martedì 10 gennaio 2012

Lorenzo Capello-"Il Partenzista"



Raccontare frammenti di vita musicale di un artista che si conosce personalmente dovrebbe agevolare il compito, che nel mio caso-lo ripeterò sino alla noia- è quello di incuriosire il potenziale lettore e spingerlo ad approfondire.
Ho conosciuto il batterista Lorenzo Capello in piena estate, l’ultima, in occasione di uno splendido concerto in alta quota. Mi parlò allora di un’imminente uscita, un album “tutto suo” che mi avrebbe voluto fare ascoltare. Abbiamo parlato un po’ di musica e da allora siamo rimasti in contatto, come sempre accade quando ci sono interessi comuni.
Non avevo idea che per risalire alla genesi de “Il Partenzista” si dovesse fare un passo indietro di circa sei anni. Probabilmente la spiegazione della dilatazione temporale  inusuale di questo parto musicale risiede già nel titolo, sostantivo anomalo, o neologismo, che Lorenzo Capello si appiccica addosso, almeno per un certo periodo della sua vita. E d’altro canto i titoli dei brani hanno enorme significato per Lorenzo…
Per inciso, “partenzista” è il contrario di “arrivista”.
Le interviste via mail agli artisti sono un mio pallino, per svariati motivi, ma spesso rispondere alle domande appare come uno sforzo immane (non tutti amano esprimersi attraverso la scrittura) e in quelle occasioni non emerge “il volto “ del musicista, ma solo il contorno.
In questa occasione invece Lorenzo Capello ci racconta una vita in poche/tante righe; riflessioni personali, aneddoti e racconti, che alla fine lo porteranno a dire:” ... ma lo sai che non è male essere intervistati!?”.
E’ questo uno di quei casi in cui le mie parole servono davvero a poco perché è sufficiente leggere il pensiero del musicista per entrare nel suo mondo, che è poi quello che mi  interessa evidenziare, forse più delle musiche de “Il Partenzista”.
Però anche di musica si deve scrivere, e credo che sia giusto iniziare col dire che siamo al cospetto di un album che appare complicato sin dal primo ascolto. Ciò che questo jazzista –ma non solo- ha scritto va assimilato e capito dopo essere entrati in contatto profondo con il suo pensiero. E cosa c’è di più bello che scoprire un affascinante mondo altrui, carico di significati  e pieno di profumi? Brani strumentali, linkati a doppio nodo ad un titolo, intrecci strumentali di grande difficoltà compositiva e realizzativa, un testo recitato, una ghost track, inusuale nel jazz, e tante immagini nodali che fanno si che non si possano scindere i suoni dall’art work.
E proprio sulle pictures della cover ci sarebbe da discutere, quelle immagini  in bianco e nero che si prestano a molteplici significati, che parlano di momenti positivi, se “lette dall’autore”, o di stati d’animo un po’ cupi- è così che li ho vissuti- e chissà quante altre emozioni susciteranno in chi si avvicinerà a “Il Partenzista”!
I commenti inseriti nel booklet aiutano a rendere chiaro il legame esistente tra musica-titolo - immagine e favoriscono l’ascolto. La musica da sola è in grado di “darsi la corretta veste”, ma sono realmente convinto che avere a disposizione più elementi di valutazione possa rappresentare una sorta di evoluzione, in un campo, quello della musica, dove spesso si afferma che non c’è niente da inventare. “Leggere” questo album di Lorenzo Capello in modo totale, permetterà di entrare in buona sintonia col suo modo di esprimersi, magari un po’ diverso dal ruolo che si è soliti dare ai drummers.
Una delle frasi che mi ha maggiormente colpito leggendo il fantastico libro di Bill Bruford, batterista mitico tra rock e jazz, dal ’70 in poi, riguarda la descrizione di una sua stanza, contenente  montagne di CD a lui proposti per una valutazione che, accatastati un po’ ovunque rimarranno inascoltati e quindi inutili, dimenticati persino da chi li ha creati, ma ormai presenti in uno spazio che- dice più o meno Bruford- “ forse occupano indebitamente, perché nessuno si prenderà mai più cura di loro, nemmeno i “genitori!”
E’ tragico pensare a possibile talento e sicuro sudore buttati al vento!
Questo è per me un ulteriore buon motivo per provare ad entrare nel mondo di Lorenzo Capello, e di tanti altri fantastici artisti, che rovesciano parti importanti di vita- e forse qualche speranza- in un dischetto di alluminio di pochi cm di diametro.
E assicuro il lettore… non sarà mai tempo perso, e la slide show di fine post, unitamente all’intervista, risulterà più esaustiva di mille mie parole.

Everybody’s Drug (brano proposto):

un incauto passante continua recidivo ad aprire per sbaglio porte che danno su stanze contenenti persone sotto l’effetto di sostanze stupefacenti più o meno reali di diverso tipo. In almeno una di quelle stanze c’è sicuramente uno di noi


L’INTERVISTA

All’interno del booklet è ben spiegato il concetto di “Partenzista”, semplificabile con “contrario dell’arrivista”. Quanto o quante volte sei stato un “partenzista” nella tua vita?
Senza entrare troppo nello specifico, diciamo che fino a qualche anno fa ero spesso un partenzista: per insicurezze e/o paure varie ero intimorito nel voler iniziare qualsiasi cosa, anche se mi sforzavo di farlo comunque. Molte cose per altri normali implicavano per me un  dispendio di energie enorme... pensandoci adesso, erano sensazioni che avevo più che altro verso cose che non mi sarebbe piaciuto, ma che magari “si dovevano” o “era giusto”,  fare. Poteva essere scambiato tutto per il capriccio di un giovane viziato, ma, ce n'ho messo di tempo per capirlo, per me credo fosse una sorta di impreparazione alla vita, almeno a quella che volevano gli “altri” per me. Il concetto di “Partenzista” viene un po' da quel periodo. Ed è un periodo al quale nonostante tutto sono affezionato, perché credo che non bisognerebbe mai disprezzare le persone che  siamo stati precedentemente, e che ci hanno permesso di diventare quel che siamo adesso.

L’art work che hai utilizzato è per me angosciante, per immagini e colori, ma ogni immagine e ogni colore suscita sentimenti molto differenti negli uomini e nelle donne. Quanta “oscurità e solitudine” c’è, o cerchi nella tua vita?

E' una domanda interessante, in quanto non ho concepito quello del disco come un artwork angosciante... preciso che le foto, di Guido Zanone, sono state fatte in quel modo su mia espressa richiesta, quindi mi prendo la responsabilità del risultato finale, e non avevo in mente situazioni che potessero angosciare chi le vedesse... devo ammettere però che amo le sensazioni che mi danno certe immagini fra il simbolico e l'inquietante, quindi probabilmente nelle foto è confluito un po' di questo mood. Per quanto riguarda l'impaginazione con le bande nere sotto e sopra, era un modo per richiamare uno schermo cinematografico, visto che alcuni pezzi si snodano su percorsi strutturali vicini a quelli del cinema e che comunque un po' di ambiente da colonna sonora si ripresenta spesso qui e là, in modo più o meno evidente. E detto questo, devo ammettere che dentro di me c'è senz'altro una componente di oscurità, e di solitudine anche. La prima la tengo spesso ben nascosta, ma non per vergogna, solo per mantenerla “mia” e basta. Affiora magari nella predilezione che ho per le canzoni “tristi”, “minori”, anche per questo c'è un pezzo di Tom Waits nel disco, o dal vivo proponiamo Perfect Day di Lou Reed. La solitudine diciamo che in sé non fa parte della mia vita, ma la vado frequentemente a cercare, per restare un po' con me stesso e basta. Come dice Peter Gabriel, vado a cercare il mio Secret World. E poi, ho la sensazione che l'essere umano sia, alla fine, molto solo di fronte al mondo che lo circonda.

All’interno del CD ci sono 10 brani, di cui 9 strumentali. Qual è il tuo rapporto con le liriche, con i messaggi che trascendono i suoni?

Sì, ci sono pezzi in maggioranza strumentali, ma credo sia semplicemente perché mi interessava di più inserire brani di quel tipo. E poi, il testo ha ovviamente una forza molto diretta che mi pare che la musica non possa avere, ma sento più difficile poter dire qualcosa di effettivamente interessante con le parole, si corre spesso il rischio di esser ripetitivi rispetto ad altri che han detto le stesse cose molto meglio, o altri che han detto cose molto più originali rispetto a te. Però ecco, i due pezzi non strumentali (uno recitato e uno cantato) del disco ci sono perché mi piaceva l'idea della recitazione, e perché mi piaceva lasciare come ultimo ascolto un pezzo che non c'entrasse nulla o quasi rispetto a quelli “ufficiali”. E comunque, perché pensavo fossero concetti che per me sono importanti, e che mi parevano allo stesso tempo interessanti anche per altri. E mi pare di aver avuto ragione, visto che dopo il concerto di presentazione del disco, molta gente mi ha detto o scritto che si sente spesso un “Partenzista”.  C'è anche da dire che nei pezzi strumentali ha una grande importanza, per quanto mi riguarda, il titolo, che vedo a seconda dei casi come didascalico, complementare, antitetico rispetto al contenuto del pezzo stesso. Spesso anzi parto dal titolo per scrivere un pezzo, ad esempio “Everybody's Drug”: volevo scrivere qualcosa che avesse a che fare con questa idea di noi umani dipendenti da una qualche droga, intesa in senso figurato e non, ovviamente. C'è chi è dipendente dal gioco, chi dal cibo, dalle caramelle, dall'alpinismo, da internet, dall'amore, dal sesso, dall'opinione degli altri, dalla nicotina, dai bonsai, dai gialli scandinavi, un sacco di cose insomma! E da lì sono partito per scrivere il pezzo, con questa idea dell'aprire la porta di diverse stanze per trovarvi dentro situazioni di dipendenza molto diverse fra loro. E poi insomma, un titolo che mi da' l'opportunità di svelarne il significato mi è molto utile dal vivo, nel senso che a seconda di quanto la gente è interessata alle mie robe strampalate, posso decidere di parlare un po' del pezzo, e mi piace farlo effettivamente!

Mi spieghi cosa accade ne “ il partenzista?”. Cosa rappresenta quello stop di 5 minuti prima della ripresa( di cui non ho trovato traccia nelle note)?

Bé quello è semplicemente il prologo della ghost-track che arriva dopo il silenzio! Quindi la ripresa è semplicemente un altro brano, nascosto, di cui quindi non faccio menzione nelle note di copertina…. tutto questo è ovviamente intenzionale. E' raro trovare ghost tracks nei dischi jazz, mi piaceva l'idea anche per quello. E' curioso comunque, e non mi ero reso conto come, in realtà, la ghost-track (che si intitola “A Refreshment Stand” ovvero “un punto di ristoro”) sia effettivamente una sorta di sequel de “Il partenzista”: “A Refreshment Stand” inizia dicendo “still at the starting blocks”, ovvero “fermo (o ancora) ai blocchi di partenza” .. un bel passo avanti rispetto al personaggio desideroso di partire...

Cosa significa “ringrazio Raffaele Abbate, per avermi aspettato per anni?”. E’ questo tuo lavoro la sintesi di un importante periodo di vita… una sorta di bilancio?

Quello è perché  ideai e registrai Ia title track del disco, assieme a questi due miei amici  (Massimiliano Caretta voce recitante, Enrico Di Bella seconda batteria), quasi sei anni fa ormai, nello studio di Raffaele. Volevo partecipare al concorso per percussionisti del Percfest di Laigueglia, ma non con un brano “da batteristi”, volevo qualcosa di diverso. Allora pensai di “musicare” con sole percussioni un testo che avevo scritto qualche tempo prima. Al concorso arrivammo primi alle preselezioni via cd, ma fummo eliminati dal percussionista che avrebbe poi vinto il primo premio. Conservo un ricordo bello, ma anche amaro di quell'esperienza, era come se fosse stata eliminata una delle mie prime partenze d'altronde. Però fu anche una grande occasione, perché Raffaelle apprezzò molto il pezzo appena registrato, e mi propose la produzione da parte sua di un intero disco. Per me fu una proposta grande, incredibile quasi, ma cercai di non sprecare l'occasione, e aspettai semplicemente di esser pronto, soprattutto a livello compositivo, a scrivere e suonare un disco di quasi tutti pezzi miei. Il povero Raffa non sapeva che ci sarebbero voluti tutti questi anni per portare a termine la cosa, ma semplicemente attese, da qui il ringraziamento a lui. Per quanto riguarda il bilancio di cui parlavi, bè credo che il primo disco “solista” sia sempre un momento critico, e al tempo stesso passeggero, in cui si fa effettivamente un bilancio di tutto quello che c'è stato prima, per prepararsi a quel che verrà dopo. Anni fa in occasione dell'uscita del primo disco in cui suonavo (“Istralia” del trio omonimo, 2004) un mio amico batterista mi disse di non farmi troppi pensieri per quest'uscita, mi disse semplicemente “ è solo il primo, ne verranno altri” . Quindi sì, il primo disco come bilancio, ma si spera anche come partenza vera e propria. L'unico guaio è che adesso bisogna fare attenzione a fare uscire un disco, che mica è così semplice  ormai... o meglio, è diventato più facile a livello tecnico, ma ormai il mondo della discografia è economicamente un vero delirio. Diciamo che ho voluto insistere su questa strada per non rassegnarmi al pessimismo dilagante, ma anche nel mio piccolo per cercare di comunicare attorno a me che è ancora possibile crederci. Detto questo, speriamo che il bilancio di tutto questo arrivi almeno in pareggio!

Ho letto i molti ringraziamenti (non solo tuoi) che fanno pensare ad un gran lavoro di squadra, anche solo come appoggio morale. Tutto questo contrasta- mi ripeto-con la grande immagine di impotenza che “emana” dalla figura di un uomo solo circondato da cupi palazzi vuoti, o disteso a terra in balia degli eventi. Spiegami il segreto… come si può utilizzare il jazz per raccontare tutto questo?

Intanto, i ringraziamenti sono doverosi, visto che è il primo album a mio nome, e in più graficamente ho potuto prendermi senza problemi lo spazio per inserirli. Poi una piccola parentesi sulle due foto citate, che non hanno per me una connotazione negativa … quella dei palazzi rappresenta un po' la sfida, contro l'altezza, contro la grandezza quando ti senti piccolo, ma è una sfida con le mani in tasca, senza troppa agitazione, con calma … nella seconda foto, sono sdraiato con la sigaretta in mano, mi sto solamente riposando! (vedi la canzone-ghost track, A Refreshment Stand). Detto questo, il lavoro è stato di squadra senz'altro, sennò non saremmo un gruppo, o lo saremmo ma senza avere troppo senso. Credo che la musica migliore, di tutti i generi s'intende, sia sempre venuta da realtà che sono riuscite a far prevalere un discorso di gruppo piuttosto che di un solista. Non mi è mai piaciuta l'idea di un solista che fa il bello e il cattivo tempo, e il gruppo dietro che lo “accompagna” … mi è sempre parso molto riduttivo, e un po' un'occasione sprecata. Mi piace invece l'idea di democrazia e pariteticità, ma anche quella di un leader che agevolasse le scelte fra le molte idee proposte dai musicisti, mettendo la sua impronta finale sui percorsi di tensione sonora. Ma perché ciò accada, servono appunto musicisti che portino idee e le mettano al servizio del gruppo, e della musica, senza inserire il pilota automatico. Serve poi una situazione musicale che faccia sentire il musicista singolo apprezzato per le cose che può portare al gruppo. Serve anche, non ultimo, far capire, far sapere al musicista tuo compagno che può proporre tutto quello che vuole, che può sentirsi libero di farlo. Questa è una cosa che può sembrare banale, ma mi pare accada troppo spesso, e non solo nella musica ovviamente, che una persona si chiuda in una gabbia da sola, senza che nessuno glielo ordini, magari perché è semplicemente abituata a farlo. Bé, io cerco invece di fare in modo che non ci siano gabbie, o almeno non ci siano serrature, o che la gabbia sia commestibile a morsi, o che si possa essere tutti nella stessa gabbia di matti! Tornando alla domanda, mi piace pensare ad un lavoro come il mio, ma credo che ciò si possa ricondurre ad ogni attività umana, come ad una sinergia fra me e tutte le persone che mi hanno influenzato, e insegnato comunque qualcosa durante tutti gli anni che ho vissuto. Questo sia musicalmente sia umanamente intendo. La sinergia è più ampia di quanto si creda, e credo che un musicista, un compositore, debba tener sempre conto di questo, sennò si finisce per far torto a tutte quelle persone che ci hanno trasmesso delle cose così importanti, che poi insomma, chiamiamola vita ed è più semplice per tutti.

I musicisti che hanno collaborato alla realizzazione del CD sono i migliori anche dal punto di vista dei rapporti umani? Quanto conta l’amicizia per arrivare sino in fondo serenamente?

Non ho “scelto” i musicisti perché sono i migliori sui loro strumenti, d'altronde io non sono affatto il migliore sul mio strumento! Anche se ero ovviamente desideroso di trovare gente che suonasse alla grande, ma ho privilegiato e molto la “simpatia” fra noi, intesa in senso lato, come potersi fare un sacco di risate in studio e sul palco ma anche come gli esplosivi che esplodono per simpatia. Ad esempio, non avevo previsto di inserire un trombone nella band fin quando non ho conosciuto Francesco e mi son reso conto che era perfetto per i miei progetti, sia umanamente, sia come padronanza dello strumento, come del resto lo sono Antonio, Lorenzo e Dino. Da qui si arriva al discorso amicizia, che conta eccome: dal sentirsi tutti sullo stesso piano quando si suona, alla coscienza di star interpretando anche una buona fetta della vita che abbiamo in comune, all'affrontare ridendo ma anche con parole dirette le problematiche della vita musicale ed extramusicale.

La musica jazz, nonostante sia notoriamente “free” ha delle regole rigide, e non mi immagino un disco jazz che presenti differenti modi espressivi(ma non sono un esperto e potrei sbagliare). Nel tuo album ci sono frammenti di recitazione e questa è già una deviazione dallo standard. Ma forse non volevi fare un album jazz, e nemmeno recitato… volevi solo fare il tuo album. Sono molto lontano dalla verità?

Intanto prima si dovrebbe, forse, definire che cosa è jazz e che cosa non lo è… ma si rischia di scrivere un trattato kilometrico pieno di parole noiose. Allora direi semplicemente che, secondo me, dire jazz è come dire rock. Quindi dentro l'etichetta ci stanno un sacco di cose diverse, dal new orleans al bop al free al latin jazz, al jazz-rock, e a molto altro. Esistono regole, esistono musicisti che le seguono, altri che non lo fanno, altri che le sanno seguire al momento giusto, altri ancora che l'hanno fatto e non lo fanno più, e viceversa... insomma un gran casino. E c'è sempre stato posto per tutti in qualche modo. Io non so, non ho scelto proprio di stare dentro una o l'altra delle possibili sottoetichette di jazz. Volevo sì, come dici tu, fare semplicemente il mio disco, senza aderire troppo a una o all'altra corrente. Un'unica cosa avevo deciso, quando pensavo al disco, ed era semplicemente stata quella di non fare un disco di standard, ovvero di quei pezzi nati come canzoni a tutti gli effetti di cui il jazz si è appropriato, riarmonizzandoli e modificandoli e improvvisandoci sopra. Ci sono migliaia di musicisti che han suonato e suonano gli standard meglio di me, e non credo di poter aggiungere molto di interessante all'immaginario di cui questi brani fanno parte. A parte questa decisione, il resto è più o meno come ce l'avevo in testa, con i limiti della mia scrittura musicale ancora acerba ma che insomma, a suo modo mi funziona bene e mi suona bene in testa ogni volta che mi riascolto il disco.

Quanto bisogna essere bravi, tecnicamente parlando,  per realizzare un album come il tuo? E quanto cuore e istinto servono?

Son partito scrivendo che non bisogna esser bravi, ma probabilmente stavo dicendo una gran cazzata, quindi cancello … Direi che effettivamente alcuni pezzi sono piuttosto difficili, anche se non è una difficoltà che ho ricercato ad ogni costo, o comunque fine a se stessa. Ho cercato, come dicevo prima, di far arrivare alle orecchie di chi ascolta (non bisogna mai dimenticare che ci saranno orecchie ad ascoltare... e di chi saranno??) quello che avevo in testa. E alcune volte, ciò che ho in testa è davvero molto complicato! Ma io vedo molto la mia musica come una rappresentazione fatta in diversi modi, della mia vita, dei mondi più o meno reali che mi circondano, o che io stesso circondo. Quindi, non puoi pretendere che queste cose siano semplici, specialmente se per buona parte della tua vita hai sempre pensato che tutto fosse così difficile... e poi diciamocelo, sarebbe anche tutto un po' noioso se davvero la vita fosse facile. Quindi ecco, un po' bisogna esser bravi sì, sia a leggere (ché la mia calligrafia musicale nonostante la scrittura al computer è un po' da medico della mutua) sia a suonar ovviamente. Ma la cosa che voglio, quando suoniamo, è che ci sia  la giusta concentrazione sulle cose che stiamo suonando in quel momento: leggere un pezzo complesso, improvvisare liberi senza struttura, ridere sguaiatamente e poi fischiettare sono operazioni molto diverse che richiedono presenza mentale di diverso tipo sul proprio strumento, ma la concentrazione deve essere sempre forte, perché come dicevo tutti abbiamo molte cose da dare alla musica quando si suona, e non farlo è un po' un delitto... E quindi, se c'è concentrazione, il cuore-istinto-bravura che il musicista ha vien fuori senz'altro.

So per esperienza che una volta che un nostro progetto è venuto alla luce si è già pronti per il seguito. Quale potrebbe essere la tua follow up?

Mah, esattamente non lo so ancora. Ma da qui al prossimo disco (sperando che ci sia  un prossimo disco, e chissà se sarà un disco) voglio sicuramente migliorare ancora la scrittura e l'arrangiamento. Poi, vedo che dal vivo ci spostiamo spesso verso una visione più cabarettistico-surreal-quasidemenziale che esclusivamente musicale, quindi forse ci sarà un po' di questa cosa. Ritmicamente credo ci sarà meno swing, e già nel Partenzista non ce n'è molto... è un feel ritmico che ovviamente mi piace molto, ma lo vedo più, a livello di composizioni mie, più come un “colore”, un “ambiente” che come un naturale humus per la mia scrittura. Poi però, che ne so, in genere tutte le previsioni che faccio son sempre sbagliate ora più ora meno, quindi non mi preoccupo tanto di cercare indizi per il “futuro possibile”.




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BIOGRAFIA SCRITTA DA LORENZO…

Inizio a suonare la batteria nel 1989, studiando nel corso degli anni con Massimo Sarpero, Alfred Kramer, Salvatore Camilleri, Ellade Bandini. Frequento svariati corsi e seminari di specializzazione, per strumento, musica d'insieme, arrangiamento e composizione: da Berklee Clinics at Umbria Jazz '95, ai genovesi We Love Jazz '98 '99 '00, a Nuoro jazz 2002 (dove ottengo la borsa di studio per formare il gruppo dei migliori allievi), a Siena Jazz '00 '01 '06 e Siena Jazz Trioincontri '00-'01, al master biennale Siena Jazz In.Ja.M. '08/'10,studiando e/o suonando con alcuni dei più importanti artisti della scena musicale mondiale:Ben Riley,Ettore Fioravanti, Fabrizio Sferra, Claudio Fasoli, Stefano Battaglia, Paolo Birro, Franco D'Andrea, Enrico Rava, Pietro Leveratto, Paolino DallaPorta, Roberto Gatto, Adam Nussbaum, Ben Perowsky, Eric Harland, Massimo Manzi, Ferenc Nemeth, Jack Walrath, Paolo Fresu, Gianluca Petrella, Robin Eubanks, Glenn Ferris, Bruno Tommaso, Anders Jormin, Gianluigi Trovesi, Tim Berne, Ben Allison. Ho inoltre studiato sassofono contralto, arrangiamento e composizione, e mi dedico da qualche anno alla composizione di brani originali. Dal 2003 insegno batteria presso la Società Filarmonica di Sestri Levante (GE) e il Centro Musica e Arti Figurative di Cicagna (GE) ,e dal 2008 dirigo un'orchestra laboratorio basata sull'improvvisazione per i giovani allievi della stessa Filarmonica; dallo stesso anno tengo anche dei corsi di introduzione al ritmo per i bambini delle scuole elementari del Comune di Sestri Levante. Come batterista lavoro in diverse formazioni, in studio e live sia come free lance sia come membro stabile di band come Lorenzo Capello Quintet, Mojca Malievac Quartet,Red Row Trio, Luca Falomi Quartet, Joscha Zmarzlik band; collaboro anche con la Compagnia del Teatro Cargo di Genova come musicista in scena nello spettacolo “Il Naso di Darwin”. Nel corso degli anni ho suonato dal jazz al rock al funk alla musica classica al folk in diverse formazioni.

Discografia:
2004 -  “Istralia” del trio omonimo, prodotto da Louisiana Jazz Club e Teatro Carlo Felice di Genova.
2004 - “Provvisorio”, ALEA Ensemble diretto da Paolo Damiani, etichetta Splasc(h)
2006 -  “Intìma” della cantante slovena Mojca Malievac, registrato con gli “Istralia”nel novembre 2005 e uscito in Slovenia per la Goga Music.
2008 -  “Renaissance”, cd del progetto folk “Tears of Othila”.
2010 - -“Druga Sila”, sempre di Mojca Malievac & Tina Omerzo, uscito in Slovenia per l'etichetta Sanje.
2011 -  “Viens Voir”, il primo cd del chitarrista genovese Luca Falomi.
2012  - “Il Partenzista”- OrangeHomeRecords, il mio disco in quintetto,con brani composti e arrangiati da me.