venerdì 17 settembre 2010

Popular Games-Max Fuschetto



Popular Games

Tanti lustri fa, quando non esisteva “la rete” e i dischi si acquistavano rigorosamente in negozio, era la prassi essere influenzati dalle copertine dei vinili. Il “freddo” CD ci ha ” imposto” una totale concentrazione sulla musica, anche se devo dire che ultimamente si ha maggior cura della confezione. Non so quanto sia importante questo aspetto, e non so se le potenziali informazioni sui contenuti riescano a trovare spazio adeguato, ma sono sicuro che per molti di noi, appassionati di musica, il vinile/cd che entra in casa nostra non ne uscirà più, e diventerà parte di noi, e in alcuni casi pezzo da collezione o oggetto di culto.
La confezione di Popular Games, ci racconta la musica di Max Fuschetto, anticipando già dal primo contatto “fisico” la piena identità tra musica e immagini, tra suoni e viaggi, tra armonie e vita vissuta, e un piccolo diario descrive la creazione di Popular Games.
Nell’intervista a seguire paragono Max a Ciro Perrino (che lui non conosce) mitico musicista ligure di “Sistema”e “Celeste”. L’accostamento mi viene spontaneo, realizzando come questo “lavoro” musicale sia per me una proposta di immagini trasformate in suoni, che a loro volta regalano piccoli quadri quotidiani all’ascoltatore, in una specie di loop che lega l’artista al fruitore della sua musica. Le atmosfere e le esperienze si mischiano e diventa impossibile decifrare uno stile preciso, come appare arduo un incasellamento in una delle tante categorie musicali conosciute.
C’è tanta sperimentazione che non si confonde mai con una arida esposizione tecnica.
Fuschetto è un musicista completo, che probabilmente potrebbe condurci su qualsiasi percorso musicale facendoci trovare a nostro agio, anche se semplici ascoltatori.
Ma il compito di un artista musicale, di un compositore che decide di presentare la sua opera, è quello di donare emozioni, di far stare bene chi decide di utilizzare un brano per sorridere, per piangere o anche solo per non pensare.
Max Fuschetto ci regala delle perle da “osservare” in piena solitudine, o da spartire con persone care, a seconda del nostro stato d’animo.



Non è musica facile e non è musica per tutti, ma l’atmosfera generale è talmente raffinata che potrebbe toccare il cuore di qualsiasi persona sensibile, capace di afferrare il “regalo” che Max ci fa con la sua proposta.
Sono dodici i brani, ma non ho trovato una vera linea di demarcazione perché esiste un filo conduttore che inanella le diverse sonorità.
Anche nei tre pezzi cantati (Valle Valle, Portami con te e Harsh voices) le voci e la lingua utilizzata (Arberesche) diventano strumenti che si miscelano ai suoni.
I musicisti impegnati e gli strumenti utilizzati giustificano l’immagine di “disco orchestrale”:
oboe, flauto, pianoforte, fagotto, chitarra, violoncello, clarinetto, arpa, trombone, percussioni.
Un motivo mi è entrato in testa e non vuole più uscire: Yee moon ye lo, una delle dodici fotografie di Popular Games.



Ma scopriamo qualcosa di più su Max Fuschetto, leggendo le sue risposte ai miei quesiti.

L'INTERVISTA

Sostengo sempre che un “pezzo “ musicale possa vivere senza un testo, senza un messaggio specifico, e quando la voce è presente( e fortunatamente ne esistono di bellissime) è anch’essa uno strumento. In fondo da ragazzi ci siamo spesso innamorati di canzoni in lingua inglese, di cui non capivamo il significato. Personalmente nella parola “musica” mi piace pensare che ci sia spazio per tutto, ma tu, cosa pensi delle poesie/storie musicate? 

Penso che la parola-significato e la parola-suono siano due cose diverse, possono andare insieme come prendere strade differenti. C’è qualcosa poi di più profondo legato al rapporto tra le lingue e i tipi di musica. Se il linguaggio del rock è l’inglese, nel senso che nasce e si sviluppa con quella lingua, un motivo ci sarà. E’ la stessa flessibilità, anzi forse plasticità, di una lingua poco sillabica che si insinua nel corpo trasgressivo ed elettronico del rock e diventa essa stessa musica. E questo, dal mio punto di vista, è un discorso che si estende alla musica in generale . Quando la musica racconta storie diviene uno strumento potente da un punto di vista emozionale capace di annullare le distanze spazio temporali e immergere l’ascoltatore in una dimensione mitica.

Nel nostro primo contatto ho accennato ad alcune similitudini che ho percepito tra te e Ciro Perrino. E’ solo il mio feeling, da cui mi piace farmi guidare, ma entrambi mi evocate dei ricordi attraverso immagini musicali, ed entrambi proponete una musica raffinata, per pochi. Credo sia prassi comune, per un musicista, lasciarsi influenzare da “un attimo vissuto”, da una fotografia, ma non mi capita spesso di trovarmi davanti al percorso inverso, ovvero veder nascere “quella fotografia”, dopo aver sentito un brano. Quello che ho descritto è, secondo te, un mio convincimento o è un concetto che può essere generalizzato e condiviso? 

A me la fotografia piace molto, mi piace anche scattare qualche foto. Penso che un’ immagine catturata e fissata sospenda un’azione nel modo tridimensionale della realtà e ne apra altre in quello multidimensionale della mente. Quando mi posiziono per cogliere l’attimo sto attento a che l’azione, il movimento, l’espressione che mi si presenta abbia quel dinamismo per realizzare un ponte tra le due dimensioni . Questa è un’idea “ ritmica “, che cioè mi viene spontanea perché quando suono so benissimo che i tempi dell’esecuzione, che cambiano da concerto a concerto, sono fondamentali per far “ volare “ un brano. Comunque nemmeno questo che a me sembra così naturale è qualcosa di generalizzabile. Come è vero anche il fatto che molti compositori non sono affatto ispirati da immagini extramusicali ma compongono attraverso logiche strutturali tutte interne al suono.

Nonostante la tua estrazione classica, esistono momenti in cui senti l’esigenza di qualche “power chords”, di produzione di pura energia di movimento, attimi solo tuoi in cui ti lasci andare a cose magari fuori dalle tue normali abitudini musicali? 

Io ho solo in parte una formazione classica e Popular Games visto dalla prospettiva del compositore colto è un disco pop ! Esso racchiude un’insieme di brani che condividono un andamento comune che bilancia la diversità - abbastanza notevole per alcuni critici - dei contenuti. Nel prossimo lavoro invece le ritmiche, le dinamiche e le sovrapposizioni di suoni provenienti da fonti molto diverse tra loro diverse diventano molto più accentuate e questo perché ho in mente qualcosa di completamente diverso. In generale se l’abitudine musicale nasce dal ripetere la stessa cosa almeno due volte non mi sento abitudinario.

Dall’adolescenza mi porto dietro un concetto di Voltaire che descrive l’amicizia come un “tacito accordo tra persone sensibili e virtuose”. Non pensi che la sensibilità e il virtuosismo (d’animo) siano la base per poter recepire certa musica come la tua, come quella progressiva, come quella classica? Se sì, possiamo “inventare” un link tra amicizia e musica? 

No non lo penso, non penso che la fruizione o la composizione della musica, anche quella colta, presupponga certe qualità piuttosto che altre. Il condividere qualche attività o un interesse comune può essere la base per un’amicizia ma può essere anche la fonte di divergenze e diverbi insanabili.

Immagina di poter avere la band dei sogni a tua completa disposizione, comprensiva di musicisti del passato, ormai non più tra noi. La puoi descrivere?

Einstein al violino così mi faccio spiegare meglio la teoria della relatività che non l’ho capita troppo, Paul Klee all’altro violino così gli chiedo il favore di un quadro a basso costo; non sceglierei però Sherlock Holmes che pure era violinista ma che per via della sua dipendenza ( immaginate quale ) potrebbe crearmi dei casini nel gruppo. Anche Beethoven potrebbe andar bene che, sordo come una campana, non farebbe storie per una nota presa male. Beh avrai capito che non riesco proprio ad immaginarla un band di capoccioni perché la sola idea di metterli insieme mi sa di Pingo Pango e Pango Pingo di Alice nel paese delle meraviglie. Un incubo …. “ mai dar retta agli sconosciuti ” conclude Alice …

Ho messo a disposizione dei miei figli tutti i miei strumenti, senza forzare , nella speranza che qualcosa accadesse. Per il momento la sacra passione non è sbocciata. Come e cosa accade veramente quando ci si accorge che non ci si può e non ci si deve più separare dal proprio strumento? 

Non bisogna aspettarsi che i nostri figli condividano le nostre passioni, sono altro da noi e quindi seguono la loro strada. A volte può capitare che gli interessi coincidano ma spesso accade il contrario. Per me è stato fondamentale il passaggio dal pianoforte all’oboe, questo strumento così strano e misterioso mi ha consegnato le chiavi della musica e quando dopo un po’ ho cominciato ad interessarmi di altre cose come la composizione mi sono accorto che per me la musica non era più legata ad uno strumento specifico ma al suono qualunque esso sia.

Qual è il tuo rapporto con la canzonetta di facile ascolto, quella che magari non ami, ma devi subire, passivamente?

Pessimo, da bambino ascoltavo molto la radio ma quando da adolescente ho trovato sempre più difficile ascoltare qualcosa di bello o interessante l’ho semplicemente spenta. Il silenzio diventa in questi casi l’ unica arma contro l’ invasione del suono molesto.


http://www..myspace.com/maxfuschetto




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