Sembrerebbe eccessivo parlare di biografia quando il percorso
da delineare è quello di un ventenne, ma a giudicare da quanto emerge a seguire
vale la pena soffermarsi su una strada iniziata da poco, ma già ricca di
esperienze e di indicazioni per un mondo giovanile che difficilmente prende in
considerazione la musica colta.
Il contesto fa la differenza, e non è usuale che un adolescente, quasi sempre attratto istintivamente da ciò che viene imposto dai media, possa pensare di
avvicinarsi ad un violino, ad un’arpa, ad una mandola, strumenti lontani dalla concezione
di modernità, almeno per chi - e sono la maggioranza - sente il forte e
fuorviante impulso che porta all’identificazione a tutti i costi col gruppo.
E poi esiste chi vive in ambito domestico una situazione che
favorisce l’apertura mentale e la conseguente capacità di scelta, perché ciò
che normalmente spaventa è ciò che non si conosce, e a volte un piccolo spiraglio
diventa il preludio ad una apertura totale.
Gabriele Maria Ferrante rientra nella categoria di quei
giovani che inseguono un sogno, in questo caso nato in tenera età, legato al
profumo musicale sparso con sapienza e naturalezza da genitori, entrambi
musicisti.
Ciò che voleva e che vuole è suonare il violoncello, colpito
da un evento particolare che ha aperto un sentiero che mano a mano si è allargata.
Ho chiacchierato con lui, nella speranza che il suo pensiero possa
rappresentare un esempio positivo per tanti ragazzi. A conclusione propongo un
video che riporta stralci di sue recenti performance.
L’intervista…
Ho letto la tua completa biografia, ma vorrei che
sintetizzassi la tua “storia musicale” per i lettori.
Sono stato a contatto con la musica sin dalla prima infanzia;
i miei genitori sono entrambi musicisti e mi hanno cresciuto in un ambiente
ricco di musica. Ho iniziato a studiare a circa 6 anni e sono entrato l’anno
dopo in conservatorio. In questo periodo (che ha avuto tanti alti e bassi) ho
vissuto alcune esperienze che col tempo hanno contribuito a plasmare la mia
persona: ho partecipato a concorsi e fatto parte di diverse orchestre, così
come ho seguito masterclass, suonato in tournée e così via, fino a completare
gli studi di violoncello al conservatorio un paio d’anni fa. Da quel momento ho
cominciato a puntare al perfezionamento e ad esibirmi in pubblico più spesso e
in contesti che avrebbero rappresentato per me via via una sfida maggiore.
Facile ipotizzare da dove nasca la tua passione, ma vale la
pena raccontare gli inizi, l’atmosfera che hai vissuto tra le mura domestiche!
Quello che ricordo è che la musica è sempre stata di casa e
infatti questa passione, che è cresciuta nel tempo, è sempre stata coltivata.
Ero incuriosito nel sentire i suoni degli archi dai CD o dal vedere un
musicista suonare il proprio strumento durante i concerti che trasmettevano in
TV, e ho anche adorato animazioni come i due Fantasia della Disney. Ero
inoltre circondato da strumenti musicali sempre a mia disposizione. In realtà
ci sarebbe un aneddoto: a due anni e mezzo, il giorno del mio onomastico, mio
padre mi portò in un negozio di strumenti musicali per regalarmi un giocattolo
sonoro e io vidi un violoncello, che volevo per forza! Costava troppo e fui
accontentato con un violino due quarti: mi dissero che era un violoncello per
bambini! L’inganno durò poco e io tornai all’attacco, ma il mio primo
violoncello mi fu regalato per Natale poco prima che compissi 6 anni… È stato facile innamorarsi della musica!
Tra i tanti strumenti di cui avrai sentito il profumo sin da
bambino, che cosa ti ha spinto verso lo studio del violoncello?
Non saprei rispondere con certezza, si parla di tanto tempo
fa, ma ricordo perfettamente che mi colpì il video di un concerto che vidi con
mio padre, nel quale Rostropovich suonava con l’orchestra. Ne rimasi incantato,
ne adoravo la prorompenza ed in opposto il timbro vellutato, lo ricordo come
primo vero evento che diede origine alla passione per questo strumento.
Che cosa hai realizzato ad oggi a livello concertistico?
Oltre che in varie città italiane ho suonato in Cina, in Russia
e a Malta, sia da solista che in formazioni da camera e in orchestra. Ma
sicuramente è stato particolarmente emozionante suonare al Musikverein di
Vienna, un luogo nel quale si condivide una atmosfera di grande rilievo
artistico.
C’è spazio nella tua visione musicale per sonorità
contemporanee?
In realtà sono abbastanza selettivo in merito a questo
repertorio, ma certa musica di autori contemporanei mi piace davvero tanto:
spero anche di poter eseguire alcuni miei brani non appena capiterà l’occasione.
Se comunque dovessi indicare il mio “periodo musicale” preferito, direi tra il
tardo Ottocento ed il primo Novecento.
Ti sei fatto un’idea della valenza della commistione tra
musica classica, rock e affini, caratteristica della musica progressiva?
La trovo molto particolare, suggestiva, complessa ma non
astrusa. In generale mi piace ascoltare tutto ciò che ha un gusto ricercato
nelle sonorità, spaziando e mescolando qualsiasi genere. Il progressive
è un ottimo terreno per questo genere di sperimentazioni, che non tradiscono
comunque il mio gusto musicale, per cui mi piace!
Ho visto due video in cui ti esibisci da solo: è questa
l’espressione che prediligi o trovi anche soddisfazione all’interno di un
ensemble più complesso?
Più che da solo, prediligo suonare da solista. Mi piace
essere consapevole di ogni mia nota e dare spazio alla mia personale
interpretazione dei brani, essere padrone della musica che creo, cosa che
diventa differente all’interno di formazioni più ampie. Oppure adoro far parte
di formazioni da camera, nelle quali è possibile un dialogo stretto con gli
strumenti, creare empatia, ascoltare la loro voce e rispondere “a tono”. Suonare
in orchestra, invece, ha tutto un altro sapore: è un tipo di esperienza diversa
che mi piace soprattutto per la sua valenza formativa.
Che cosa consiglieresti ad un giovanissimo che decidesse di
seguire la complicata via che porta alla definizione/formazione del musicista
“classico”?
Lo studio di uno strumento dà i propri frutti nel tempo, e si
parla di anni. Certi risultati sembrano non arrivare mai, ma poi arrivano quando
meno te lo aspetti; e i progressi non sempre sono subito tangibili. È un percorso nel quale la fiducia e la determinazione giocano
un ruolo chiave, e bisogna sempre essere pronti a risollevarsi dai
“fallimenti”, una lezione andata male, un errore in concerto, per fare degli
esempi comuni. E poi ci vuole umiltà ma anche la giusta sicurezza, e una solida
guida.
Che cosa insegna il rigore di una disciplina antica e nobile
ad un ragazzo che, come è giusto che sia, è attratto anche dalla leggerezza che
spesso accompagna i nostri tempi?
Come detto prima, i risultati appaiono dopo tempo. All’inizio
può capitare di voler mollare, anche a me è capitato in passato, poiché
nell’era della velocità avere qualcosa il prima possibile sembra essere più
gradito che avere ciò che si desidera, ma dovendo dedicarci molto tempo in più.
Il rigore quindi lo insegna per prima la passione, seguita poi dai risultati che
lo supportano e lo alimentano. Ma attenzione, segregarsi in casa è anche un
errore: come dice Rubinstein, è superfluo lavorare per essere artisti se poi
non si conosce l’arte nella sua essenza. Bisogna vivere pienamente la propria vita, le esperienze
tipiche della propria età, frequentare gli amici, viaggiare… per esprimere in
musica il proprio vissuto.
Sogni e progetti per il futuro?
Il mio sogno è quello di perfezionarmi al fine di possedere una
tecnica tale da poter suonare ciò che voglio ed esattamente come lo penso.
Punto soprattutto al cercare e “marcare” il mio stile per esprimerlo in
concerto, sperimentando col mio strumento, spaziando attraverso diversi generi
e divertendomi nel farlo. Mi piacerebbe quindi studiare e suonare con i grandi interpreti
che ogni giorno ascolto estasiato, conoscerli ed ascoltare le loro storie.