mercoledì 13 luglio 2011

UNDERTULL


I romani UNDERTULL nascono un paio di anni fa con lo scopo di riproporre la musica dei Jethro Tull. Conosco personalmente un paio di loro, Lorenzo Costantini e Claudio Maimone, ed è con grande piacere che ho "chiacchierato" via mail , alla scoperta dei progetti futuri e delle loro storia.

Un po’ di biografia tratta dal sito ufficiale:

http://www.undertull.com/

Il gruppo nasce alla fine del 2009 su iniziativa del chitarrista Lorenzo Costantini e del bassista Claudio Maimone, vere e proprie memorie storiche di quel momento magico vissuto in Italia nei primi anni ’70 di cui i concerti dei Jethro Tull rappresentano una chiave di lettura fondamentale nel panorama non solo musicale ma anche socio-culturale e di costume. L’intento dei nostri è proprio quello di cercare di ricreare quell’energia che i Jethro Tull dei primi anni sapevano trasmettere dal vivo, anche per tramandare alle generazioni più giovani un’eredità, un patrimonio di emozioni uniche accumulato assistendo alle performance più rappresentative del gruppo di Ian Anderson, sia in Italia (al Teatro Brancaccio di Roma nel 1971 e al PalaEur sempre a Roma nel 1972), che all’estero (Festival dell’Isola di Wight nel 1970). Ad accompagnarli in questa fantastica avventura il flautista e cantante Alex Mevi, già attivo con il duo acustico “The Whistlers”, il tastierista Gianluca de’ Rossi, che con i “Taproban” prima e “De Rossi & Bordini” poi, ha saputo crearsi un nome nel panorama odierno del Progressive Rock italiano, e Gabriele Cannone, ”solido” batterista proveniente da esperienze in gruppi rock, blues e psichedelici come “Fingernails”, “Rude”, “Childhood” e “Walkin’ Blues Band”.

INTERVISTA

Se vi chiedessi perché suonate la musica dei Jethro Tull avrei già la risposta, ma… qual è la vera essenza del progetto? Quale tipo di piacere si può provare, ancora oggi, nel proporre i brani di Anderson e soci?

Quella musica per i “vecchi” del gruppo, ma non solo, rappresentava e rappresenta qualcosa di magico; riuscire a riproporre quella musica, e soprattutto quei suoni, è una magia che ogni volta si ripete, chissà se lo stesso Ian Anderson ne è consapevole. Inoltre è importante comunicare alle giovani generazioni, o a chi ne sa poco, cosa abbia significato quel tipo di musica Rock nei primi anni ’70; è una motivazione anche culturale oltre che nostalgica e passionale, ad esempio per salvare le “anime” di molti dalla perdizione dei vari talent show che il talento, quando c’è, lo sfruttano e basta, senza valorizzarlo, oppure per proporre una musica diversa da quella che trasmettono radio e televisione, poi ognuno si tiene la sua musica. Poi l’intento è anche quello di riproporre quelle energie e quelle atmosfere che i Jethro Tull, soprattutto nei primi anni ‘ 70, riuscivano a trasmettere dal vivo, rivivendo e condividendo insieme al pubblico quelle emozioni uniche.

Una Tribute Band spesso viene giudicata dalla fedeltà della riproduzione, in relazione all’originale, ma questo non è obbligatoriamente sintomo di qualità. La vostra performance live ha come obiettivo la ricerca dell’uguaglianza o preferite mettere” del vostro”?

L’intenzione è riproporre la musica per quello che era, magari non imitando completamente i personaggi, come fanno alcune tribute band, però pensiamo che il “nostro” è preferibile metterlo nei progetti di musica propria che alcuni di noi hanno (come Gianluca con il gruppo prog “ Taproban”) o hanno avuto; quando suoniamo la musica dei Jethro Tull cerchiamo di essere il più fedele possibile all’originale … è questo che anche noi, quando ci troviamo dalla parte del pubblico, ci aspettiamo da una tribute band che si rispetti. La nostra priorità è la fedeltà ai brani originali e non mettere del proprio in un progetto di questo tipo.

Vi ho conosciuto (Lorenzo e Claudio) quando suonavate con gli OAK. Quali sono le differenze significative, dal punto di vista prettamente musicale, tra la situazione di Alessandria (Convention) e quella attuale?

Nella situazione attuale non ci sono “leader” nella definizione ed esecuzione dei brani, siamo musicisti che condividono un progetto comune e abbiamo spesso riscontrato che questo aspetto viene recepito e apprezzato in maniera molto positiva sia dal pubblico che dai direttori artistici dei locali in cui abbiamo suonato.

4)Quanto conta l’amicizia e il giusto feeling quando si decide di intraprendere una strada come la vostra?

Il discorso risulta molto interessante ed in parte correlato alla risposta della domanda precedente. Ci siamo conosciuti a causa della musica che ci appassiona, quindi l’amicizia è venuta dopo. E’ importante andare d’accordo, con alcune persone ti prendi di più, con altre di meno, è nella natura delle cose, l’importante è che quando stai sul palco riesci a trasmettere a chi ti ascolta una sensazione di compattezza ed unità.

(qui si è “scatenato” Alex che è anche psicologo)

Le relazioni tra i membri di una band e le dinamiche che si creano all’interno determinano indubbiamente la buona riuscita del “prodotto finale”, e spesso è proprio il valore aggiunto che fa sentire anche al pubblico il gruppo più coeso, unito, anche al di là dei livelli tecnici individuali. Riuscire a instaurare rapporti d’amicizia, o comunque positivi e di rispetto, con gli altri membri della band non può che essere una fortuna; tuttavia è nella natura della cose che non sempre si può andare d’accordo con tutti allo stesso modo, l’importante è che quando stai sul palco riesci a trasmettere a chi ti ascolta una sensazione di compattezza ed unità. A seconda delle diverse caratteristiche di personalità e delle diverse priorità che possono avere i diversi membri di una band, un rapporto negativo e di antipatia verso un altro musicista può essere gestito in diversi modi con differenti conseguenze : c’è chi mette al primo posto la musica come valore comune e assoluto e la buona riuscita del pezzo e che riesce quindi a “sopportare” (a volte anche ignorare) la mancanza di feeling verso il proprio collega, e c’è invece chi non riesce più a divertirsi e a stare bene quando il sentimento di antipatia e la mancanza di feeling con il proprio collega diventa troppo forte. Non va infine trascurato il fatto che un rapporto d’amicizia troppo intenso tra due o più elementi all’interno di una band, a volte può rivelarsi un vero e proprio boomerang con conseguenze negative. Alcuni musicisti preferiscono infatti non instaurare rapporti d’amicizia troppo intensi per sentirsi più “liberi”, cercando magari di scindere l’amicizia dal lavoro musicale di gruppo.

Ogni volta che ascolto un brano dei Tull, lo trovo “fresco”, come appena realizzato. Quando vi ponete davanti ad un nuovo pezzo da provare e proporre, vi capita di rimanere stupiti da qualcosa di musicalmente sorprendente, a cui non avevate mai fatto caso e che colpisce per innovazione, soprattutto in relazione al tempo (lontano) in cui è stato creato?

Sì, ci capita spesso… ad esempio “Life’s a Long Song” è un capolavoro senza tempo … ma accade sovente in molti brani dei Jethro Tull. I brani che eseguiamo e che interpretiamo con passione li sentiamo sempre come “nostri”, universali e assoluti. Poi accade anche che brani suonati e risuonati, li riascolti e scopri qualcosa che non avevi percepito prima o che avevi dimenticato. Qui sta la grandezza dei Jethro e della grande musica in generale … c’è sempre qualcosa da scoprire o riscoprire; siamo molto vicini alla musica classica con la differenza che nel caso dei JT abbiamo gli autori che sono anche esecutori, mentre nelle musica classica l’esecuzione può fare la differenza, e magari questo si può ritrovare anche nelle nostre esecuzioni.

Esiste un album dei Jethro che mette tutti voi d’accordo, qualcosa che, all’unanimità, rappresenti il vostro concetto di perfezione?

Abbiamo gusti un po’ diversi al riguardo; l’album preferito di Gianluca è “Songs from the Wood”, quello di Alex è “Aqualung”, mentre Lorenzo è in forte imbarazzo tra “Aqualung” e “Thick As A Brick”, ma alla fine l’album che ci mette tutti d’accordo è sicuramente “Thick As A Brick”.

I tour dei J.T. proseguono senza sosta e la risposta del pubblico è sempre importante. Inutile rimarcare ciò di cui difetta attualmente il gruppo, ma, venendo a mancare l’elemento per me primario, la voce, la partecipazione massiccia sa molto di “atto di fede”. Cosa possono dare ancora i J.T. come band, in fase live?

Hai ragione, è solo un atto di fede, di appartenenza a qualcosa che ormai non c’è più, che è irrimediabilmente perduto. Il problema non è solo la voce, ma anche i vari turnisti che si avvicendano nel gruppo e il volume troppo basso per essere vero. Anderson dovrebbe capire che sta proponendo uno spettacolo troppo piccolo rispetto al suo glorioso passato e magari ritirarsi dalle scene! Però l’abilità dei JT sta nel fatto che con la loro lunghissima carriera e i tantissimi dischi che hanno realizzato, sono riusciti a conquistare più generazioni, ciascuna attaccata ai “propri” Jethro; certo che i JT devono tutto al magico periodo del 1970-1973 in cui sono stati una delle più grandi rock-band del mondo; forse se si fossero “amministrati” diversamente, magari suonando meno e in situazioni più prestigiose, potrebbero ancora riempire gli stadi come fanno certe rock-stars dell’epoca.

Le cover band dei Tull che io conosco sono tutte di alto livello qualitativo, e sono convinto che una Convention “starebbe in piedi” anche con sole forze italiane, magari con un ospite. Come vedreste una manifestazione del genere?

Ben vengano manifestazioni in cui tutti possano dare il loro contributo a celebrare la storia dei Jethro Tull, però senza prime donne, magari organizzate nel centro Italia, a pari distanza tra i fan del nord e del Sud. Oltretutto ci sembra che ciascuna delle band in attività abbia dei riferimenti a periodi storici diversi dei Jethro Tull, e diverse sensibilità nel capire i Jethro; forse la cosa interessante, fermo restando la comune passione, è proprio l’approccio diverso alla musica dei Jethro. Oltre alle band italiane mi piacerebbe (è Lorenzo che parla) rincontrare Paul Forrest, che non è solo un “clone” di Ian Anderson ma un ottimo musicista e una bella persona!

Considero ”My God” tra le cinque canzoni più importanti della storia del Rock. In quale brano traete voi maggior soddisfazione in fase di performance live?

Per Gianluca è “ Thick as a Brick” (attualmente eseguiamo un “excerpt” simile alla versione del Live al Madison Square Garden del 1978) e poi, quando la faremo, Songs from the Wood. Per Alex sicuramente “My God”, per il solo di flauto, e per tutti gli altri sempre “My God” per le grandi emozioni che suscita, ma anche per l’arrangiamento che è un po’ un compendio della musica dei JT: folk, hard-rock, classico-liturgica; non a caso per anni è stato il brano di apertura dei concerti dei Jethro Tull.

Che tipo di interazione riuscite a stabilire con l’audience?

Buona, crediamo che Alex, che poi è quello che interagisce di più con il pubblico, sia bravo nel trasmettere l’umiltà e la passione che sta alla base della nostra proposta; poi suonare la musica dei JT non è facile (Nothing Is Easy!), e a volte la concentrazione nell’esecuzione rischia di sacrificare un po’ l’interazione con l’audience, ma di solito vediamo che il pubblico capisce e apprezza anche questo aspetto. E’ importante anche fare dei concerti a “tema”: commemorazione di album, di concerti dei JT ecc, coinvolgendo il pubblico nella proposta musicale e culturale. Quando riusciamo a fare questo vediamo che il pubblico è più attento, più coinvolto, più consapevole.

Cosa avete pianificato, musicalmente parlando per “Undertull”, nei prossimi due anni?

Gli Undertull sono nati alla fine del 2009 e il primo concerto è stato a febbraio del 2010, quindi volendo ripercorrere tutta la carriera dei Jethro Tull abbiamo più di 40 anni davanti! Infatti abbiamo cominciato dai primi album, che sono anche quelli storici; l’idea di base è riproporre il meglio della carriera dei JT, senza però prescindere da alcune tappe fondamentali. Nel 2012 ci piacerebbe celebrare il 40° anniversario dell’album “Thick as a Brick”, magari con una riproposizione integrale, poi nell’anno successivo vorremmo aggiungere altre cose da “Minstrel In The Gallery” di cui abbiamo già eseguito la title-track e da “Song From The Wood”. Il problema è che al di là delle intenzione ci sono delle pietre miliari (A Passion Play?) che ti trovi di fronte e con cui devi fare i conti. Quindi il nostro programma di massima è rievocare gli album e i live principali con periodiche fughe in avanti che però non siano troppo dissonanti, poi entro certi limiti decide anche il pubblico; infatti avevamo inserito “Minstrel In The Gallery” e “Too Old To R’n’R…”, mai poi abbiamo un po’ frenato perché il concerto risultava meno omogeneo e questo ce lo ha fatto notare anche il pubblico. Quindi il discorso rimane abbastanza aperto.


Ascoltiamoli…