E’ da poco uscito l’album omonimo
degli Adam Carpet, un esordio per
musicisti … esperti. Le esperienze pregresse vengono a galla nel corso dello
scambio di battute a seguire, e giustificano ampiamente il mio sottolineare l’importante appartenenza dei
cinque componenti la band al mondo musicale.
Dieci tracce strumentali per una
formazione atipica, che non conosce comparazione alcuna: due bassi, due
batterie e l’utilizzo di synth e chitarra, rappresentano una novità.
Questo tipo di costituzione musicale
permette una buona dose di libertà espressiva, e la risultante è una sorta di
free rock che profuma di new age, e che attinge a piene mani al versante
elettronico. E tutto ciò significa originalità di idee.
Il video a fine post rappresenta un esempio significativo.
Ma ciò che non si riesce ad
apprezzare nel corso dell’ascolto, e si può solo "leggere tra le righe", è l’aspetto visual, lo spettacolo, le luci e
le immagini, proiettate in porzioni di spazio non casuali.
Una somma di arti che superano
l’elemento musica, che oltrepassano il know how personale, che nascondono il
virtuosismo, a favore di un contenitore pieno di elementi stimolanti, pronti a
coinvolgere l’audience, sperando in una reazione.
Da una tale sezione ritmica - a tutti
gli effetti raddoppiata - nasce una decisa base percussiva, che molto si avvicina
alle nuove tendenze, e che dovrebbe incontrare
- anche - il gusto delle fasce di
ascoltatori più giovani, e in qualche modo mi pare che si possa parlare di
piccola funzione didattica.
Adam Carpet ha anche un occhio di riguardo per l’ambiente… ecco quanto riportato sul comunicato
stampa ufficiale:
Il disco
sarà disponibile su tutte le piattaforme digitali e distribuito nei negozi in
versione Bundle: seedcard (con
codice per il download digitale) e t-shirt della band, contenute in
un "box" in carta riciclata, per un progetto che si basa sull'originalità
e l'avanguardia, sia dal punto di vista tecnologico che "green"
(la seedcard, una volta annaffiata, diventa un fiore).
Un bell’album, che lascia ben sperare per il futuro, nella speranza di
poter assistere a performance live della band.
L’INTERVISTA
E’ Appena uscito il
vostro album d’esordio, l’omonimo Adam
Carpet, ma non siete certo alle prime armi: potete sintetizzare le vostre
storie musicali pregresse?
Ognuno di
noi vanta collaborazioni di vario tipo e in diversi ambiti musicali, da quelli
più mainstream a quelli maggiormente di nicchia. Da Le Vibrazioni, ai Timoria
, ai Miura, ai Kalweit and the Spokes passando per progetti più sconosciuti e più
estremi, Adam Carpet è per noi un
interessante punto d'incontro. E' sopratutto grazie a queste esperienze così
diverse tra di loro e al nostro background variegato che il nostro sound non è
facilmente catalogabile.
Vi presentate con una
formazione inusuale, con la doppia batteria ed il doppio basso: reale necessità
espressiva o cos’altro?
All'inizio
la formazione era composta da due bassi e due batterie ma poi col passare del
tempo ci siamo resi conto che anche la componente electro avrebbe dato una
maggiore incisività al progetto. Da questo punto di vista devo dirti però che
non siamo per nulla vincolati. Già in questo lavoro spesso ci scambiamo e
l'assetto non è quasi mai uguale da un brano all'altro.
Le etichette musicali
sono spesso impietose, ma certamente utili. Come definireste la vostra musica?
La cosa
più semplice è che ti dica quali sono i generi che maggiormente hanno
influenzato questo primo lavoro. Penso di non sbagliare dicendoti: postrock,
electro, stoner e new wave.
Il versante live
propone forse la vostra vera essenza… cosa portate on stage?
Dal vivo
performiamo l'intero disco rivisto in chiave live. Certe parti vengono dilatate
ed altre omesse. Quasi tutti i brani del concerto sono legati tra loro. Un
aspetto molto importante è poi la cura delle luci e delle proiezioni che in un
concerto come il nostro sono importanti quasi quanto la musica.
Quanta tecnologia c’è
nella vostra musica?
Direi un
buon 30%, e mi riferisco soprattutto all'uso di synth, campionatori e sequenze,
oltre a tutto l'aspetto delle immagini. Quando è possibile infatti usiamo la
tecnologia del mapping che consente di mappare delle superfici e porzioni di
palco e poi su di esse proiettare immagini e luci.
E… quanto vi “prende”
l’impegno sociale?
Essere
artista e musicista al giorno d'oggi è una grande responsabilità. Anche se la
nostra musica è strumentale cerchiamo di muoverci nel rispetto delle persone e
dell'ambiente che ci circonda. Certo ci vuole più attenzione rispetto ad un
gruppo con dei testi cantati, ma chi guarda i nostri video un'idea circa quello
che ti sto dicendo se la può fare, se accende il cervello.
Se doveste indicare
qualche influenza certa, qualche artista da cui avete attinto e su cui siete
tutti d’accordo, chi indichereste?
Qui
ognuno potrebbe dirti le proprie influenze. In primis quello che ci unisce è l'artista
americano Adam Carpet, che io ho
avuto modo di frequentare per lungo tempo. Musicalmente poi potrei dirti (per
quanto mi riguarda) Lizard, Kyuss Tortoise,
Jesus, Cult Of luna...
Che progetti avete in
mente per il futuro prossimo?
Quest'estate
cercheremo di portare in giro il nostro spettacolo in qualche festival, anche
se la dimensione che preferiamo è sicuramente quella dei club. Poi si vedrà.
Line up
Diego Galeri
(batteria-Timoria, Miura), Alessandro Deidda (batteria-Le Vibrazioni, i Cosi),
Edoardo “Double t” Barbosa(basso), Giovanni Calella (chitarra/synth-Kalweit and
The Spokes), Silvia Ottanà(basso)
Thunder
Rising è un
nuovo progetto discografico, ideato nel 2012, nato dal connubio artistico tra
il chitarrista Frank Caruso e il
batterista Corrado Ciceri.
Era il giugno 2011
quando utilizzavo questo spazio per raccontare frammenti di musica di Frank, in
quell’occasione citando gli Strings 24.
Virtuoso della
chitarra, rocker metallico, Caruso ci racconta a seguire i dettagli relativi
all’idea originale, alla realizzazione e alla nascita di questo album che
prevede una presenza importante in qualità di ospite, quella del vocalist Mark Boals, dalla dimensione
internazionale, accostato soprattutto al nome di Yngwie Malmsteen.
La band si completa
con Gary Baroni al basso e al
chitarrista Andy Ringoli.
Richiedere ed ottenere
partecipazioni musicali in occasione di un nuovo album è fatto di per sé
usuale, e spesso l’atto di cortesia impreziosisce il lavoro con un tocco
“esterno”, che però non sempre è fatto di sostanza.
Altra cosa quando l’artista coinvolto è un proprio mito, una
sorta di obiettivo apparentemente irraggiungibile.
E se poi non si tratta
solo di un cadeau, ma di un vero e proprio lavoro in piena comunione di intenti, allora il
valore aggiunto diventa concreto.
E’ quanto accade in
questo caso dove la passione comune - di Caruso e Boals - per le Harley Davidson diventa l’occasione
per presentare un’idea musicale, che immediatamente viene accolta, con la
proposta di interazione e di costruzione di testi e linee melodiche.
Ma anche dal punto di
vista umano e professionale Boals si dimostra artista speciale, mettendosi con
umiltà al servizio del team, senza far pesare la sua “statura”.
E nasce Thunder
Rising, otto tracce di rock duro, musica intramontabile, dove la
tecnica ed il virtuosismo sono a completo servizio della trama melodica.
Partendo dal disegno
metal, lo sforzo che si compie è quello di trovare una dimensione più moderna
ad un genere che generalmente si muove
in libertà, ma su schemi abbastanza rigidi.
In tutto questo risulta
fondamentale l’incontro tra due culture, una americana e una europea, e la
sintesi che ne deriva sgorga con una certa spontaneità.
Certo è che la voce di
Mark Boals non può lasciare
indifferenti, e l’apprezzamento è personalmente rivolto sia alla sezione più
hard che a quella acustica, costituita da atmosfere moderate, quelle perle che
da sempre brillano in un album di musica rock.
Videoradio appoggia ancora una volta un progetto che appare da subito
vincente.
L’INTERVISTA
Come nasce il progetto Thunder
Rising?
E’ un piacere essere di nuovo qui a parlarne… è
molto semplice, Thunder Rising, sembrerà strano a dirsi, ma nasce quasi per
caso! Ci tengo a raccontarlo e a spiegare come in realtà una cosa nata per
caso, sia poi stata “studiata” a tavolino, e come proprio la naturalezza e
semplicità della nascita, siano la chiave di lettura di tutto…
Dopo la pubblicazione dell’ultimo album degli
Arachnes (A new day – 2012) e del secondo cd con la splendida esperienza
STRINGS 24 (Speak – 2011) con cui ci siamo tra l’altro esibiti in diversi live,
stavo ragionando su un nuovo lavoro solista.
Ho iniziato a scrivere dei brani, intervallando
produzioni televisive (pubblicità e colonne sonore, le chitarre per l’ultima
serie dei RIS, diverse session per le pubblicità Mediaset Premium eccetera) con
session di composizioni vere e proprie, dedicate ai miei progetti.
Sentivo l’esigenza però di qualcosa di diverso:
in fondo ho pensato che avevo già un ambito molto “tecnico” e funambolico dove
esprimermi, gli STRINGS 24 appunto, così come l’esperienza nell’ambito del
Power-prog con ARACHNES era oramai consolidata. Ho quindi sentito affiorare una
vecchia passione giovanile, il rock diciamo “american sound”, e quasi per gioco
ho iniziato a scrivere in quella direzione, tenendo ovviamente presente le
nuove tendenze come Nickelback e Alter Bridge. Questo ultimo aspetto poi sposava
perfettamente la mia predilezione per la ricerca del suono, potente e pulito, dinamico
e aggressivo, e la sfida iniziava a divertirmi. Certo l’incontro con Mark Boals
è stato a dir poco rivoluzionario! Mark era il mio idolo dai tempi di “Trilogy”
(1986), era il cantante del mio chitarrista di riferimento, Y.J. Malmsteen,
qualcosa che per me stava più o meno su Marte! Sentirmi dire “Hey Frank, hai scritto delle bellissime
song, mi piacerebbe provare a cantarne qualcuna”, era una di quelle cose
che nella vita non mi sarei mai aspettato!
Non era
la prima volta che mi cimentavo in collaborazioni internazionali, già con
Strings 24 abbiamo avuto modo di avere ospiti d’eccezione come Andy Timmons e
Kiko Loureiro, e la “benedizione” del grande Steve Lukather che presentava il nostro
cd sul video ufficiale, ma qui Mark andava oltre, mi proponeva di lavorare
insieme, e così è stato! Da lì in poi tutto è stato un crescendo, e la band si
è formata quasi da se, complice l’aver ritrovato una vecchia amicizia con il
bravissimo Corrado “Nail” Ciceri, forte di 15 anni di esperienza Live. Alla
seconda chitarra Andy Ringoli, che già avevo affiancato e sostenuto nella
produzione dei suoi Homerun e della esperienza discografica in Giappone, e al
basso quella che oramai è la mia spalla immancabile, Gabry Baroni, non solo al
basso in Arachnes e Strings 24, ma anche immancabile sound engineer in studio!
Che cosa è accaduto, musicalmente parlando, da quando due
anni fa parlai di “Speak” sino ad oggi?
Personalmente molte cose; credo che per un
artista non ci sia mai un punto fermo, ogni giorno è una nuova esperienza, una
ricerca. Da allora ho fatto esperienza in orchestra (nella trasmissione “Io
canto”) e ho scritto molte musiche orchestrali; questo mi ha da un lato fatto
tornare alle origini e ai miei studi classici di direzione, dall’altro mi ha
aperto la mente. Ho iniziato a divertirmi nel comporre qualcosa di orchestrale
ma di azione, per la cinematografia, e se ascolti anche nello stesso Thunder
Rising compaiono qua e là degli strumenti orchestrali, diversamente dal Prog Metal
mai epici, ma semplicemente di azione!
Ho approfondito la mia ricerca del sound, e
consolidato il concetto di “buona musica”, interpretandolo come svincolato da
etichette di genere: non è bello ciò che appartiene ad un determinato stile, ma
ciò che è ben fatto.
Parlando
di musica in ambito più generale invece credo che questa si stia evolvendo
verso nuove frontiere, sia in termini di tecnologia di registrazione che di
fruizione e va da sé anche con ripercussioni dal punto di vista della
composizione. Non è pensabile oramai che qualcuno si sieda davanti ad uno
stereo per ascoltare “un disco”, lo farà guidando in auto, facendo altre cose,
e soprattutto “skippando” qua e là, cosa abbastanza scomoda con un vecchio
vinile ad esempio. Questo si traduce anche nella esigenza di ritmi narrativi
diversi, più immediati e necessariamente diretti, che non equivale a dire più
“semplici” o “banali”, tutt’altro! Ho imparato proprio dalla pubblicità che è
molto più difficile dare una idea in piccoli episodi musicali, che non avere a
disposizione tutto il tempo necessario.
Che cosa porta, dal punto di vista professionale e
umano, la collaborazione con Mark Boals?
Ti ringrazio per la
duplice domanda! Mark ha dato una impronta musicale fondamentale avendo scritto
quasi tutte le linee melodiche e tutti i testi! E’ stata una sua scelta, e ho
accettato non solo con piacere, ma con orgoglio! Ho avuto la conferma di quello
che era ovvio, un grande professionista che ha saputo interpretare al meglio il
mio spirito compositivo. Non solo, pensa che per ogni brano mi ha proposto
almeno 2 o 3 soluzioni diverse, dicendomi che avremmo dovuto pensarci su e
scegliere insieme quella che secondo noi poteva essere la strada giusta.
Qualcuno potrebbe pensare che Mark Boals, cantante di Malmsteen e Ring of Fire,
che ha collaborato con i più grandi chitarristi mondiali, e che mentre
registrava per noi era in tour con i Dokken, dall’alto della sua storia musicale
dicesse che quella doveva essere la scelta giusta, e invece si è costantemente
messo in discussione per trovare la soluzione musicalmente più adatta! Questa è
stata una grande lezione per tutti noi, e lo sarebbe per molto altri miei
collaboratori italiani, spesso meno collaborativi, oltre che meno noti… gli
auguro di trovarsi in questa condizione.
Non solo, Mark è sempre
stato molto presente, anche quando era a Los Angeles oppure in tour con Dokken
ci siamo costantemente aggiornati, via facebook piuttosto che in
videoconferenza, per tenere vivo e stretto lo spirito del progetto che stavamo
facendo, di cui lo stesso Boals si è sentito da subito parte integrante.
L’approccio poi degli americani, e di Mark in particolare, è sempre molto
“easy”; poche parole, pochi gesti, molto fatti!
Otto tracce di rock, anche molto duro, di quello che colpisce
a qualunque età, e la chitarra è sempre protagonista: che spazio riesce a
trovare questo genere musicale così immediato nella programmazione live?
Dici bene, otto tracce, un numero particolare,
che sta a metà tra un mini-cd e un album un po’ breve. E’ semplice: il progetto
nasce sostanzialmente come un mini cd, e le ultime riflessioni mi hanno portato
a pensare più al mercato del digitale che non al cd, a cui però sono troppo
affezionato e che grazie al contributo di un vero talent scout e produttore
italiano, come Beppe Aleo, e al supporto di Videoradio, si farà!
Come ti dicevo il modo di fruire della musica è
cambiato e oggi puoi acquistare anche una singola canzone, venendo un po’ meno
il concetto di “album” vero e proprio, da qui la scelta di un numero ridotto di
song che ci avrebbe consentito di lavorare al meglio sulla produzione. La
chitarra anche in questo caso è protagonista, anche se con modalità diverse;
sicuramente meno assoli anche se abbiamo “compensato” per il mio divertimento
con un paio di songs strumentali, Il grosso del lavoro ovviamente è di riffing,
ma anche di arrangiamento. Abbiamo infatti un sacco di parti di chitarra anche
acustiche e clean (grazie al bravo Andy), che si intrecciano perfettamente con
il lavoro melodico di Mark, per poi esplodere in chitarre cattivissime e soli
più pentatonici che neoclassici. Credo che questo genere avrà il giusto spazio
nei live, purtroppo non so se sarà così anche in Italia, ma siamo di fronte ad
un genere sicuramente non squisitamente “metal”, e di certo con un pubblico più
vasto e meno di settore. Alcune songs rasentano il pop e sarà divertente fare
anche questa esperienza!
Che differenze sostanziali ci sono tra l’audience italiana e
quella che trovate oltre confine?
Enormi: in Italia un fan dei Metallica non
andrebbe mai ad un concerto di Lady Gaga, mentre all’estero la cosa non farebbe
scalpore. Tutto è meno settoriale, e i fan meno “schierati”, l’audience in
buona sostanza è più eterogenea. Inoltre in Italia i maggiori fruitori di
musica sono i giovanissimi, e ciò ne condiziona i gusti (vedi il successo delle
“boy band”) e va da sé anche generi musicali, mentre all’estero molti ultra
trentenni e quarantenni sono cultori di musica. Da noi questo accade solo per
generi diciamo ritenuti “nobili”, come il jazz e la classica, o fenomeni
musicali come i Dream Theater (tralasciando ovviamente i miti del rock). All’estero
è normale trovare dei quarantenni al concerto degli Slipknot… in Italia non è
proprio così.
Di cosa parlano le liriche del nuovo album?
Mark è un cantante che ha girato il mondo, ha
vissuto in pieno gli anni ’80 tra Heavy Metal, Street Metal e Glam, ora molto
più Rock‘n’Roll di prima, e i testi non potevano che raccontare di semplici
storie di vita e momenti personali, vissuti ora con gioia ora con tristezza, ma
sempre vissuti… This is rock’n’roll! Unico testo invece scritto da Corrado
Ciceri, è la ballade Angel Cries, che
Mark si è prestato a cantare così com’era essendogli piaciuto! A breve
metteremo sul sito ufficiale http://www.thunder-rising.com/ tutti i testi,
mi hai dato una buona idea!
Non è mai troppo presto per parlare di progetti futuri… che
cosa avete pianificato per l’estate che è in arrivo?
Vedremo se ci sarà il tempo utile per
organizzare un mini tour live, di certo saremo impegnati nella promozione,
anche con alcune session radiofoniche dal vivo già in programma. Inoltre la
registrazione del video ufficiale che dovrebbe avvenire entro giugno,
aggiorneremo tutti gli eventi sul nostro web e sui nostri canali facebook, è un
canale che ci consente di stare vicino ai nostri fan e di avere un feedback
diretto con loro!
Track list:
1. Something To Believe
2. Without You
3. Love Hard, Live Fast
4. An Angel Cries
5. Tonight
6. Hip Hop Blues Inspiration
7. Without You -Acoustic Version
8. Flying Over The Road
Sabato 26 aprile i Betters erano di scena a Savona, in un locale che
ospita eventi live con buona regolarità, “Daubaci”.
Serata problematica da diversi punti
di vista, ad iniziare dal meteo che ha trasformato ormai la nostra regione in
una sorta di Seattle, con pioggia telecomandata nei fine settimana. E pioggia
significa ovviamente potenziale calo di presenze. La città di Seattle, appena
evocata, riporta inevitabilmente ad un mondo di concretezza sonora, da Hendrix
al grunge, e l’analogia mi permette di arrivare alla programmazione musicale che, nell’occasione,
prevedeva la doppia band, con i genovesi Bricklane nel ruolo che un tempo era definito ”spalla”.
L'appellativo di “introduttori” non
diminuisce il valore dei quattro giovani, che presentano una sorta di britpop -
per loro stessa ammissione - fatto soprattutto di produzione autonoma, proposta
in lingua inglese.
Formazione tipica, doppia
chitarra-basso-batteria, rappresentano il primo anello di una serata a tema, e
palesano da subito un sorprendente amalgama, frutto, forse, di un lungo lavoro
di squadra, oltre che di un certo gusto e ricerca di originalità.
Il pubblico apprezza e con il passare
dei minuti aumenta la partecipazione.
E viene il momento dei Betters, che partono con un discreto
handicap, l’assenza non prevista del quinto elemento, la chitarra ritmica.
Nel corso della serata “il musicista
mancante” sarà evocato più volte, tra l’ironico ed il deluso.
Occorre pensare che la suddivisione
dei ruoli in una band non è fatto improvvisato, e l’esibizione live non perdona
“i buchi”, a meno che non esista la compensazione delle basi.
Ma far fronte a questi inconvenienti
è sintomo di maturità, e i Betters,
frustrazione personale a parte, se la sono cavata egregiamente, anche se con
una punta di giustificato rammarico.
Una serata a tema dicevo, con un “repertorio
Betters” idealmente sulla stessa
lunghezza d’onda dei Bricklane, con
la marcata differenza legata all’utilizzo della lingua italiana, e ad una vena pop e
romantica più evidente.
Temi quotidiani trattati con una
variazione che va dal rock puro alla ballad più orecchiabile, arricchiti da una
vena cantautorale spiccata, sull’asse "Matt" Scotolati (vocalist)-"Richi" Marinucci
(chitarra solista). Ed è proprio il primo che caratterizza la riproposizione
acustica dei due brani forse più conosciuti, In Macchina e Marta.
Completano il quartetto "Frume" Frumento al basso e "Simi Live" Brunzu alla batteria. E degli assenti non si parla!
Anche in questo caso il pubblico gradisce e in
alcuni casi arriva ad accompagnare vocalmente
i passaggi noti, e avere una sorta di fan club itinerante non è da tutti.
Una buona serata di musica, e anche per i Betters
non mancheranno le occasioni per essere… pienamente soddisfatti.
La qualità c’è e le idee anche… e non mi pare
fatto di poco conto!
Da pochi giorni è online il numero
speciale di MAT2020 dedicato ad un evento speciale, il VOX40 progettato da Bernardo Lanzetti, che si trasforma in occasione per “celebrare
la voce”.
VOX 40 andrà in scena il 28 maggio a Parma, alTeatro
al Parco”.
Ecco i
dettagli:
“Uno
dei momenti più singolari sarà “Acqua Fragile per Orchestra” ovvero la
rivisitazione delle musiche dell’Acqua Fragile da parte di una piccola
orchestra classico/moderna, solitamente specializzata in tanghi argentini, ma
che io ho scoperto molto Prog nel sound. Un po’ come Astor Piazzolla sta ai
Gentle Giant. Altro elemento sarà naturalmente la mia voce nelle musiche PFM,
ma anche episodi d’avanguardia, Glovox compreso, e le ultime avventure targate
CCLR”.
Bernardo Lanzetti, nel 1973 leader di
“Acqua Fragile, successivamente voce solista e front-man della PFM fino al
1978, autore/compositore e singolare
sperimentatore e performer della voce, si appresta a celebrare quarant’anni di
appartenenza alla scena musicale in Italia e all’estero.
I due album del gruppo Acqua Fragile
sono stati recentemente ripubblicati dalla prestigiosa etichetta britannica
Esoteric ed un brano tratto da quei lavori è stato rielaborato, con successo,
dal rapper americano Busta Rhymes, realizzando la singolarità di una musica “afroamericana”,
estrema, che si esprime attraverso la voce, la melodia nonché le parole di
Bernardo Lanzetti.
Partendo quindi dagli inizi, passando
attraverso l’esperienza musicale con la PFM (Premiata Forneria Marconi), e
arrivando agli ultimi lavori di avanguardia con il gruppo internazionale CCLR (Steve Hackett,
mitico chitarrista dei Genesis è stato ospite nel loro album), Bernardo
Lanzetti si appresta ad organizzare un concerto/evento denominato appunto “VOX
40”.
L’evento
andrà in scena il 28 Maggio a Parma, nella sala grande del “Teatro al Parco”, e prevede
l’intervento di una piccola orchestra classico/moderna ed un nutrito gruppo di
musicisti “elettrici”.
In
precedenza, lunedì 27, sono state pianificate prove aperte per gli studenti
delle medie superiori e delle scuole di musica.
Per l’importanza e la singolarità
dell’artista nell’ambito degli ambienti Rock, Prog, Pop, Classica moderna e
Avanguardia, si prevede un grande interesse nel circuito artistico/mediatico.
Poiché
il Lanzetti è anche pittore, nel foyer del teatro verrà allestita una mostra
delle sue opere, dipinti, disegni e addirittura tessuti, ispirati a certe sue
composizioni musicali.
Saranno
esposti anche gli abiti che la stilista Amnerys Bonvicini, in tempi recenti,
aveva realizzato con quei materiali.
Edmondo Romano presenta un nuovo
progetto dell'Orchestra Bailam, formazione nella quale
suona da molto tempo, coinvolgente e dinamica; da venti anni lavora con
ottimo successo, ed ora insieme alla Compagnia
di Canto Trallalero unisce la musica mediterranea a quella tradizionale
genovese.
Ti ho lasciato da poco con un album e un progetto, “Sonno Eliso”, e ti ritrovo subito con una novità. Raccontami
qualcosa de l’Orchestra Bailame e
Compagnia di Canto Trallalero.
L’orchestra
Bailam nasce 23 anni fa dalla mente creativa e compositiva di Franco Minelli
insieme al suo compagno di viaggio Luciano Ventriglia. E’ tra le formazioni più
longeve della word music italiana. Il primo vinile “Mamma li turchi” è del
1991, sono passati la bellezza di 22 anni… la formazione, allora avanti nei
tempi, fu premiata più all’estero che in Italia. Dalla metà degli anni ‘90
iniziò la contaminazione e lo studio della musica Klezmer, i ritmi balcanici di
origine ottomana, il fascino fumoso e denso del Rebetiko, il tarab di Oumm
Kolthoum e la vena compositiva di Mohamed Abdel Wahab. Nel ‘99 con il mio
ingresso nella formazione si procedette ad un rinnovamento importante sia a
livello sonoro che di organico (oltre a prendere in mano la produzione del
gruppo) che portò alla registrazione nel 2001 di “Bailamme” per la rinomata
rivista “World Music”. Fino al 2006, anno di uscita di “Non occidentalizzarti”
per l’etichetta Felmay, l’Orchestra è stata impegnata in diverse piece teatrali
per “Chanceeventi” (Butterfly bazaar, Moka cabaret, Il mare negli occhi, Il
pesce ritrovato) e numerosi concerti in Italia ed in Europa (Francia, Russia,
Crimea, Turchia). Nel 2007 esce “Lengua serpentina” per la CNI, album suonato e
concepito dall’Orchestra Bailam, come omaggio all’interprete Roberta Alloisio.
Il lavoro è il primo approccio di commistione tra medioriente e lingua
genovese, palestra ben riuscita per i
progetti successivi. Il singolo Ya salam, diventerà la colonna sonora del
“Festival Suq” di Genova. Nel 2009 esce Harem Bailam sempre per la “nostra”
Felmay, album registrato dal vivo da me prodotto per il ventennale
dell’Orchestra Bailam, dove si esibiranno, per festeggiare l’evento, numerosi
amici musicisti: Marco Beasley, Eyal Lerner, Arcotrafficanti (Gnu Quartet),
Marco Fadda, Marika Pellegrini, Roberta Alloisio. Dal 2010 Franco Minelli comincia
la lavorazione e a comporre i brani del progetto “Galata”, naturale conseguenza del lavoro “Lengua serpentina”, che esce
nel 2013 sempre per la Felmay che questa volta collabora anche alla
realizzazione e produzione del nuovo lavoro. Da anni la formazione attuale
dell’Orchestra Bailam (Franco Minelli
chitarre, ‘oud, bouzouky - Luciano
Ventriglia batteria, derbouka, duf, riqq, davûl - Edmondo Romano clarinetti, sax
soprano, zurna, flauti - Roberto Piga violino - Luca “Laca” Montagliani
fisarmonica - Tommaso Rolando basso e lettrico e contrabbasso) oramai
consolidata da voce ad un guppo di lavoro molto creativo ed innovativo
nell’ambito della musica world.
Che tipo di musica proponete?
Galata, quartiere
turco di Istanbul proprio di fronte al Corno è stata veramente una Genova
mediorientale per più di due secoli, porto di riferimento per le colonie
genovesi del Mar Nero e del Mediterraneo orientale. Ancora adesso, salendo per
i caruggi e le creuze che portano alla torre genovese, sembra di sentire le
voci levantine che rievocano l’antico legame. Creuze e caruggi, dove facevano
da cornice tekès, taverne, caffè aman, fumerie... dove abbiamo immaginato l’incontro tra i
Makam (scale modali mediorientali) e le melodie del magico cerchio del Trallalero. In Galata si è dato respiro
insieme alla “Compagnia di Canto Trallalero” (Matteo Merli tenore e solista (o
primmo e a chitara) - Paolo Sobrero contralto (o contræto) - Alberto Bergamini baritone
e basso (o controbasso, basso) alla dura voce
maschile genovese del canto trallalero. L’unione e l’influenza della musica
mediorientale dell’Orchestra Bailam insieme a questa nuova veste del trallalero
riscrive e reinventa un genere musicale sino ad oggi quasi esclusivamente
vocale, donando una veste più moderna alla nostra tradizione. La nostra formula
in parte vuole anche ridare forza e vitalità, nuova dignità ad un genere che
nel tempo è stato in parte abbandonato o dimenticato.
Avete appena realizzato un album: me ne puoi parlare nei dettagli?
I brani del Cd sono stati tutti composti ed arrangiati
da Franco Minelli, eccetto “Primmaveia” che prende spunto da una melodia di
Luca Montagliani ed un paio di brani famosissimi della tradizione vocale
ligure. Ti posso riportare qui di seguito un elenco stilato da Minelli sulle
influenze musicali affrontate durante il corso del lavoro brano per brano. Zio Tommasino (Barba Tomaxin: Zeibekikos lento e
trascinato in 4+5 dei più classici) è il personaggio maschile di Galata, un
uomo che nel dolore sa mantenere una grande riservatezza, la sua identità
mediterranea non conosce confini e nelle difficoltà sa come stringere i denti (Riso
ræo: Tsifteteli). Sa come divertirsi e non disdegna frequentare gli
avventori delle tekès e delle fumerie (Erzurum: Nissiotico isolano). Se
i suoi ricordi lo portano alla malinconia (Ninnâ dindanâ) basta “un occhiolino”
della mezza luna per farlo tornare a sorridere (Galata: ritmo flamenco
Peteneras al servizio di un Seyir), anche se come dicono i turchi, l’husun (la tristezza) è sempre in agguato
per riportarti nei ricordi di gioventù(Primmaveia).
Conosce il sacro (De sotta o mæ angiòu) e il profano (A pattunn-a:
Karsilamas in 9/8) dell’amore e ne è anche vittima (Sperlengheuia: in 4+5, tra
lo Zeibekikos e lo Tsifeteteli). Conosce l’inevitabilità degli eventi e delle
loro amare ripetizioni (Bestente: Ritmo flamenco Seguiriya su Makam
Hijaz) fatte di dolore e di speranza (Pupun de pessa: Canzone
sull’emigrazione). Canta, per ricordarsi che lui viene da lì, da Genova, la
patria del cerchio del trallalero (A mæ moæ, A paisann-a / I drappi:
Tradizionali trallalero). La terra natia.
Avete previsto date live per
promuovere il disco?
Abbiamo già diverse date in
calendario per questa estate che si stanno definendo oltre ad aver già
presentato il Cd in due bellissimi teatri di Genova (il “Modena” e “la Tosse”).
Sicuramente il concerto più interessante per la presentazione del CD sarà
quella che faremo il 2 giugno proprio nel quartire di Galata ad Istanbul,
evento realizzato in collaborazione con il Comune di Istanbul, quello di Genova
e con la sponsorizzazione della “Turkish Airlane”, dove suoneremo al rinomato
“Festival Interculturale e del Dialogo”, proprio daventi agli italiani in
Turchia, festeggiando così per loro la Festa della Repubblica.
Quali sono le sostanziali
differenza che registri nei due differenti progetti?
Orchestra Bailam è un lavoro
collettivo, progetto al quale dedico molta passione come musicista,
organizzatore, produttore… da voce all’aspetto anche più ludico esistente nella
musica di contaminazione mediorientale, dove dal vivo ci si esprime anche come
singolo musicista. Per me il rapporto con un gruppo di lavoro è un’esperienza
importante, come è stato in passato creare gli Eris Pluvia, gli Avarta e donare
loro passione e creatività. Il percorso solista da me
iniziato con “Sonno eliso” che vedrà presto un secondo capitolo in “Missive
archetipe” al quale sto già lavorando vive di vita totalmente differente,
introspettiva ed orchestrale, dove la scrittura domina totalmente il lavoro,
dove il mio messaggio si muove senza guide e binari di generi ed influenze… le
due esperienze fanno parte di uno stesso equilibrio.
La storia…
Galata è un progetto musicale che
abbraccia il Medioriente e la tradizione del Trallalero,
un ponte ideale che unisce la città di oggi con il vecchio quartiere genovese di Costantinopoli, sul Corno d’oro, quando la “Superba”
intrecciava rapporti e scambi in
tutto il Mediterraneo ed il Mar Nero. E’ un viaggio
immaginario nelle taverne, le fumerie, i Cafè aman, luoghi d’incontro tra i Makam (scale modali mediorientali) e le melodie del magico cerchio del Trallalero. I ritmi e la musica
risentono del profumo denso del Rebetiko e i testi in lingua genovese danno
voce ad una Genova lontano da Genova, ad una lontananza dalle proprie radici.
L’Orchestra
Bailam influenzata da quella multiculturalità turca, greca, persiana, armena,
curda, araba, balcanica e rum, (europea) che caratterizza la
cultura ottomana, traduce in
musica” il carattere maschile
di Genova tramite la Compagnia di Canto Trallalero nella voce di Matteo
Merli, di Paolo Sobrero e di Alberto
Bergamini che si apre alla contaminazione mediorientale, voce e canto
di questo progetto.
L’ORCHESTRA BAILAM seguendo la propria visione mediorientale è arrivata alle
radici della tradizione popolare genovese insieme alla COMPAGNIA DI CANTO
TRALLALERO, inventando un repertorio musicale che crea un
nuovo territorio di poesia.
Nata nel 2012 la Compagnia di Canto Trallalero è la voce e il canto di questo
progetto, che si apre alla contaminazione mediorientale mantenendo le sue
radici nella tradizione genovese. Della Compagnia di Canto Trallalero fanno parte elementi scelti di varie
Squadre tradizionali come ‘La Squadra’ (ex
Centro Storico), i ‘Canterini
Val Bisagno.
Nel numero di aprile di MAT2020 ho pubblicato una lunga intervista a Don Backy.
Nella mia adolescenza, nel mio periodo di ribellione, non c’era
posto per i sentimenti, per la pacatezza, per il romanticismo, e così artisti
di primo piano come Don, e tanti suoi colleghi… sono stati da me accuratamente
evitati.
Poi si matura, le prospettive cambiano e certe trame musicali
restano, indelebili, incancellabili ed è atto di onestà intellettuale il
riconoscere l’errore di avere snobbato grandi artisti, così, senza una valida
motivazione.
Don è un grande uomo di musica, ed alcune sue canzoni sono sempre attuali
e non perdono vigore.
Ma non basta la musica, perché chi ha vissuto tanti avvenimenti
importanti è autorizzato a metterli in mostra, approfittando dell’occasione per…
raccontare un epoca, anni che i nostri figli faranno fatica a riconoscere e
inquadrare.
A seguire un po’ di materiale interessante, che induce all’approfondimento
e permette di saperne di più di un uomo, cantante, autore e… di un periodo
tutto sommato felice.
SARÁ LA PIŪ
BELLA “PENTALOGIA” LETTERARIA & DOCUMENTATA – DI CUI MOSTRIAMO LE COPERTINE DEI PRIMI QUATTRO VOLUMI
PUBBLICATI - SCRITTA SUL PERIODO 1955/2010. Un viaggio nella memoria del tempo.
Una calda soffitta nella quale ritrovare un po’ di se stessi o scoprirci le
radici della nostra musica leggera e… non solo!!!
I LIBRI: Un antico
juke box - che sonnecchia nei locali in disuso del vecchio Bar Renata - viene rimesso in funzione da due giovani, attraverso
la casuale gettonatura di La storia di
Frankie Ballan, un brano epocale. La
vetusta macchina musicale per una
sorta di magìa, diventa l'io narratore
dell'avventura di Aldo (Agaton) - il
cantautore del brano - che, verso la metà degli anni Cinquanta, nella quieta
provincia toscana, folgorato da Bill Haley nel film Senza tregua il Rock and roll, cerca di emularne le gesta,
mettendosi in mostra nelle balere, con il solo scopo di divertirsi e per aumentare
le sue possibilità di conquistare ragazze. Tra rocamboleschi tentativi
autarchici, incredibilmente fortunati - tanto da fargli pensare a una strada
tracciatagli dal fato - si snoda una delle storie più affascinanti del settore,
corroborate da una enciclopedica messe di foto e documenti, tratti
dall’archivio personale dell’autore, sapientemente collocati nelle pagine
corrispondenti ai fatti narrati, grazie a un attento lavoro grafico…
È questo il
ritratto di una persona/persona. Il quadro di un’epoca. La memoria storica
degli anni giovani dell’autore, è qui tratteggiata – attraverso immagini belle
e rivelatrici sul filo di un linguaggio fresco e privo di conformismi
auto/celebrativi – con ironia pungente e critica, quasi con nostalgia.
Ripercorrendo le tappe della sua disordinata ascesa, Don Backy ci fornisce lo
spaccato dell’approssimativo mondo canzonettistico italiano di ieri e di oggi.
Una storia piana, allegra, triste, facile, vera, fantasiosa, indubbiamente
poetica – e non solo perché l’autore vi traduce i suoi molteplici stati d’animo
– felice, accorato, esuberante, ipocondriaco quanto basta e sufficiente
– sempre quanto basta – a illustrare un personaggio costantemente alla rincorsa
dei suoi dubbi e delle sue insoddisfazioni.
Conducendoci per mano nel suo
vagabondare di menestrello – in questo suo personale Sulla strada alla scoperta
di usi, costumi, tradizioni, sapori, colori di un’Italia per lo più sconosciuta
- Don Backy ci fa intrufolare fin negli anfratti più nascosti della nostra
memoria (come guardare se stessi dal buco della serratura), mostrandoci –
simile a un’esplosione colorata di fuochi d’artificio – uno spaccato d’epoca,
che non potrebbe essere stato più reale e rivelatore.
È un luna park
di impressioni in progressione dinamica – ora alternata, ora da sorbirsi tutta
d’un fiato – tanto da far giungere in fondo, con l’avidità curiosa con cui si
persegue il traguardo di un libro giallo.
L’AUTORE: Un Mark Twain dalla chitarra
facile e dalle non meno facili, pirotecniche folgorazioni. Intelligente ma
brado, Don Backy – autore di canzoni ormai considerate “storiche” - è però uno
scrittore. Scrive con una lingua sua, qua e là, vagamente accidentale. Ha senso dell’ambiente, stile e un certo mondo di narratore, così che le
cose, le idee, le situazioni, le ambientazioni, le scenografie, come le ha
sentite, viste e vissute in quei favolosi
anni 60/70, le ha scaricate d’intuito sui tasti delle macchina per
scrivere, facendo saltare alla rotella del suo fraseggiare, il dente che lo ha
portato a farneticare, usando simpatici
e sconclusionati neologismi di comodo.
Nel 2012, Don Backy ha compiuto 50 anni di matrimonio con la musica leggera e anche senza voler abusare di
frasi fatte, fortunatamente non li ha compiuti nello spirito, che mantiene
ancora l’entusiasmo di un ventenne verso la sua professione. Lo dimostra in
questo nuovo lavoro, dove palesa come il buon Dio abbia fatto in modo, che il
nostro conservasse una voce integra e una fresca “creatività istintiva”, le
quali gli hanno permesso – e ancora gli permettono – di elaborare e cantare canzoni, senza altri aggettivi che le
sviino dalla loro naturale funzione: EMOZIONARE!
Nell’occasione di questo compleanno,
l’artista si è voluto regalare un cofanetto dal titolo “Don Backy 50 anni di mestiere
delle canzoni” contenente diversi prodotti: Il Cd “Il Mestiere delle Canzoni”. Il DVD con 5 contenuti; Il backstage della lavorazione del Cd in
studio, il videoclip del brano “Vent’anni”,
facente parte dello stesso Cd. Il backstage
del medesimo, il video di un concerto live
tenuto al Palapartenope di Napoli e una lunga intervista rivelatrice. All’interno del cofanetto è presente anche un libretto
con le foto di scena del videoclip.
“Il Mestiere
delle Canzoni”, è un Concept album:
Brevi suggestioni rimaste impresse nella sua memoria, vissute durante i 50 anni
di attività professionistica, che oggi sono diventate canzoni. Si segnalano per
incisività, Sulla Strada,Spiritual e L’Artista. Che strano (in
duetto con Isabel, splendida voce), così come Candida, per la forza evocatrice che ha sempre contraddistinto Don
Backy, in un genere in cui ha davvero ancora oggi pochi rivali. Autoritratto, così come Cultura da Strada, Il mio mestiere e Piazza San
Pietro, dimostrano come il cantainventore
– così come ama definirsi, differenziandosi dal più paludato Cantautore – non abbia perso
nulla della sua vena ironica e fustigatrice, che lo ha caratterizzato in brani
del passato come Ho rimasto, Serenata, Samba, Sarebbe bello,
Diluvio universale, etc. Non mancano brani dal sapore retrò, come la deliziosa Alberghi,
luoghi reali vissuti in un’altra epoca, ma ancora così vivi nella memoria del
nostro.
Una di queste, Vent’anni, è il brano di punta del Cd.
Per questa canzone è stato realizzato il videoclip, che racconta per immagini
ciò che la canzone racconta con la musica e le parole; i sogni, le speranze, i
sentimenti e le emozioni di chi ha vent’anni, ma soprattutto di chi li ha avuti
all’incirca cinquanta anni fa. Don Backy ripercorre la sua giovinezza rivedendo
se stesso, da spettatore, in un’onirica realtà, indossando i panni dei miti
suoi e di tutti i ventenni dell’epoca. Marlon Brando (Il Selvaggio), James Dean
(Gioventù Bruciata) e Maurizio Arena (Poveri ma Belli) rivivono, insieme a un
“giovane” Agaton (il primo nome d’arte usato da Don Backy agli inizi della sua
carriera), sulle note di questo bellissimo rock/melodico.
Il cofanetto “Don Backy 50 anni di mestiere delle canzoni”
(davvero uno splendido prodotto!) è uscito il 1° Febbraio 2011 nei negozi delle
catene FNAC, La
Feltrinelli e MediaWorld ed è distribuito dalla EDEL di
Milano. È acquistabile anche via internet sui siti www.donbacky.it
– info@donbacky.it
A conclusione di queste brevi note, voglio
riportare in parte, i pareri su Don Backy, espressi da Renzo Arbore e dal
regista Alberto Bevilacqua:
"…Le melodie di Don Backy sono, per me, tipicamente
italiane e questo va tutto a suo onore: Comporre cose non banali con vecchi accordi
dei nostri canti folcloristici, con la vecchia vena fatta di pochi accordi non
complicati, è senza dubbio perlomeno inconsueto. Si vede che Don Backy, la
melodia ce l’ha proprio dentro come, se permettete, ha dentro anche una sua
semplice ma genuina vena poetica". (Renzo Arbore).
"… le canzoni di Don Backy sono fini, risentono
degli umili cantori delle antiche corti, delle romanze, delle melodie degli
erratici. Stimmate che troviamo anche nel viso dell’autore: perfettamente
intonato alle sue melodie, aguzzo e trasognato, da bardo e da stradaiolo...".
(Alberto Bevilacqua).