“INCIDENTI-Lo Schianto” di
NichelOdeon/InSonar & Relatives
Claudio Milano
Da lunghissimo tempo seguo l’arte proposta da Claudio Milano, musicista unico, coraggioso,
controverso, divisivo, esteta, concreto, sognatore, sperimentatore... aggettivi
che volgono tutti al positivo, frutto di una frequentazione che passa quasi
esclusivamente da elementi musicali, ma è facile catturare il suo disagio,
probabile frutto di diversificati accadimenti personali misti alle difficoltà
che Claudio, come ogni purista della materia, ha trovato e continua a trovare
sulla sua strada.
Per me Milano è simbolo, soprattutto, di voce incredibile,
assimilabile ad uno strumento vero a proprio, e se fosse vissuto nella
generazione precedente avrebbe trovato ben altre soddisfazioni, magari legando
professionalmente con il Maestro della Voce.
L’artista pugliese non strizza l’occhio a nessun tipo di
compromesso o annacquamento teso alla ricerca di un qualsiasi consenso, ma tira
dritto per la sua strada, conscio che le sue creazioni saranno destinate ad una
nicchia di anime sensibili e virtuose.
Ma “relegarlo” al ruolo di voce fuori dagli schemi appare
riduttivo e credo che ogni tipo di rappresentazione che ha a che fare con
l’arte lo potrebbe vedere indiscusso protagonista.
Dopo un lungo periodo di vuoto discografico è stato da poco rilasciato
un nuovo progetto dal titolo “INCIDENTI-Lo
Schianto”, presentato in controtendenza come “Un disco SENZA
VALORE”:
“Un disco SENZA VALORE, non è leggero e spensierato, non
parla di rinascita nel “dopo-pandemia”, il cantante del progetto non è bono,
non è pansessuale e non è ventenne. “INCIDENTI-Lo Schianto” è pronto per
divenire il più grande fallimento di Snowdonia e Claudio
Milano ne va fiero (ma senza montarsi la
testa).”
Capito il tono?
Un CD e un vinile di lunga durata, una marea di
collaboratori, un artwork da sogno, una musica difficile da definire... tutti elementi che si dischiuderanno al cospetto dell’ascoltatore curioso, non necessariamente
seguace di Claudio Milano, anzi, meglio cercare nuovi adepti.
Ho ricevuto molto materiale e non ho sprecato nulla.
Tutto è funzionale alla comprensione e seguendo le
indicazioni il lettore troverà importanti elementi oggettivi (cliccare sulla singola
voce):
-Tracklist con ascolto dei singoli brani
Ma la cosa più utile risulterà l’intervista realizzata con
Milano, che racconta dettagli impossibili da afferrare in altro modo,
delineando una storia - e una vita - dedita all’impegno artistico. L’amarezza
emerge, così come una visione del mondo tendente al grigio e una trasposizione
dei sentimenti e delle idee in un contenitore sonoro difficile e al contempo affascinante.
Resterebbe ben poco da aggiungere, perché la tavola è del
tutto apparecchiata, e il mio personale gradimento, che è davvero grande, risulta
insignificante rispetto ad un lavoro monumentale e di grande qualità.
Condenso il mio sentimento da ascolto, ripetuto e avvenuto
in situazioni disparate e non solo in un contesto “controllato”, quello che a
mio giudizio è richiesto quando si è alla ricerca della massima
concentrazione.
Forse mi allontanerò dai veri intenti dell’autore, ma è
questo l’angolo delle sensazioni istintive.
Ciò che ho captato è
una proposta capace di dare voce alle
insoddisfazioni, alle angosce, a un nuovo rapporto con l’arte che fugge dalla
mera estetica, alla ricerca di un valore più profondo, e in questo senso mi è apparso come una vera rivoluzione.
Una musica diversa da quella a cui l’ascoltatore medio è abituato, solitamente avvezzo alla comprensione immediata e a una certa commercializzazione dettata
dal mainstream.
Esiste quindi uno scoglio da superare e Claudio Milano, infischiandosene
dell’ortodossia, utilizza linguaggi variegati che hanno il limite di essere
riconosciuti da pochi.
Nel suo nuovo lavoro ho trovato un approccio diverso dalla norma, una
sottolineatura di una necessità espressiva dove le idee sono preminenti
rispetto all’estetica legata al modello espositivo.
Una portata culturale di grande impatto, una luce che si accende e
illumina le esistenze, una diversa chiave di lettura della vita che può trovare
totale appagamento nelle varie forme artistiche esistenti, interconnesse tra
loro.
Sintetizzo il nuovo
progetto di Claudio Milano con una citazione nobile, attribuita a Picasso: “L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata
nella vita di tutti i giorni.”.
Ecco, questo è quello che ho avvertito, ascoltando con coscienza “INCIDENTI-Lo Schianto”.
Leggiamo ora
l’autorevole pensiero di Milano, augurandogli tutta la visibilità possibile (e
non si tratta certo di un augurio legato al businnes delle vendite!) e un
proseguimento nella sua opera, lontano dagli schemi precostituiti, ma come sempre
onesta e duratura, e anche per lui, come per quasi tutti i grandi artisti, il
riconoscimento arriverà, seppur con spudorato ritardo.
L’intervista
Sono passati sette anni dall’uscita del tuo ultimo lavoro e il nuovo progetto comprende registrazioni da tempo nel cassetto: puoi sintetizzare l’iter che ti portato a realizzare “INCIDENTI-Lo Schianto”?
È necessario avere un progetto chiaro. Se questo manca il risultato che si può dare alle stampe è solo “l’ennesimo disco di” e io non voglio fare il clone di me stesso. Scrivo solo quando ho qualcosa di urgente da comunicare e quando ho la percezione di avere qualcosa di autenticamente nuovo da offrire alle mie orecchie. Strappo e brucio interi quaderni con appunti musicali e altrettanti di appunti per liriche. A me interessa dare solo musica che non ho ancora sentito io in primis. Non sono uno che “ricerca” rigirando attorno ad una intuizione. Mi interessa maturarne diverse nell’arco del tempo che spendo appresso al mio essere musicista. Ci sono voluti cinque anni per definire questo album in termini di scrittura, incisione e ricerca di un suono identitario in mezzo alle diverse proposte che contiene, un tempo ragionevole tenendo conto che lo studio che ha assemblato i singoli contributi dei musicisti, a 1200 km di distanza, ha dovuto fare i salti mortali e per giunta attraverso comunicazioni via e-mail e telefonate non sempre pacate. Poi l’assenza di fondi per darlo alle stampe e una pandemia in corso han fatto il resto, altri due anni di attesa, una bruttura fatta di fame autentica e disagio. Nel mentre ho vissuto ovunque e volendo trovare nuove definizioni di me stesso mi sono offerto a progetti non miei… decine. In studio e soprattutto dal vivo. Ho voluto concedermi un viaggio fuori e dentro me stesso, senza sconti ricevuti da parte altrui e senza averne fatti a me. Ne sono venuto fuori ridotto in brandelli, a livello di schema identitario e qui parlo di struttura psico-fisica, è come se mi fossi arrovellato fino alla dissoluzione (e non parlo di eccessi “rock”, ma di uno scavarsi dentro in maniera impietosa). È un miracolo che io sia vivo. Non sto bene, il che dal 2013 non è una novità, ma sono più sereno. Non mi sento più in lotta con qualcosa… so di non avere più niente da perdere. In qualche modo io mi sono ucciso, perché ho annullato i miei sogni. “Finalmente” posso guardare le cose come se mi scorressero appresso. Il mio spirito in musica invece rimane vivo, icariano, di chi quando canta vorrebbe tirare giù dal cielo tutte le stelle per poi benedirle e dedicarle a chi ha attorno.
Il titolo di un album lo caratterizza all’impatto e si presta spesso ad interpretazioni personali: qual è il significato reale che si cela dietro a “INCIDENTI-Lo Schianto”?
Il titolo dell’album sta per “incidere” inteso come atto che comporta auto-analisi fino a ritornare a un punto zero, l’idea è nata dalle “Incisioni” e dai “Tre Studi per una Crocefissione” di Danio Manfredini. Questo azzeramento, anche di coscienza è ciò che percepisco nel percorso della società attuale, “sento” che è tempo di grandi rivoluzioni in giro, assai confuse ma comunque tali da definire un’epoca che non mancherà di scontri talmente tanto violenti da dare nuovo volto al panorama politico-economico globale. Dal 2014 ho vissuto anni di collaborazioni senza tregua ma con la consapevolezza di non poter contare su una formazione musicale univoca a seguire i miei percorsi. Ogni incontro con un musicista è stato una messa in campo di idee, percorsi seguiti differenti, scontri di Ego. Non solo, nel disco si racconta di “infatuazioni” in un viatico di incontri nati via chat, tali da portare alla mercificazione di sé e all’annullamento di ogni valore della parola “amore”. Mi è venuto spontaneo pensare alla pubblicazione del disco nell’11 Settembre dell’anno in cui sarebbe stato concluso. Poi, caso ha voluto sia stato pubblicato a vent’anni di distanza dall’attacco alle Torri Gemelle.
Perché lo hai definito “Un disco SENZA VALORE”?
Perché non ha futuro in termini di riscontro. “Valore” è ciò che noi diamo alle cose ma che anche gli altri attribuiscono a noi. Io non valgo niente, non possiedo nulla e non ho alcuna caratteristica che socialmente oggi possa vedermi in cima a una lista di preferenze. La società in nascita farà razzia in breve tempo di quelli come me.
Mi parli dell’anima del progetto e delle peculiarità liriche e musicali?
L’anima del progetto non è disgiunta da un corpo lacerato e risibile secondo gli standard di immagine attuali. È un ritratto picassiano di un individuo che fa risuonare in tanti cassetti di sé apparentemente disgiunti, voci diverse in buona misura distopiche ma rispondenti a un tratto preciso. Non folle, ma neanche sano. Le mie liriche nascono in buona misura da critica sociale ma hanno un’organizzazione musicale assai precisa e studiata per mesi. Nonostante questo, non tutte mantengono un posto nella mia memoria a lungo. In questo album ce ne sono alcune che amo molto, quelle di “How Hard Tune!” e di “Idiota-Autoritratto” in particolar modo, ma non ne avrei pubblicata nessuna non l’avessi avuta a cuore almeno per buona parte. Ci sono poi due splendide liriche di Salvatore Lazzara e in un brano (Nyama) riprendo nel Corale oltre che Dino Campana, uno dei miei più grandi amori di sempre: Pier Paolo Pasolini e la sua “Profezia”. Un brano invece è nato da una rilettura integrale di Peter Hammill. Del suo pezzo “The Jargon King” è rimasta solo la lirica, attuale più che mai. Se si vuol dare alle stampe qualcosa che non muoia alle proprie orecchie e ai propri occhi in breve tempo, bisogna sforzarsi di guardare lontano… molto lontano. L’alternativa è fare le soubrette su Instagram e Tik Tok.
Sono moltissimi i musicisti che partecipano all’album: non ti chiedo di elencarli ma di motivare le scelte relative alle differenti collaborazioni.
Sono compagni di viaggio. Tutti. Qualcuno ha lavorato già alle mie dodici precedenti pubblicazioni, qualcun altro mi ha chiesto di lavorare per le sue, alcuni sono amici, altri li ho ascoltati e recensiti e mi sono innamorato dei loro percorsi. Qualcuno è arrivato per emergenza, altri per empatia. Con tutti si è creato un ottimo feeling anche se talvolta ho dovuto attendere due, tre, cinque anni perché una registrazione promessa arrivasse. Qualcuno c’è ancora, qualcuno non c’è più, come il M° Gianni Lenoci. Qualcuno si è dissociato dall’esito conclusivo, altri mi ringraziano. Incontri, incidenti…
Raccontami del messaggio basico, quello che hai dentro e che, essendo artista globale, puoi urlare attraverso il tuo nuovo lavoro.
L’arte per come l’abbiamo ereditata da Adorno è morta. Adesso ne viviamo l’inferno, il suo rovesciamento di parametri. Io son vecchio… continuo a passare un’idea massimalista nella gestione di parametri. Credo ancora che non si sia un esercito cinese in terracotta in cui le statue si differenziano solo per un dettaglio. Io amo i grandi passi, quelli che spostano l’angolo di visione di almeno un po’ ma tale da garantire una nuova messa a fuoco, in alternativa la creatività per me è solo intrattenimento e mi annoia. Poi per carità, so benissimo che chi mi ascolta mi giudica “pesante” e noioso.
Esistono dediche particolari per ogni traccia: me ne parli?
Le dediche sono a persone conosciute in chat e con le quali ci sono state brevissime frequentazioni. Mi danno l’idea di come oggi nulla abbia valore e di come si sia destinati a schiantarci contro noi stessi in questa folle e inutile corsa. Il progresso non è necessariamente ininterrotto. In alternativa le grandi civiltà che ci hanno preceduto non avrebbero ceduto il passo alla nostra e noi suoneremmo la loro musica di cui sappiamo invece poco o nulla.
Il disco è stato anticipato dal video “Ho Gettato mio Figlio da una Rupe perché non Somigliava a Fabrizio Corona”: mi spieghi la scelta e mi dici che valore/funzione ha per te l’aspetto visivo legato alla musica?
C’era un’idea originaria per quel videoclip. Una sceneggiatura da me scritta ma mi erano richiesti fondi che non c’erano. L’epoca delle collaborazioni al fine di creare un quadro ricco di colore si sta esaurendo velocemente per lasciare spazio a un professionismo formalmente perfetto ma cinico, quello dei talent, ma non solo, i ventenni oggi hanno un’arroganza mai percepita, non riescono a guardare lontano dal loro habitat. Troppa gente vive in condizioni di incertezza economica e il mondo dell’arte in Italia è già solo appannaggio di gente abbiente. Non finiremo subito come una “nuova Grecia” ma saremo sempre una provincia di un Impero ormai con le ore contate. Io ho sempre creduto nella multimedialità come naturale conseguenza del percorso della creazione. Viviamo in un mondo che ci sommerge di stimoli assai contrastanti. L’azione combinata di questi determina ciò che chiamiamo “realtà”, anche con le sue contraddizioni e i suoi cortocircuiti che piegano le nostre ginocchia. Ho teorizzato sin dalla mia tesi di laurea del 2000 (Sphere) la necessità di mettere in pratica una forma di multimedialità contemporanea dove gli stimoli non convergessero ma finissero per creare una dimensione multipla di attenzione e percezione, fino allo scontro, al caos creatore. Non sono riuscito a concretizzare il tutto in modo coerente per questioni economiche, ci è riuscito però Stefan Prins con la sua “Generation Kill”, dodici anni dopo. Io nel mentre sto lavorando a una forma di arrangiamento, divenuto la mia tavolozza principe che renda chiaro questo processo di piani plurimi di percezione e orientamento della composizione. Il videoclip è stato concordato in modalità performativa con un mio amico, allievo e collaboratore: Niccolò Clemente aka Cp. Mordecai Wirikik. Lui è un creativo puro ed entusiasta. È una persona con cui ci si può permettere di inventarsi qualcosa quando si hanno pochi mezzi perché la sua vita stessa è creazione, curiosità, intelligenza emotiva. Ha generato qualcosa di assai distante dalla mia idea di partenza ma con coerenza e dando adito a quel senso di “dissociazione dall’ascolto/visione” che ovviamente ha portato il video a non essere granché considerato. È tutto però in linea col processo a cui ho voluto dare forma nella consapevolezza di una pubblicazione suicida.
Mi è piaciuta molto la cover e l’artwork in generale: chi se ne è occupato e come rappresenta i contenuti? A proposito, come dovrebbero essere usati i quattro adesivi contenuti nel packaging?
Originariamente volevo fosse Remigio Fabris a dedicarsi alla copertina. È un pittore che amo particolarmente ma la mia richiesta non è arrivata in un momento appropriato. L’artwork dunque l’ho fatto io, ho del resto una laurea in Accademia di Belle Arti che non dimentico. Anche se non si coglie dal digipack consta di quattro dipinti polimaterici e tridimensionali su tavola sagomata. Dei dipinti che vanno fruiti nella visione diretta, non come cover. Come tale però funzionano bene e ne sono particolarmente felice. Rappresentano un ciclo ad esemplificare il concetto di causa-effetto buddista, dicendo semplicemente come ognuno sia causa del suo male e della sua gioia in modo più o meno diretto. I quattro adesivi ognuno può usarli come vuole. Sono la trasposizione in chiave pop delle tavole per l’artwork a giocare sui significati della parola “attaccami/attacati”.
“INCIDENTI-Lo Schianto” è un album non di immediata metabolizzazione, come tutto quello che proponi: a chi ti rivolgi oggi con la tua musica così lontana dall’ortodossia e dalle imposizioni del mercato?
A chi vuole ascoltarmi. Credo sinceramente oggi tutto sia “pop”, inclusi il jazz e la musica classica contemporanea. Lo sono in quanto fanno parte di un mondo mercificato dove tutto è in vendita e con la volontà di raggiungere un pubblico ampio e diversificato. Basti guardare le copertine di Classic Voice, si fa fatica a distinguerle da quelle di Vogue. Le musiche si stanno avvicinando prendendo input da fields completamente lontani, nella definizione di una musica popolare colta che può definirsi esclusivamente “contemporanea”, sia jazz, classica, d’avanguardia. È ovvio che ciò accade solo in posti distanti dall’Italia laddove l’espressione ultramoderna definisce i nuovi volti delle città, crea nuove forme di aggregazione e permette sviluppo economico (Nord Europa). Io qui non ho futuro e non ho fruitori. Nonostante questo, la promessa ai miei collaboratori di pubblicare tutti i lavori fatti assieme non la ritirerò per alcun motivo. Ho quattro lavori in uscita fino ai miei cinquant’anni, poi vedrò che strada seguire.
In che formati sarà disponibile l’album e dove e quando lo si potrà reperire?
È in formato CD e digitale su Bandcamp a mio vantaggio, su tutte le piattaforme a vantaggio di Audioglobe. Ci sarà una pubblicazione in vinile che rappresenta però in parte qualcosa di diverso. Conterrà il singolo del videoclip in versione estesa ma anche un nuovo brano, speculare al primo nel titolo e della stessa durata. È una composizione strettamente contemporanea che tanto deve al lavoro di Simon-Steen Andersen col suo “Piano Concerto” e all’elettronica di Tim Hecker, ma che ovviamente ha un’identità propria capace di fare del paradosso tragicomico virtù. Tratta come ogni religione si imponga come unica “verità” invitando a colpire chi pratica culti diversi. Ogni credo è sinonimo di violenza mascherata ad altro. La confezione del vinile (stampato in dieci copie) conterrà un kit di sopravvivenza per i tre giorni di buio profetizzati da secoli e poi un kit feticista, tra sacro e profano, un ribaltamento incrociato dei piani di visione.
Hai previsto presentazioni e momenti live?
Se me ne fanno fare… La formazione di partenza c’è. Io, Francesca Badalini e Andrea Grumelli in qualità di polistrumentisti. A loro sarebbe l’ideale aggiungere il violino di Erica Scherl se ci sono soldi a sufficienza. Se non ci sono proprio soldi apro volentieri a concerti altrui con mezz’ora di set (il materiale del vinile) cantato/recitato live proponendo ogni sera testi modificati, con base preregistrata e miei inserti di synth “suonati”. A monte della presenza di una registrazione, ogni volta i brani saranno cosa diversa… ammesso che ci siano possibilità per proporsi in maniera dignitosa, altrimenti evito volentieri. Le energie che ho mi va di dedicarle alla creazione di valore, non al narcisismo.
Un’ultima cosa: che tipo di artista è oggi Claudio Milano e come vede il futuro della musica?
Il futuro
della musica è quella che potrà essere venduta, qualunque essa sia. Io invece
sono un abbaglio. Né più, né meno. La mia generazione ne è consapevole, non può
avere un futuro lasciando memoria di sé. Tutto si consuma e oggi i Maneskin in
rete hanno più ascolti dei Beatles e il 900 della classica e dell’avant jazz
sono stati archiviati. Ognuno però può dare il suo contributo a un processo.
Ciò che resta saranno i “sistemi”, non le individualità. Se l’esercito cinese
di terracotta sorridesse perché ha ragione?
Link
utili:
PAGINA
BANDCAMP Claudio Milano (dall’11 Settembre il disco è disponibile anche su
Spotify):
https://claudiomilano.bandcamp.com/
SITO WEB
Claudio Milano: https://www.claudiomilano.it/
PAGINA
YOUTUBE NichelOdeon/Claudio Milano (2002-2021):
https://www.youtube.com/user/nichelodeonband