel telefilm “Absolutely Fabulous” (1996-2001), poi è diretta da Gus Van Sant nell'episodio “Le Marais” del film corale “Paris , je t’aime” (2006), ed è la madre di Maria Antonietta nel film di Marie Antoinette.
Nel 2007, riceve la nomination come miglior attrice europea per il film “Irina Palm” e attualmente vive a Parigi con il suo produttore François Ravard, collaborando con i Pink Floyd”, Joe Jackson, Daniel Lanois, Emmylou Harris e Frank McGuinnes, ma anche Beck, Billy Corgan, PJ Harvey. Il tutto in barba a un cancro che le è stato diagnosticato nel 2006.
As tears go by