Nell’estate del 2015 incontrai il mondo di Federico
Milanesi e commentai il suo album “Anima Mundi” (disponibile ora in
versione remixata e rimasterizzata, con il rifacimento delle parti vocali),
primo atto di una trilogia che oggi, a distanza di quasi sei anni, trova
continuità con l’album “New-Knights”,
mentre la denominazione del progetto si evolve in Be
Cause.
Come accaduto nell’occasione precedente ho posto alcune
domande all’autore, alla ricerca dei dettagli che spesso restano celati e, nel
rispondermi, Federico si è lasciato andare in un lungo racconto dei suoi
percorsi, delle sue vite, delle sue motivazioni e convinzioni.
Ho preferito non tagliare la lunga intervista perché l’ampio
spaziare esula dal discorso prettamente musicale, allargando la visione ai
tanti aspetti della nostra esistenza e, così come la sua musica, anche le sue
parole possono essere catturate e reinterpretate secondo il personale modello
di riferimento.
Occorre sottolineare che Milanesi ha una esperienza
trentennale in ambito musicale e le sue competenze variano dalla composizione
alla produzione sino ad arrivare alla ricerca spinta, incentrata sulla stretta
relazione tra suono e reazione umana.
La gestione di uno Studio musicale a Londra gli permette di
essere a contatto con un mondo che, seppur con grandi diversità rispetto alla
genesi, rappresenta novità ed effervescenza, quindi stimolante e motivante.
L’esposizione delle sue idee, come anticipato, basterebbe da
sola per presentare al meglio “New-Knights”, ma vorrei dare un’immagine
di insieme, compendio delle mie sensazioni da ascolto.
Mi aggancio ad una frase contenuta nel comunicato ufficiale:
“Be Cause è un progetto aperto volto a superare i confini dei generi musicali
con un approccio multi-strato ai testi.”
Il superamento a cui si fa accenno è il nodo cruciale del
progetto e non sarei in grado di indicare in modo chiaro una delle tante
codifiche od etichette a cui ci ha abituato l’ortodossia musicale.
Inserire il tutto genericamente nell’area prog appare
d’obbligo, se non altro per la libertà espressiva di cui è pregno il lavoro, ma
una cosa è certa, Be Cause ha realizzato un disco apprezzabile anche dal quel pubblico che non
riesce - o non sente il bisogno - di entrare nei rivoli delle singole creazioni,
“accontentandosi” di un ascolto meno cerebrale, fatto che potrebbe provocare un
po' di frustrazione per chi compone, ma la gradevolezza e il benessere
d’ascolto che la musica è in grado di generare sono aspetti a mio giudizio
gratificanti per chi quella musica la propone.
Provando a dare un giudizio di insieme sottolineo come le
trame di “New-Knights” mi abbiano realmente colpito e penso che in
momenti come quello attuale, fatti di estrema delusione legata a produzioni
insane, realizzate per insani, l’ascolto di un lavoro di tale respiro sia una
manna piovuta dal cielo.
Non esagero nel dire che sia uno degli album che mi hanno
maggiormente emozionato negli ultimi tempi.
Atmosfere magiche, ritmi composti che sfociano a tratti nella
contaminazione tribale, suoni lancinanti e sonorità che inducono alla
riflessione, peculiarità della musica, quando è di qualità.
E poi una voce che riporta a immagini antiche miscelate tra
loro, una sintesi di presente e passato e a un certo punto dell’ascolto ho
avuto la sensazione di trovarmi ad ascoltare il Peter Gabriel solista degli
anni Ottanta calato nei primi Genesis.
Nessuna comparazione, ma solo frammenti di immagine sonora
che può procurare l’ascolto di “New-Knights” e sono certo che le mie
personalissime “visioni sonore” saranno sostituite da altre a seconda del
contesto e del momento di fruizione.
Un grandissimo album a cui si aggiungerà tra non molto la
fermatura del cerchio, il terzo capitolo che si chiamerà “Light and Darkness”.
Musiche che, come racconta nelle prossime righe Be Cause,
sono “vecchie” di anni: “Perciò io sono distante vent’anni da questi lavori
in realtà!”
Idee antiche, tecnologia disponibile e maturazione personale portano a lavori come questo, bellezza di forma e di sostanza e didattica per terzi, bisognosi di apprendimento!
La nostra chiacchierata…
Ho commentato il tuo lavoro a metà del 2015 e l’ultima frase dell’intervista che realizzammo riportava il seguente concetto: “Sono tempi bui: c’è bisogno di luce a questo mondo” … avresti mai pensato ad una nebbia così consistente e persistente?
Per rispondere alla tua domanda, la persistenza di quella che definisci nebbia, dal mio punto di vista, è molto più estesa di questo breve intervallo di tempo. Ci sono alcune epoche, questa direi in modo peculiare, che rendono evidente una condizione di base già preesistente. La “nebbia” esiste da sempre Athos, prende solo forme diverse dandoci solo l’illusione di essere risolta. Se guardiamo la storia umana vediamo che la condizione di base dell’essere umano non è in fondo cambiata. Non intendo le conquiste civili e sociali o il progresso tecnologico, parlo di consapevolezza. Con questo temine intendo la coscienza sempre più profonda dell’ampiezza dell’universo in cui siamo contenuti. Man mano che la consapevolezza si amplia, ci rendiamo conto di sempre più fattori. Fattori emotivi, mentali, interiori. Questo ci porta ad entrare sempre più in contatto con alcuni principi universali. Dapprima li sfioriamo, poi entriamo in maggiore intimità, quindi entrano a far parte di noi, della nostra coscienza, in un processo di comprensione e unità che non conosce fine. Non è un processo elitista, di separazione dal mondo o, peggio, di creduta superiorità, ma anzi un percorso che conduce a una sempre maggiore vicinanza con la nostra umanità. Ci rendiamo conto che il nostro ego non è nulla, sviluppiamo sempre più empatia, poiché non siamo più chiusi nel nostro piccolo mondo, ma via via “diventiamo quello che tocchiamo”, e per unità, per fusione, comprendiamo. Comprendiamo di più dell’universo che ci contiene come dei nostri fratelli umani. Questa fusione porta ad un principio di comprensione, che diviene compassione e quindi Amore (è il concetto che ho pensato di raccontare in “Looking for you”). Questo processo di espansione però conta un tempo molto elevato per potersi compiere, a meno di ricevere un aiuto da qualcuno che già l’ha compiuto (tutto “Anima Mundi” ruota attorno al concetto dell’intervento di una guida). Ebbene, se guardiamo l’umanità nel suo assieme, possiamo vedere che le paure sono le stesse di secoli fa. La tendenza all’egoismo è la stessa, la tendenza a chiudersi in difesa del proprio piccolo mondo non è cambiata. La violenza è sempre presente. Il conflitto rimane una costante delle dinamiche dell’umanità, e nel nostro personale quotidiano. La “nebbia” è sempre esistita Athos, ma oggi, come segno dei tempi, ecco che si palesa in modo evidente. Questa “nebbia” non riflette altro che il grado di consapevolezza raggiunto dell’umanità nel suo assieme. È davvero negativo quello che stiamo vivendo oppure già vivevamo così e questa oscurità è resa solamente più evidente? È estremamente difficile comprendere veramente ciò che è “bene” e ciò che è “male”. A volte, toccare il fondo è un modo per non dare alternative se non rialzarsi, a parte giacere dove si è, che dal punto di vista anche strettamente logico non è un’alternativa. Messo alle strette, l’essere umano manifesta il meglio e il peggio di sé, a seconda, appunto, della propria maturità, che non è altro che la consapevolezza acquisita nell’arco dell’esperienza vissuta. Resta da capire come mai ci siano persone così diverse avendo avuto esperienze di vita simili, ma lascio aperto il quesito. Per concludere, anche se ci sarebbe davvero molto di più da dire, e anzi sono più che disponibile ad un ulteriore approfondimento, facciamo l’esempio di un bambino. Un bambino è naturalmente più portato verso sé stesso, è il naturale processo delle cose. Ci vuole tempo affinché egli incominci a realizzare che esistono gli altri, che ci sono responsabilità, che ci sono persone di cui prendersi cura… È il naturale decorso della vita. Non possiamo prendercela col bambino perché ha mangiato tutte le caramelle. Non diremmo mai che quello che ha fatto è “male”, perché, appunto, è un bambino. Quindi… la “nebbia”, in realtà, cos’è?
Per quello che posso osservare, non vedo altro che un’umanità bambina, ancora tanto dipendente dai bisogni egoici e tanto soggetta a paure. I bisogni e le paure, unite all’egocentrismo, portano a certi risultati. È quindi vero che un bambino per crescere deve passare attraverso il proprio egoismo. È altrettanto vero però che il potenziale distruttivo di questa umanità è spaventosamente più elevato di quello di un bambino. Ora tutto questo è evidente in modo disarmante. È una fase di un lunghissimo processo. Solo, bisogna iniziare a guardare molto più dall’alto (come punto di osservazione, non certamente inteso come il porsi al di sopra degli altri ritenendosi superiori), e dall’alto contemplare il percorso dell’umanità, come un fiume che scorre verso la propria sorgente, in un viaggio che non conoscerà una fine. In questo modo si potrà vedere con chiarezza che un intervallo temporale di anni non è che un minuscolo frammento di un percorso infinito. Allo stesso tempo, si potrà vedere con chiarezza l’estremo bisogno di verità (intesa come realtà ultima) di questo nostro mondo, giunto a un punto limite.
Da Federico Milanesi a Be Cause: cosa è cambiato per te in questi sei anni dal punto di vista strettamente musicale?
Sono stati sei anni enormemente rilevanti. Se vogliamo, posso dire che, approfondendo sempre più la scienza e l’ingegneria del suono, mi sono avvicinato di più al “suono” in quanto tale. La vibrazione sonora. Poi ci sono le collaborazioni musicali. Qui a Londra ho iniziato un progetto musicale con Francesco Iannuzzelli e Alex Bartolozzi. Francesco suona strumenti a corda appartenenti alla tradizione mediorientale, oltre che chitarre di ogni genere e tipo; Alex suona la batteria e percussioni etniche e non. Questo progetto ha ulteriormente contribuito ad ampliare il mio orizzonte sonoro, oltre che a coltivare delle care amicizie. Purtroppo, il progetto ora è fermo per cause contingenti ma riprenderà appena possibile. Riguardo “Anima Mundi” e “New Knights”, vedi Athos, questi lavori erano già pronti oltre vent’anni fa. Mille problemi ne hanno impedito l’uscita ed è solo perché desideravo finire quello che ho iniziato che sono venuto a capo di questi problemi e sono riuscito a concluderli. Perciò io sono distante vent’anni da questi lavori in realtà! Il prossimo lavoro è già quasi ultimato, e anch’esso è distante nel tempo. Avrei potuto lasciar perdere, ma per me è necessario metterli a disposizione. Per mille ragioni.
Non voglio entrare in discorsi intimi ma, generalmente, i cambiamenti personali influenzano pesantemente la fase creativa: c’è qualcosa di significativo e raccontabile che ti è accaduto e a cui tu imputi le tue attuali scelte progettuali?
Grazie della domanda Athos. Sì, certo. Quello che mi è accaduto è che per tre quarti della mia vita mi sono dedicato alla ricerca di un senso profondo all’esistenza, e sono stato tanto fortunato da incontrare un autentico percorso di crescita e comprensione. Ho sempre cercato un insegnamento profondo, questo ho trovato, e continuo a trovare anche dopo trent’anni, nelle persone di Andrea Di Terlizzi e Antonella Spotti, ideatori del metodo che hanno chiamato “Sphera”, le cui conoscenze vanno alle radici degli insegnamenti più profondi che ci sono stati tramandati fin da epoche dimenticate. La “New age” ci ha purtroppo impoverito di autentici riferimenti interiori. Tutto si è talmente banalizzato, anche i contenuti più profondi sono diventati aforismi e c’è una saturazione di proposte di c.d. “esperti” che parlano di contenuti che in realtà non conoscono. La pletora di corsi on line dove “illuminarsi”, “diventare ciò che si è”, per non parlare di aperture di Chakra, vite precedenti, ecc., è questione di un fine settimana. Questo è qualcosa che siamo abituati a vedere ma che, come ogni cosa a cui siamo abituati, dovremmo mettere in serio dubbio. Se in passato sono esistite persone che hanno dedicato l’intera esistenza per arrivare toccare loro stesse, ora come è possibile che tutto sia così semplicemente a portata di un weekend? Se fosse tanto semplice non vedremmo il mondo quale è sotto gli occhi di tutti, dopo duemila anni di precetti legati all’amore… Evidentemente c’è qualcosa che sfugge. In questa situazione, trovare qualcosa di autentico è veramente difficile. Io sono stato fortunato. Oggi se posso dire di essere quello che sono è grazie all’insegnamento profondissimo che ho ricevuto. Per anni, Andrea Di Terlizzi e Walter Ferrero hanno condotto insieme una scuola di carattere interiore. La mia immensa gratitudine va anche a Walter Ferrero ovviamente. Poi loro hanno preso strade diverse e per me proseguire con Andrea e Antonella è stata la scelta più naturale.
Vedi Athos, un insegnamento, se autentico, non ti dà delle certezze in cui credere. Non ti dà risposte confezionate. Ti dà gli strumenti per comprendere in te stesso sempre più ampie porzioni di verità. Questo ho ricevuto, e questo continuo a ricevere da trent’anni. La cosa più incredibile è l’inesauribilità di questa fonte. Lo so, questo è un linguaggio che può portare a facili fraintendimenti, ma sai, non me ne curo molto. Sarà che sono un rocker! Il grado di libertà che ho potuto vivere su questo sentiero di carattere interiore è tale che non posso che definire la mia esperienza come la più lontana sia dal settarismo che dalla fuga dalla realtà, purtroppo entrambi molto presenti in questi ambiti. Credo, spero, possa trasparire dalle mie parole il fatto che non sono né esaltato né fanatico, ma sono una persona che ha potuto toccare qualcosa di veramente profondo in sé stesso. Se l’ho potuto fare, è solo grazie all’aiuto che ho ricevuto.
Il tuo nuovo lavoro è intitolato “New Knights”: mi parli dei contenuti lirici?
“New Knights” è la seconda parte di una trilogia riguardante un profondo itinerario di comprensione da parte del protagonista, che, essendo anonimo, può essere ognuno di noi. Se nella prima parte alcune riflessioni di carattere filosofico riguardavano soprattutto un percorso individuale di ricerca interiore, in questo secondo capitolo le frontiere si aprono verso l’”esterno” e ci troviamo di fronte a due apparentemente opposte conseguenze: da un lato una ritrovata semplicità (p. es. “A Gift of Life”, “The Wheel of Fear”) e dall’altro riflessioni che ci conducono su un livello di lettura quasi astratto (p. es. “The Water’s Gift”) oltre che a racconti che rimandano echi di un passato remoto (“The Myth of Love”). Il punto chiarificatore giunge con il brano eponimo, New Knights, che attribuisce a questa “seconda fase” un importante significato. Dopo un percorso alla ricerca di sé stessi, e una volta giunti a un certo grado di comprensione, che accade? Molto si dice a riguardo della ricerca di sé, ma non molto di ciò che accade dopo che qualcosa si è realizzato. Calandoci in questi tempi, questo lavoro musicale parte dall’urgenza, l’invito, la necessità da parte di coloro che hanno toccato qualcosa di più profondo, o a coloro che in genere sentono una spinta più idealistica ad agire nel mondo e farsi portavoce di un cambiamento più che mai necessario. In quest’epoca di fortissime polarità, è di cruciale importanza che coloro che hanno compreso di più agiscano e divengano dei nuovi cavalieri, portando la loro comprensione e il loro cuore al servizio di questo mondo diviso e provato. Non come “bene” contrapposto a “male”, ma come portatori di una visione ancora più elevata ed unitaria, che porta a sciogliere i conflitti attraverso una progressiva “dissoluzione” (ma non annichilamento) dell’ego, in una fusione con qualcosa di più vasto (“Standing in Silence”).
La spada del cavaliere non è uno strumento di guerra e violenza, ma il simbolo della discriminazione tra vero e falso. Il filo della lama è la capacità di una mente più libera dall’ego di separare l’illusione dalla verità ultima. La forma della lama è la rappresentazione della rettitudine e la direzione della nostra volontà. L’impugnatura, il nostro punto di contatto con questi principi: la nostra personalità. Il cavaliere qui evocato non è il crociato, non è il portatore di conflitto, convinto di qualche dogma, ma il risolutore del conflitto in una visione di abbraccio e di unità, che però se necessario si erge a protezione e difesa di coloro che non possono difendersi. E così, alla luce di questo, tutto questo lavoro assume un significato diverso. Le riflessioni anche più semplici assumono sfumature profondamente umane, poiché la visione qui descritta è che un percorso di ricerca interiore, se vero, avvicina sempre più alla propria umanità, a risolvere all’origine le proprie paure, e non porta a rifugiarsi in reami illusori e astratti, in visioni rassicuranti ma paludose che in definitiva seguono il verso delle nostre paure e il nostro bisogno di rassicurazione, ma dove sottrarsi alla vita è un pericolo concreto. Toccare qualcosa di più profondo - se vero e non immaginato - conduce ad avvicinarsi sempre di più alla concretezza e ad abbracciare sempre più questa tanto ingiustamente vituperata “materia” che già nel primo lavoro “Anima Mundi” era vista come Madre (“Mother Form”). E così, “Nuovi Cavalieri”, “New Knights” appunto, recuperando antichi principi connaturati nella più nobile natura umana, nell’eco di qualcosa di tramandato da generazioni e generazioni, rimanda a quel concetto di “tavola rotonda”, dove, in un principio circolare, non vi è chi è più importante, non vi è gerarchia, ma vi è solo partecipazione a un elevato ideale, ognuno con ciò che è. Sotto questo aspetto, l’incontro di due amanti in tempo di guerra assume un significato commovente e quasi eroico (“Love in Times of War”), e noi che assistiamo a questo istante, non possiamo non esserne coinvolti con tutta la potenza che l’amore è in grado di esprimere, anche in modo così semplice ma tanto intenso. Questo lavoro tratta argomenti che lo allontanano da una continuità narrativa lineare, presente invece nel precedente Anima Mundi, poiché anche il concetto di tempo, di conseguenza, di cause ed effetto ora è semplicemente un’altra cosa.
Trattasi di concept come nell’occasione di “Anima
Mundi”?
Certo, in realtà il concept è composto da tre album. “Anima Mundi” (ora remixato e rimasterizzato, sono state rifatte tutte le parte vocali e alcuni brani sono decisamente diversi, invito al riascolto), “New Knights” e infine la terza parte della trilogia, che non tarderà, e si chiamerà “Light and Darkness”. Sarà un lavoro piuttosto diverso musicalmente e in termini di contenuto. Sarà forse il più enigmatico dei tre, improntato al superamento della dualità di cui comunque il tutto è costituito.
E cadiamo sugli aspetti musicali, quelli più complicati da raccontare, per cui non ti chiedo una descrizione di “New Knights” ma l’evoluzione rispetto al passato: cosa è cambiato nel tuo modus creativo e propositivo?
Interessante domanda. In realtà questa evoluzione è stata dettata soprattutto da quello che desideravo raccontare. Come compositore ho esplorato davvero moltissimi ambiti: dalle “soundtracks”, alla musica ambient, alla musica pop, scrivendo per altri artisti. La scelta, per questo progetto, riguardava soprattutto la veste da utilizzare. Sono un grande amante del prog. Ritengo che quest’ambito musicale (e tutti i suoi sviluppi) racchiuda una immensa sensibilità, una cultura, una apertura, una disponibilità ad abbattere barriere e anche, se vogliamo, una attitudine all’accoglienza straordinari. Vi è molto meno giudizio, e questo apre uno spazio creativo straordinario. Non ho avuto alcun dubbio che fosse il miglior luogo dove far confluire questo progetto. Ma non è stata una scelta così asettica come sembrerebbe. È stata una scelta passionale. La scelta stilistica è poi caduta naturalmente sulla parte più melodica, non vi sono virtuosismi e tempi complessi, pur amandoli moltissimo. Molto semplicemente, sono brani nati così.
Chi ha collaborato alla realizzazione del disco?
Questo disco è stato interamente suonato, cantato, mixato, masterizzato da me nel mio studio Londinese “Temple Road Studio”.
Puoi decodificare - e descrivere - la cover?
La cover contiene più significati. Vi è la rappresentazione in termini geometrici della discesa sul piano materiale di princìpi elevati (la sequenza di triangoli ha questo significato). Il triangolo con la punta verso il basso rappresenta infatti un principio superiore che discende portando comprensione, amore e volontà, appunto tre aspetti. Così le più antiche tradizioni hanno raffigurato la discesa di principi spirituali, da sempre considerate come trine. Insieme a questo, il triangolo rappresenta anche la realizzazione interiore di quei principi (non a caso la rappresentazione dei c.d. Chakra nella simbologia indiana è affidata ai triangoli). Così ho voluto rappresentare la realizzazione dei più nobili principi del cavalierato all’interno dell’umanità. Sovrapposta a questo, vi è la rappresentazione delle fasi dell’eclisse totale di sole. Un primo significato è un processo di dissoluzione dell’oscurità, all’interno e all’esterno di noi (anche se “interno” ed “esterno” alla fine sono categorie del pensiero), che avviene in concomitanza alla comprensione e all’applicazione di quegli elevati princìpi nel proprio quotidiano. Vi sono ulteriori significati la cui spiegazione però richiederebbe davvero troppo spazio.
Immaginando un ritorno alla normalità, è ipotizzabile una proposizione live del tuo ultimo lavoro?
Magari. Mi piacerebbe moltissimo. Se ci fosse interesse in questo senso lo proporrei anche domani.
So che vivi a Londra e ne approfitto. Escludendo il momento contingente che ha condizionato ogni possibile azione, che tipo di giudizio daresti della scena musicale britannica in comparazione a quella italiana?
Ancora l’UK ha una sorprendente varietà di proposte, tendenze, stimoli e idee. A differenza del magico periodo che parte dai Beatles fino agli anni ’80 però, oggi bisogna avere uno spirito da ricercatori per trovare realtà più interessanti rispetto a quelle che vengono propinate come un veleno attraverso le radio più seguite. Faccio fatica a sopportare il livello medio delle proposte, costruite evidentemente a tavolino, con testi da PNL ideati per generare solo identificazioni, di voluto sempre più basso livello. Il risultato è mantenere le persone sempre più schiacciate in un mondo minuscolo, fatto di bisogni e infantilismo, e contribuire all’idea che la vita sia fatta di tanto poco. È una gara al ribasso. Per fortuna, la scena indie, prog, post-prog e alternativa produce talenti bellissimi e, se si vuole cercare, si trovano gemme preziose. Fare nomi significa escludere i non citati, ma invito tutti a cercare al di là delle proposte confezionate.
Se guardo la scena italiana, se è vero che vedo più o meno le medesime proposte mainstream, questo è a mia vista aggravato da alcuni stereotipi che la musica italiana fa fatica a superare. Inoltre, la scena indipendente è meno articolata e fa un’enorme fatica a farsi sentire. Qui in UK ci sono radio che sono ancora fedeli ai loro principi ispiratori. Le radio indipendenti sono nate nell’intento pionieristico di far ascoltare le nuove tendenze a tutti, e farsi portavoce dell’enorme cambiamento culturale in atto, in netta contrapposizione rispetto ai canali ufficiali. Ora le radio c.d. indipendenti in Italia (ma ce ne sono ancora?) hanno tradito il loro spirito e non hanno più alcun interesse a proporre musica quale rappresentazione di cultura e educazione musicale. Sono diventate i nuovi canali ufficiali, per paradosso, proprio quelli che sono nate per osteggiare! Infatti, tutte offrono le medesime proposte. In questa desolante uniformità, gli utenti - parlo soprattutto dei giovani - non hanno la possibilità di crearsi un’educazione che li porti a conoscere e approfondire il mondo della musica e di conseguenza i gusti musicali vengono appiattiti sempre più. Questo fenomeno - presente in qualsiasi canale mediatico - ha contribuito a rendere la musica un semplice genere di consumo, impoverendo l’ascolto dalla passione che rende la musica tanto importante per tutti noi. Non vedo d’altra parte qualcosa che prenda l’eredità smarrita delle radio indipendenti per portare avanti una autentica cultura musicale. Esiste un vuoto che non dà spazio a voci alternative. Qui per fortuna si possono ascoltare radio che propongono musica che non appartiene al mainstream.
Riguardo alla musica, esiste ancora tutt’oggi un grande divario rispetto alla musica in lingua inglese. Divario che parte da molto lontano, dalla musica celtica e dalla fonetica della lingua, ma questo è tutto un altro discorso e richiederebbe da solo un intervento a parte. Posso solo accennare che il cronico ritardo di cui soffre la musica italiana è anche (ma non solo) dato da un problema endemico dell’italiano come linguaggio. Soprattutto nelle ritmiche. Parlare una lingua tanto armoniosa, conclusa da vocali, non ci aiuta a livello inconscio (ma anche pratico) a sviluppare una mentalità ritmica. L’inglese è ritmico di natura. Questo è un “vantaggio di posizione” che al momento non sembra superabile. Non solo, comunque, diciamolo francamente: questo divario si mantiene anche per la colpevole mancanza delle radio di non dare il giusto spazio alla musica indipendente. Quanti talenti rimangono chiusi nel loro mondo, impossibilitati a proporsi, se non nel web, in circuiti oscuri che pochissimi avranno la possibilità di ascoltare, o perse come gocce nell’oceano tra milioni di proposte di scarso valore anche perché il web, aprendo i confini a tutti, è alla fine ricettacolo di ogni cosa, e trovare qualcosa di “vero” in questa pletora di offerte è come cercare un ago in un pagliaio. Questo purtroppo non solo a livello musicale.
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