Marzo 1973: i Jethro Tull tornano per la terza volta
in Italia (il primo concerto in assoluto nel Bel Paese era stato quello del 1
febbraio 1971 al Teatro Smeraldo di Milano). Cinque date: il 15 a Vicenza, il
16 a Roma, il 18 e 19 a Bologna, il 20 a Milano. Prima della serata romana
(foto iniziale), intervista a Ian di un ignoto giornalista. Le domande
denotano un certo provincialismo (visto, tra l’altro, che il progressive rock
nostrano era già da due anni abbastanza in auge, con gruppi come la PFM, il Banco
di Mutuo Soccorso, i Delirium, gli Osanna ed altri ancora) ma la preziosa teca
RAI ci restituisce un momento della storia dei JT che ci tocca da vicino e che
molti di coloro che seguono Itullians certamente ricorderanno ...
LP (Luoghi e Personaggi) Dun Ringill (dall’album Stormwatch,
1979): uno dei brani acustici più noti ed apprezzati della maturità artistica
dei JT. Il titolo fa riferimento ad una fortificazione costiera dell’età del
ferro nella penisola di Strathaird, sull’isola di Skye, nelle Ebridi scozzesi.
Sono, infatti,
gli anni (1978-1994) in cui Ian e Shona (con i figli James e Gael) vivono per molta
parte dell’anno proprio a Skye, dove hanno impiantato un allevamento di
salmoni. Gli Anderson sono in quel periodo proprietari della Strathaird Estate,
15.000 acri che comprendono la Kilmarie House, dove la famiglia risiede. Ceduta
poi al John Muir Trust, la tenuta è a poche centinaia di metri proprio dalle
rovine di Dun Ringill.
IPSE
SCRIPSIT-DIXIT
[...] to take the horns by the bull [...] da Saboteur
(album
Under Wraps,1984). Prendendo le corna per il toro Ian ritorna a certi nonsense linguistici, tra ironia
e puro divertissement logico/semantico, che già avevano caratterizzato molta
della sua scrittura precedente (basti pensare a Thick As A Brick, dove l’influenza dello humour surreale dei Monty
Python era evidente). In questo invertire i termini di proverbi e modi di dire
codificati, Anderson ha, senza saperlo, un grande predecessore in Italia: il
sublime Totò di parli come badi e ogni limite ha una pazienza, e di…
Per la serie "L'angolo di Augusto"... il 2° appuntamento.
UNA
COLLANA DI PERLE
Aprile
1969: i Jethro registrano il loro secondo album, Stand Up e,
in quegli stessi giorni, il singolo – ritmo di 5/4 introdotto dal
basso, diventato poi uno dei brani più noti del gruppo – Living
in the Past, che uscirà il mese seguente (sul retro, Driving
Song). Le registrazioni hanno luogo presso la nuova sede dei
MorganStudios di 169-171 High Road, Willesden, nel nord-ovest di
Londra. Nello stesso edificio, come si può vedere nel video, c’erano
stati prima i Grosvenor Studios. Oggi il luogo appare come da foto.
Impossibile
stabilire se il giornalista francese fosse davvero personalmente
presente o se il servizio era un originale inglese poi “ripassato”
in salsa d’oltralpe. Anche se la sincronia suono/immagini non è
perfetta, il video della registrazione originale di quel brano e Ian
(a quei tempi un vero chain smoker,) che suona il flauto con la
sigaretta tra le dita della mano sinistra è da JT videoteca.
LP
(Luoghi e Personaggi)
[…]
So where the hell was Biggles when you needed him last Saturday […]
scrive Ian/Gerald in Thick as a Brick.
Ma chi è Biggles ? Risposta: è il soprannome
dell’avventuroso pilota James Bigglesworth, un personaggio nato
dalla fantasia di James Earl Johns, pilota inglese durante la Grande
Guerra e scrittore di narrativa per ragazzi. Il primo volume delle
avventure di Biggles, dei circa 100 usciti fino al 1968, viene
pubblicato nel 1932 e si intitola The Camels are Coming (“arrivano
i Cammelli”). I Camels in questione non sono i cugini a due
gobbe dei dromedari ma celebri biplani britannici usati nel 1917 sul
fronte occidentale e da Biggles nelle sue prime avventure. Biggles è
nato in India da genitori inglesi, e come tutti gli eroi è aitante,
coraggioso e generoso, un vero gentleman. Ma per i giovani
britannici degli anni ’60 e ’70 rappresenta ormai una tipologia
di eroe troppo legata alla rigida e convenzionale società degli
adulti.
IPSE
SCRIPSIT-DIXIT
[...]
You paid the piper and called the tune[...] da
Slow Marching Band(album The
Broadsword and the Beast, 1982).
L’espressione idiomatica “he who pays the piper calls
the tune”, che sembra sia nata all’inizio del 1600, significa
letteralmente “chi paga il pifferaio chiede la melodia”.
Per estensione “chi paga decide”. Nel contesto della
canzone, la frase è volutamente giocata tra un significato personale
ed affettivo (chi ha dato all’altro di più ha il diritto di
scegliere se continuare o no il rapporto) ed uno professionale (Ian è
l’unico del gruppo non a stipendio, ed è lui, quindi, a pagare gli
altri musicisti ed a pianificare l’attività e la direzione che i
Jethro debbono seguire).
L'amico Augusto Andreoli mi ha inviato il primo di una serie di interessanti articoli legati al mondo "Jethro Tull"
UNA COLLANA DI PERLE
Nel dicembre
1968, i Rolling Stones registrano lo spettacolo Rock and Roll Circus. I
primi ad esibirsi, annunciati da Mick Jagger con un “Ecco per voi stasera il
primo numero dal vivo. Sono i fantastici Jethro Tull!” Ian è infagottato in un
grigio cappotto oversize. Verremo poi a sapere che è lo stesso cappotto che gli
ha consegnato il padre James dicendogli burberamente “You'd better take this. It's going to be a cold winter”
(“Fai meglio a prender questo. Sarà un inverno
freddo”) il giorno in cui il figlio gli annunciava la
decisione di lasciare Blackpool e la famiglia per scendere a Londra in cerca di
fortuna nel mondo della musica. Il brano
è l’ormai leggendario A Song for Jeffrey.
Alla chitarra, Tony Iommi (in seguito chitarrista storico dei Black
Sabbath), una veloce meteora nel panorama dei Tull, praticamente un temporaneo
rimpiazzo di Mick Abrahams in attesa del prossimo – in quei giorni non ancora
all’orizzonte – arrivo di Martin “Lancelot” Barre.
LP (LUOGHI E PERSONAGGI)
Per il primo
assaggio di questa rubrica, let’s go back
in the year one! Il luogo è Dunfermline,
città a 20 km a nord-ovest di Edimburgo. Situata tra il Firth (“fiordo” in
gaelico) of Tay ed il Firth of Forth, ed attraversata dal pittoresco Pittencrieff Park, è l’antica
capitale della Scozia, nota per aver dato i natali a diversi re scozzesi e ad Andrew
Carnegie, imprenditore e filantropo. Famosa è la sua Abbazia, che ospita le
spoglie di Robert the Bruce, re di Scozia ai tempi del celebre William Wallace
(quello descritto nel film Braveheart,
tanto per intenderci). Qui Ian Scott Anderson nasce il 10 agosto 1947, terzo figlio
maschio di padre scozzese e madre inglese. Gli Anderson abiteranno in quel
periodo in Headwell Road prima e in Aberdour Road poi. Nel 1950, la famiglia si
trasferirà ad Edinburgo.
IPSE SCRIPSIT-DIXIT
Da un’intervista al Record Mirror nell’autunno
del 1968:
“I don't agree with people taking drugs or stimulants. They should be
themselves without having to resort to those sort of things”(“Non mi
trovo d’accordo con chi assume droghe e stimolanti. Dovrebbero essere se stessi senza la necessità di ricorrere a quel
genere di cose”).
In una Londra
trasgressiva e psichedelica, quando persino gli ecumenici e rassicuranti Beatles
percorrono le vie che “portano all’oblio” e “aprono le porte della percezione”,
queste parole fanno davvero impressione e danno già allora la misura di una
forte individualità. Chi se lo sarebbe aspettato da uno che in quel periodo
sembrava un incrocio tra uno strafumato hippie ed un clochard avvinazzato…?
Per l’11 settembre è prevista l'uscita ufficiale e commerciale di
ELECTRIC STILLNESS, nella sua seconda edizione.
Ecco qualche
spiegazione di Andrea De Nardi -
titolare del progetto assieme a Matteo
Ballarin- relativamente ai collaboratori musicali.
La line up della nuova edizione diElectric Stillness(tecnicamente
sottotitolata "2012 Reissue") è la stessa
identica della prima edizione. Di fatto ciò che cambia (a livello musicale,
quindi senza guardare grafiche, libretto, ecc…) rispetto alla prima versione è
l'inserimento dell'ottavo brano,Fragments
of theJewel, per il
quale abbiamo richiamato a registrareEdoardo PapeseGiovanniScarabel, i due musicisti che avevano registrato anche tutto il
resto del disco.
E' stata una scelta puramente tecnica, dato che il
brano era già stato concepito e impostato con Edoardo e Giovanni tempo addietro
(in una prima idea di utilizzarlo come "ouverture" ), ma poi non
utilizzato.
Quindi per “Fragments”abbiamo
richiamato Edo e Giovanni per dare un'ovvia coerenza a tutto l'album, che così
non risulta "spezzettato" in due diverse line up.
Detto questo, rimane indiscutibilmente fedele l'attualeformazione della band, che include
invece Manuel Smaniotto e Carlo
Scalet.
Con questa squadra i F.L. svolgono l'attuale attività
dal vivo (concerti, showcase promozionali, eventi, ecc.) e l'attività di
composizione dei nuovi brani per il futuro secondo disco. E' in questi
frangenti che i Former Life includono Manuel e Carlo.
Papes e Scarabel sono quindi associati alla sola registrazione
in studio di entrambi gliElectric Stillness.
NOTE UFFICIALI
ELECTRIC STILLNESS
(2011)
1.
Sundering Jewel
2.
Hijacked
3.
Belong To The Stars
4.
MesmerEyes
5.
London Rain
I. Atlantis’ Descent
II. The Soul Stalactites
III. Final Judgement
6. A
Milligram Of Joy
7.
Electric Stillness
L’album
d’esordio dei Former Life viene pubblicato nel settembre 2011. La prima
versione del disco, a tiratura limitata, è interamente prodotta e distribuita
dalla band. La copertina e le grafiche sono realizzate da Federico Bazzo, da
un’idea della band. Il disco viene presentato in anteprima dal vivo l’8 ottobre
‘11, già con la nuova line-up che include Manuel Smaniotto e Carlo Scalet.
A proposito dell’album:
Electric Stillness rappresenta un percorso circolare, dato che il brano
d’apertura Sundering Jewel, con il suo misterioso preludio “nascente”, e quello
di chiusura, con il suo turbinoso climax finale, sono collegati tra loro; hanno
in comune gli stessi leitmotiv e melodie, ma anche il tema dell’abbandono di una
indesiderata vita (o esperienza) passata ed il crescente desiderio di cambiamento
e rinascita, simboleggiato da un gioiello meraviglioso che si spacca, si divide
[sundering] in due metà. Una vita
vissuta con questa dualità, per metà ancorata al passato e per metà votata al
futuro, è di fatto un ossimoro, riassunto nell’espressione “quiete elettrica” [electric stillness], concetto ambiguo e
sfuggente. Proprio a questo tema sono associate molte delle atmosfere
dell’album, connotandolo in buona parte come un concept.
ELECTRIC STILLNESS – 2012 REISSUE (Riedizione 2012)
1.
Sundering Jewel
2.
Hijacked
3.
Belong To The Stars
4.
MesmerEyes
5.
London Rain
I. Atlantis’ Descent
II. The Soul Stalactites
III. Final Judgement
6. A
Milligram Of Joy
7.
Electric Stillness
8.
Fragments Of The Jewel (Bonus track)
Si tratta di una reissue ufficiale del primo album, finalizzata in
giugno 2012 e poi distribuita da Self Distribuzioni a partire da settembre
dello stesso anno. E’ da considerarsi la versione definitiva dell’album, sia
sotto l’aspetto musicale che grafico.
A proposito dell’album: la band ha registrato, appositamente per questa riedizione, uno
speciale brano dal titolo “Fragments Of The Jewel” (“Frammenti del Gioiello”)
che funge da epilogo dell’opera. All’interno di esso, i principali temi
dell’album vengono ripresi, rielaborati ed intrecciati a nuove parti, formando così
una mini-suite conclusiva di grande effetto, in cui figura anche un
contrabbasso acustico. Alcuni versi del poemetto “The brightest awakening”, già
prefazione scritta di Electric Stillness, accompagnano la traccia. Le nuove
grafiche dell’album (copertine e libretto) sono curate da Jacopo Rossitto e
Andrea Digiorgio.
Nuova edizione
per il cd d’esordio di Andrea De Nardi (pianoforte,
tastiere e voce) e Matteo Ballarin(chitarre
e voce), già noti nell’ambiente della musica progressiva grazie alla
collaborazione con Aldo Tagliapietra,storico
frontman e voce del gruppo Le Orme dal 1965 al 2009. Da oltre un anno i due giovani e
promettenti musicisti veneti compongono la band
dell’ex Orme e hanno partecipato in studio alle registrazioni del suo
ultimo disco, Nella pietra e nel vento“ (uscito
a febbraio 2012 in cd e vinile; distribuzione Self).
“Electric Stillness”, finito di
realizzare nell’autunno del 2011, autoprodotto e senza alcuna distribuzione,
aveva cominciato a circolare con il passaparola tra gli appassionati del genere
prog in Italia e all’estero, facendo parlare di sé. Ora, grazie alla collaborazione di un partner
leader nella ditribuzione come Self, esce questa nuova edizione del cd in super
jewel box con copertina e booklet rivisitati e soprattutto una bonus
track che arrichisce la già preziosa tracklist.
La nuova
edizione si potrà acquistare a partire dal 11settembre in tutti i
migliori negozi di dischi in Italia e all'estero e in digitale nei principali
siti di download.
Nel cd suonano anche:Edoardo
Papes, batteria;Giovanni Scarabel, basso
Compie oggi 65 anniFrancesco "Big" Di Giacomo,cantante e compositore del Banco Del Mutuo Soccorso.
Entrando nel sito ufficiale del gruppo, alla voce "biografia di Francesco Di Giacomo" si trovano poche righe che riporto senza aggiunte, per rispettare i desideri di Francesco.
"A conferma della sua proverbiale originalità, dice unicamente di sé...
Nacque... visse... e si... contraddisse!
Riporto il testo di uno dei miei brani preferiti, unitamente al video.
MusicArTeam
organizza a Noli il concerto post ferragosto del
Tin Pan Alley hot jazz trio.
Solita
fantastica cornice, Piazza Chiappella, e paese stracolmo di
villeggianti, per un 17 agosto ad alta temperatura.
I
TPA presentano una musica inusuale, che rivisita e rimoderna standard
americani dei primi decenni del '900.
La
voce - e strumenti etnici vari – de La
Terribile, si unisce al violino e al mandolino di Tony
Timone e all'ukulele di El
Bastardo.
Ed
è proprio con l'ukulele che inizia la serata, essendo
previsto un workshop gratuito nel centro del paese, avente lo
scopo di avvicinare i curiosi ad uno dei tanti sorprendenti strumenti
che si è soliti idealizzare in un unico contesto preciso,
ignorandone l'incredibile versatilità. Sfortunatamente di curiosi
musicali ne esistono sempre di meno, e lo stage è risultato alla
fine per pochi intimi: momento culturale sprecato!
Ecco
uno stralcio della “lezione”:
Alle 21.30 inizia il concerto e per
un paio d'ore i TPA stupiscono i presenti - davvero tanti -
probabilmente impreparati al cospetto di... antiche novità.
Si
passa dal traditional “Hawaii” al blues di Robert Johnson, da
Mama Cass ai Beatles, dall'italiana “...pippo
non lo sa” ad una coreografica concessione all'HULA, il
tipico ballo hawaiano.
Ironia
e gioco tra un brano e l'altro, e pubblico che dimostra di saper
apprezzare.
La
scena che sintetizza la serata e che rappresenta il valore aggiunto
arriva verso la fine, quando un gruppo di bambini di età compresa
tra i 2 e i 3 anni si siede a terra davanti al palco e lì rimane,
imbambolato, per molti minuti, quasi ipnotizzato dalla musica magica
che si alza dal palco e che li avvolge.
E chissà che i prossimi cadeaux natalizi non prevedano per loro
qualche strumento musicale, come qualcuno proponeva dal palco prima
del concerto... la cultura musicale passa anche attraverso semplici
ed economici gesti!
Il
cantautore Beck crea il panico tra i critici rock
La
notizia è recente: il cantautore statunitenseBeck (da non
confondere con il grande chitarrista, inglese, Jeff Beck) ha deciso
di pubblicare un album in cui il supporto non sarà costituito dal
classico compact disc bensì dalle partiture di una ventina di sue
nuove canzoni. I “fan” in grado di leggere la musica e di suonare
almeno uno strumento potranno così interpretarle a proprio
piacimento e magari sperare di veder pubblicati i loro sforzi sul
sito della casa editrice McSweeney’s, incaricata di promuoverne,
attraverso internet, le versioni giudicate migliori. Il lavoro del
musicista a stelle e strisce uscirà alla fine del 2012 e si
intitolerà Song Reader.
L’idea
è senz’altro originale, e forse anche interessante, ma avrà un
effetto collaterale pessimo per la quasi totalità dei cosiddetti
“critici specializzati”: metterà drammaticamente a nudo la loro
mancanza di specializzazione in una materia come quella musicale –
sia pure riferita al rock – di cui essi stessi si definiscono
“specialisti” (e se sono altri a definirli tali, loro certo non
protestano). Sarà curioso osservare la reazione dei suddetti
“critici” davanti non a melodie diffuse da un altoparlante ma a
pentagrammi riempiti di segni di cui ignorano il significato. Curioso
ed imbarazzante, e probabilmente anche ridicolo (o divertente, fate
voi).
Da
Bertoncelli e Scaruffi in giù, problemi come la teoria, l’armonia
e la storia della musica (per non parlare della pratica...) non sono
purtroppo mai stati il forte per i commentatori rock, soprattutto per
quelli italiani. Alla fine, perciò, credo che i sedicenti “critici
specializzati” si terranno alla larga dal nuovo album di Beck, non
avendo essi una grande confidenza con la grammatica musicale. Oppure,
nel frattempo, visto che l’uscita delle partiture è prevista per
dicembre, potrebbero approfittarne per imparare finalmente un po’
di musica e giustificare così quell’aggettivo, “specializzati”,
fino ad oggi del tutto falso nonché responsabile di parecchi danni
nei confronti della cultura musicale. Ne approfitteranno?
A distanza di otto mesi dal cadeau natalizio, ho terminato la lettura di "Life", l'autobiografia di Keith Richards scritta in collaborazione col giornalista James Fox, antico conoscente del mondo Rolling Stones.
Non parlo di una new in assoluto, essendo un book uscito a novembre 2010, edito in italia da Feltrinelli e tradotto magnificamente da Martino Gozzi,Andrea Marti e Marina Petrillo.
Dichiarare il tempo lungo di lettura potrebbe essere fuorviante ed evidenziare scarso gradimento. In realtà le oltre 500 pagine sono scorrevoli e piene di spunti interessanti per chi, come me, è un appassionato di musica e curioso di saperene di più su tutti quei musicisti che oggi sono un pò meno inaccessibili di un tempo, anche se Richards fa parte degli inarrivabili, e allora carpirne attimi di vita per opera della sua stessa "voce" è sicuramente una buona occasione per andare a fondo e divertirsi a sentenziare.
I Rolling Stones hanno accompagnato parte della mia adolescenza, con quei fantastici 45 giri che ad ascoltarli oggi sembra non abbiano perso neanche un briciolo di forza. Parlo di " Jumpin Jack Flash, Satisfaction, Paint it Black, Dandelion, Honky Tonky Woman, Let's spend the Night Togheter, Lady Jane...", e potrei continuare a lungo. A ripensarci sembra impossibile che ogni brano fosse così efficace! Ma da un certo punto in poi non mi hanno più interessato, diciamo dal 1975..
Anche il tipo di vita pubblicizzato, nonostante la carenza di mezzi di informazione - quei comportamenti ben sottolineati in "Life"- era qualcosa che mi infastidiva e toccava profondamente i miei bisogni - fatto forse anomalo quando si è molto giovani - che erano quelli di non barattare la salute con alcun tipo di successo personale.
Ma cosa contiene questo libro corposo, pesante e pieno di significati? Intanto un percorso di vita, dalla genesi ai giorni nostri, e il racconto permette di conoscere dettagli che... fanno la differenza. A volte tali particolari, specialmente nella seconda parte della storia, diventano noiosi e apparentemente superflui, come se fossero messi sul piatto per modellare l'immagine che, pagina dopo pagina, ha assunto contorni scuri che necessitano di sfumature controbilancianti. Ma la picture globale che ne deriva è quella di un brav'uomo, buono nel cuore, maniaco e a volte pericoloso, ma di pasta ... facilmente trattabile.
Le cose che più mi hanno colpito sono tre: la dissolutezza di quel mondo rock, l'annullamento di ogni coordinata spaziale e il rapporto con Mick Jagger.
Parlare di vite dissolute non ha a che fare con il moralismo. La vita di Richards e Anita Pallenberg - la prima moglie - è stata condotta in modo tale che entrambi dovvrebbero essere oggetto di studio... come mai sono ancora vivi? E' questa una domanda che accompagna il lettore dalla prima all'ultima pagina. E chi penserebbe mai di dare al proprio figlio un educazione come quella ricevuta dal primogenito Marlon?
Nel mondo delle persone importanti pare che gli spazi non esistano. Se per il comune mortale può a volte essere problematico spostarsi col metrò all'interno della propria città, per uomini come Keith Richards sembra che la globalizzazione favorita da internet sia sempre esistita, se è vero con un con solo clic ci si spostava - già a fine anni '60 - da un continente all'altro, e cercare e trovare una persona conosciuta in una metropoli, o darsi appuntamento in capo al mondo, era fatto estremamente semplice. E i suoi racconti descrivono un mondo che si stenta a credere reale, ma che coinvolge il lettore quasi si fosse al cospetto di un noire.
Il rapporto con Mick Jagger è un altra linea guida. Rapporto di odio e amore, conflitto permanente - almeno da un certo punto in poi - viene descritto da Richards per esaltare -attraverso il contrasto - la propria immagine, ma con uno smisurato amore che sembra sia determinante per affermare che loro due, in simbiosi, hanno scritto la storia del rock.
C'è anche molta musica, molto rispetto per gli artisti del passato e per quell'entourage che è fatto di persone determinanti per ogni artista di successo, ma spesso senza volto.
E poi Brian Jones, John Lennon, mamma Doris e papà Bert, GramParsons, Marianne Faithfull, l'attuale moglie Patti Hansen.
A pagina 230 un'utile sottolineatura, un vero motivo per cui si possa considerare Keith Richards un chitarrista innovatore, vale a dire l'utilizzo di certe accordature aperte e la rinuncia alla sesta corda, il MI greve.
Ecco le mie considerazioni di qualche tempo fa, quando a metà lettura sentivo l'esigenza di raccontare la "tecnica Richards":
Album
d'esordio per Filippo Cosentino,
che propone le sue “Lanes”,
le sue corsie, su cui scorrono le esperienze pregresse, gli stili
assimilati, le influenze e le contaminazioni che modellano la
formazione di ogni artista.
Nove
tracce - cinque inediti più quattro riletture di standard jazz -
per raccontare una visione personalissima di un mondo musicale fatto
di libertà espressiva, melodia, tecnica ed una certa semplicità
che colpisce già dal primo ascolto.
Non
c'è rischio di “narcisismo musicale”, non c'è esigenza di
dimostrare le proprie skills, non c'è il bisogno di anteporre il
virtuosismo al mix generale, e il risultato finale è un disco
omogeneo, dove alle trame jazz si uniscono i semi del rock e del
blues e dove emerge il “mestiere” di Cosentino, chitarrista di
valore e … molto di più.
Nel
corso dell'intervista a seguire emerge molto della sua filosofia
musicale e della sua storia, ed anche un suo certo modo di vedere il
mondo fatto di principi e di pulizia morale.
Una
bella sorpresa... da ascoltare.
L’INTERVISTA
Come
nasce la tua passione musicale… quale la scintilla che ha
illuminato la tua strada?
Ho
iniziato a suonare da bambino. Ovviamente la musica è diventata
prima una passione e solo successivamente una professione. Non posso
dirti che c’è stata una scintilla che ha illuminato la mia strada,
perché per poter vivere di musica devi lavorare ogni giorno affinché
questo si realizzi: vedo il mio lavoro come un altrO…
Esistono
riferimenti musicali del passato che ritieni da sempre tue linee
guida?
Sono
più riferimenti al modo di comportarti nella vita che ho trasferito
nella musica: primo ricordarsi sempre degli altri senza mai tradirne
la fiducia e la stima; essere quindi persone oneste e sincere;
piuttosto di fare un grande passo in carriera a danno di un altro,
non lo faccio. Ecco... credo che queste siano le linee guida del mio
stare al mondo, con e senza musica. Devo dirti che non ne vedo molti
altri che la pensano così... forse è il segno dei tempi che ci
porta ad essere egoisti e pensare prima a “me stesso”.
Le
tue “Lines” sono cariche di differenti stili musicali. Esiste
però un modo di esprimerti che ami particolarmente e che si eleva
rispetto ad altri?
Lanes,
non Lines. E' concettualmente differente: lanes significa corsie e,
per rispondere alla tua domanda, sono strade – parallele o meno –
che nella mia vita musicale ho percorso e continuerò a percorrere.
Quindi no, non esiste uno stile o un modo che prediligo... finisce
che se non contamino la mia musica poi mi annoio.
Uno
dei maggiori esercizi, da sempre, è quello di stilare classifiche
di merito tra i vari strumentisti, e si possono spesso notare scale
di valori poco comprensibili. Quando, secondo te, possiamo dire che
un chitarrista è bravo? Quando è tecnico? Quando ha gusto? Quando
sa innovare?
E'
una domanda attuale perché trovo che il nostro mondo si sia dato un
ordine di idee totalmente inutile e utile a compiacere il proprio ego
( d'altra parte il mito di Narciso non l'hanno mica inventato in
Oriente ). Se ci pensi, dai soldi alle classifiche sono tutte scale
di valori che in realtà non aggiungono niente alla tua persona.
Non
so dirti quando un chitarrista è bravo, tecnico, con gusto e
innovatore quindi... le trovo cose sterili e un po' troppo fini a se
stesse. Secondo me bisognerebbe tornare a sentire la musica per
quello che ci dà, al cuore dico e non alla testa. Applaudite ciò
che veramente vi piace. Torniamo a pensare con la nostra testa.
Mi
racconti qualcosa a proposito dell’album? Quali le maggiori
soddisfazioni realizzative?
L'album,
che è il mio primo, è stato registrato nel giro di un anno. E'
semplicemente la mia versione di che cos'è la musica secondo me:
melodia, orecchiabilità, immediatezza.
Quanto
ami la performance live e che tipo di interazione riesci a stabilire
col pubblico?
Col
pubblico mi trovo bene perché noto che i complimenti che fanno sono
rivolti alla musica e ai brani originali che ho suonato e non alla
tecnica con la quale sono stati suonati. Significa che il mio brano
“gli è arrivato”. Direi quindi che il concerto mi piace, il
disco serve a questo: andare a suonare dal vivo!
Perché,
secondo te, è così difficile vivere di sola musica,
indipendentemente dal talento personale?
In
Italia intendi? Perché siamo un Paese dove il contraddittorio è il
re di tutte le situazioni. E' comunque un discorso troppo complesso
da affrontare in una unica domanda e credo che ognuno di noi avrebbe
qualcosa da dire e ridire.
Che
cosa pensi delle nuove tecnologie, in genere, applicate al tuo
lavoro?
Che
sono utilissime: il mio lavoro è circondato di tecnologia sin da
quando lavoro in studio e poi dal vivo.
Ho
letto alcune dichiarazioni di altri che ti giudicano un ottimo
“chitarrista, arrangiatore e compositore”. In quale ruolo ti
trovi più a tuo agio?
Sono
tre competenze che applico normalmente nel mio lavoro: scrivo colonne
sonore per il cinema, faccio l'arrangiatore e chitarrista per altre
situazioni ( dischi, orchestrazioni, etc ) quindi non saprei dirti.
Chiaro è che suonare la chitarra è la prima cosa che ho fatto.
Prova
ad esprimere un desiderio, Cosa vorresti ti accadesse, musicalmente
parlando, nei prossimo tre anni?
Vivo
il mio lavoro e tutto ciò che mi capita con estrema razionalità e
quindi il o i miei sogni me li tengo nel cassetto e ti rispondo che
vorrei continuare a lavorare
Filippo
Cosentino è
uno dei chitarristi più ricercati dell’attuale panorama musicale.
Ha collezionato numerose collaborazioni sia in tournée sia in ambito
discografico con affermati artisti italiani e internazionali: nel
pop, Emile
Rivera, Alan Bonner, Luca Mercurio, Pest e Personaggi Scomodi, Hi
Life Connection, Daniele
Bruno, Mariano
Pappalardo
ed Alessandro
Angeletti
(Green Production) con i quali collabora in qualità di sessionman
e arrangiatore; nel blues con James
Thompson, Marco Pandolfi, Nick Becattini, Giorgio Cavalli;
nel jazz:
Javier Girotto, Tom Kirkpatrick, Barend Middelhoff, Don Stapleson,
Craig Silbergshlag,
Giuseppe Bima, Teo
Ciavarella,
Renzo Coniglio, Federica
Gennai, Pietro Lomuscio,
Alessandro Maiorino, Alessandro Minetto, Simone Pirisi, Irene
Robbins,
Riccardo Ruggeri, Gianni
Serino,
Marco Soria, Giuseppe Tortorelli, Wann Washington, The Michele
Borlini Jazz Band per citarne alcuni. Ha anche collaborazioni nel
mondo del teatro
(con Andrea
Giordana)
e in quello del cinema:
nel 2010 ha composto la colonna
sonora
del cortometraggio Elogio
alla solitudine (RaiCinema)
del regista Emanuele Caruso. Il corto è stato selezionato per il 63°
Festival del Cinema di Cannes e
per il Trento Film Festival. Chitarrista apprezzato per la sue
versatilità, è stato spesso invitato ad importanti festival
italiani ed internazionali: Alba
Music Festival, Suoni dalle Colline di Langhe e Roero,
Moncalieri Jazz, Acoustic
Guitar International Meeting,
finalista alla 13° edizione del Premio
Internazionale Massimo Urbani. Vincitore
nel 2003 del concorso nazionale “Buona
musica a tutti!”
della rivista Chitarre. È Direttore Artistico del Premio Targa
Milleunanota, del festival Cantautori d’Italia ed è endorser
Furch Guitars. A fine 2011 è stato pubblicato il suo disco
solista
dal titolo "Lanes"
con ospiti
Fabrizio Bosso
e Davide
Beatino,
bassista di Samuele Bersani.