lunedì 11 dicembre 2017

Locanda delle Fate: ultimo atto del "Farewell Tour"-Asti, Teatro Alfieri, 9 dicembre 2017


Essere presenti il 9 dicembre al Teatro Alfieri di Asti ha determinato per molti la possibilità di aggrapparsi per sempre ad un pezzo di storia della musica, cosa non trascurabile per chi si sente parte di un movimento specifico, un po’ di nicchia, certamente, e proprio per questo di grande valenza.
Tutto era iniziato proprio nel salotto nobile della città, quarant’anni fa, quando la Locanda delle Fate si esibì per la prima volta davanti agli occhi di un diciassettenne, un “bimbo” che diventa uno dei simboli della serata. Sì, perché Max Brignolo era presente tra il pubblico, in adorazione in quel lontano ’77, mentre il 9 dicembre 2017 lo abbiamo trovato sul palco, chitarrista delle Locanda: un’immagine che racconta il passaggio di una vita, di più vite, di esperienze positive ed evidente dolore, perché la vita non fa sconti a nessuno.
Non credo che tutto il pubblico presente fosse costituito dai “duri a morire” del prog, più facile che il legame fosse costituito da analogie territoriali, da memorie condivise, da amore incondizionato per quei ragazzacci che hanno finito la loro esperienza live con quello che è stato nominato “Farewell Tour”, una serie di concerti di commiato culminati con due tappe brasiliane e con l’evento principe… tanto da chiudere il cerchio terminando nel modo più degno un ciclo indelebile, non solo per i protagonisti attivi.
Paradossalmente la musica non è stata l’elemento principale - è ovviamente un’opinione personale - ma i contributi che solitamente rappresentano un corollario - mi riferisco ai racconti, agli aneddoti, al rovistare nelle memorie - hanno preso il sopravvento e di fatto abbiamo assistito ad una cosa unica, con la presenza on stage di tutti i vecchi  “locandieri” (tranne Michele Conta), con un microfono che è passato di mano in mano tra i componenti attuali la band, e tutti hanno dato un contributo differente, tendente al “simpatico… forzato”, ma palesemente colorato di tristezza e rammarico: quando si chiude un capitolo del genere non è la musica che termina il suo corso, al contrario, attraverso di essa si rafforza il legame che esiste tra pubblico e artisti, ma… resta l’amaro in bocca, e viene facile immedesimarsi. E’ successo anche a me, comodamente seduto in prima fila, immerso tra i pensieri mentre lo show proseguiva, intento a capire cosa ci abbia lasciato realmente una vita scappata via in un attimo.
E alla fine il concerto diventa l’occasione per riflettere, sorridere amaramente, sentire dentro che i 5 gradi sottozero di Asti sono un minimo disagio se confrontato alla chiusura di una vicenda così importante.
E’ stata anche l’occasione per conoscere in modo sommario chi ha fatto parte della Locanda nel corso della sua storia (tutti visibili nel filmato a seguire), con un momento particolarmente toccante, quello in cui Alberto Gaviglio introduce Ezio Vevey, costretto dalla sua malattia ad una presenza “passiva”, ma davvero significativa.


Su palco per la foto di rito altre persone “importanti”, fan capaci di macinare oltre 9000 chilometri per assistere ad un evento magico, provenienti dall’estremo Oriente, così come dall’estremo Occidente.
Per una volta accantono la musica (ma nel video di fine articolo propongo un paio di brani…), certo di aver goduto di uno dei migliori concerti possibili in quel di Genova, un paio di mesi fa. In questa ultima occasione sono stato al contrario catturato da altro, da atmosfere rarefatte ed emozionanti, da attimi lontani dalla razionalità e carichi di sottile piacere. Quello che ho vissuto mi ha toccato profondamente, e credo di essere entrato perfettamente dentro alla serata, toccando con mano lo stato d’animo dei protagonisti, “rubando” qualcosa dal loro intimo e facendolo mio… anche io ho lasciato un pezzo di me al Teatro Alfieri, qualcosa che non tornerà più.
Concludo con parole non mie… nemmeno quelle solenni di Luciano Boero o Leonardo Sasso… nemmeno quelle del tastierista antico (Oscar Mazzoglio) o più recente (Maurizio Muha)… nemmeno quelle partecipate di Alberto Gaviglio… preferisco proporre il pensiero di Giorgio Gardino, uno che alle parole preferisce il percuotere le pelli, ma che evidentemente possiede il raro dono della sintesi: nella sua chiosa risiede il sentimento più diffuso di serata…

Ciao Locanda, grazie di tutto!