Il 10 aprile del 1970 Paul McCartney abbandonava i Beatles
Alla domanda specifica di un
giornalista, focalizzata sulle motivazioni di tale decisione PaulMcCartney rispondeva: “Il mio
allontanamento è dovuto a divergenze personali ed economiche, ma soprattutto al
fatto che sto meglio con la mia famiglia. Se tutto questo sarà temporaneo o
permanente, beh, questo ancora non lo so, ma non ci sarà più motivo per
collaborare con Lennon per la scrittura di nuove canzoni né di suonare dal vivo
con i Beatles”.
Al contempo Paul McCartney presentava
il suo primo lavoro solista (l’album "McCartney", 1970) e di fatto
segnava la fine di un’epoca.
Il Daily Mirror pubblicò a caratteri
cubitali
“PAUL IS QUITTING THE BEATLES”
Era il 10 aprile del 1970, e
terminava ufficialmente l’avventura della band più popolare ed influente di
sempre.
La notizia fece in un lampo il giro
del pianeta, con l’immediata consapevolezza che stava per scomparire il
principale punto di riferimento musicale e culturale della Beat Generation, ed
era in atto lo scemare dei favolosi anni ‘60.
I quattro baronetti proseguirono le
loro importanti carriere musicali, ma per ciascuno di loro non fu mai più come
prima… prima di quel 10 aprile 1970.
Un esempio sintetico dell’immediato
proseguimento dei loro perocorsi: a metà aprile usciva “McCartney”, primo album
solista del bassista ex Beatle. L’8 maggio “Let It Be”, un 33 giri a tutti gli
effetti postumo, a settembre “A Sentimental Journey” di Ringo Starr, a novembre
il triplo “All Things Must Pass” di George Harrison ed a dicembre “Plastic Ono Band” di John Lennon.
Tanti gli interrogativi legati ai
motivi della separazione, e molte pagine sono state scritte a tal proposito.
Non è questo l’occasione utile per un ulteriore approfondimento ma è bene
sottolineare come esista una grande sperequazione tra la modesta durata
dell’avventura dei Beatles - circa otto anni - e l’enorme e fondamentale
contributo musicale e culturale regalato alla storia.
Preciso che i Beatles si sciolsero ufficialmente
e legalmente il 31 dicembre 1970, quando McCartney intentò una causa tendente a
porre tutti gli affari del gruppo nelle mani di un curatore fallimentare.
Di seguito la comunicazione data al
telegiornale del 10 aprile 1070 sul Secondo Canale RAI:
"LA MIA SCIA", il secondo lavoro della band
siciliana Ologram, si presenta come
un'evoluzione naturale e audace rispetto al loro debutto, "LA
NEBBIA". Pur mantenendo un solido ancoraggio nel rock progressivo, questo
nuovo album esplora con intelligenza e sensibilità la forma-canzone,
confezionando brani più concisi e diretti, senza per questo rinunciare alla
profondità lirica e alla ricercatezza sonora, marchio distintivo degli Ologram.
L'intervista
a seguire offre una chiave di lettura fondamentale per comprendere l'anima dell’album.
L'idea
embrionale di un progetto solista, evolutosi in una collaborazione sinergica
tra musicisti talentuosi, traspare chiaramente nell'amalgama sonora che
caratterizza l'album. La band dimostra una maturità compositiva notevole,
riuscendo a fondere un ventaglio di influenze disparate – che spaziano dai
maestri del progressive come Genesis, PFM e Marillion, all'energia rock di Muse
e The Police, fino alla sensibilità del cantautorato italiano (con un sentito
omaggio a Pino Daniele in "Kasbah") – in un sound che, pur
riconoscibile nelle sue radici, suona fresco e personale.
La
scelta di concentrarsi su brani dalla durata più contenuta, ad eccezione della
suggestiva "1997" (quasi 7 minuti) che riprende il tema iniziale del
disco, si rivela una mossa vincente. Gli Ologram dimostrano di saper condensare
la complessità del progressive in strutture pop efficaci, mantenendo alta
l'attenzione dell'ascoltatore senza diluire la ricchezza degli arrangiamenti e
la profondità dei contenuti. Certo è che la voce di Fabio Speranza riporta a
colori e tipicità vocali proprie del prog italiano anni ’70.
Le
liriche si addentrano in territori esistenziali, fotografando la frattura tra
l'autenticità interiore e le pressioni omologanti del mondo contemporaneo. Questa
riflessione profonda si sposa perfettamente con la tessitura sonora, creando
un'esperienza d'ascolto coinvolgente e stimolante. Il processo creativo, che
vede il testo nascere dalla suggestione evocata dalla musica, conferisce
un'organicità notevole all'insieme.
L'apporto
di ogni membro della band nella fase di arrangiamento e registrazione è
palpabile. Si percepisce un lavoro di squadra coeso, arricchito dalla
partecipazione di ospiti come Gabriele Agosta, Matteo Blundo e Raffaele
Schiavo, che aggiungono ulteriori sfumature al paesaggio sonoro.
"LA
MIA SCIA" è un album di notevole pregio che conquista sia gli amanti del
progressive che un pubblico più ampio con sonorità ricercate e testi profondi,
segnando una decisa maturazione artistica per gli Ologram. Pur fedele alla loro
identità, la band si apre a nuove sonorità, invitando a un ascolto che svela
sempre nuove sfumature.
Ma
qual è la storia del gruppo?
Gli
Ologram nascono nel 2022 da un'idea del musicista Dario Giannì (basso), che ha
risposto alle mie domande nel corso dell’intervista.
Il
15 settembre 2022 viene pubblicato il loro album di debutto, "LA
NEBBIA", un concept album composto da otto brani (due strumentali e sei
cantati in italiano) che viene accolto positivamente dalla critica, sia in
Italia che all'estero.
Il
1° febbraio 2024 la band pubblica il singolo "Come Cera", anticipando
il loro secondo lavoro.
Il
24 gennaio 2025 segna l'uscita sulle principali piattaforme digitali di
"LA MIA SCIA", un'evoluzione nel sound della band, pur mantenendo le
radici progressive e le liriche in italiano incentrate su temi esistenziali.
La
formazione attuale degli Ologram è composta da:
Dario
Giannì - Basso
Fabio
Speranza - Voce
Roberto
Giannì - Tastiere
Lorenzo
Giannì - Chitarre
Giovanni
Spadaro – Batteria
Chiacchierando
con Dario Giannì…
Come
è nata l'idea di "Ologram"? Qual è stata l'ispirazione iniziale
per
il progetto?
L’idea
di Ologram nasce al termine dell’esperienza con la band Anèma. L’intenzione
era, in origine, quella di sviluppare un progetto solista per incidere i brani
mai realizzati proprio con quest’ultimo gruppo; in un secondo momento,
soprattutto in occasione della registrazione di La mia scia, ho deciso
di coinvolgere stabilmente i musicisti ai quali mi ero precedentemente
affidato. Si tratta di un progetto generalmente afferente al rock progressivo.
Il primo album, "LA
NEBBIA", ha ricevuto recensioni positive: l’esperienza ha modificato il
vostro approccio al nuovo album?
Le recensioni positive mi
hanno spronato a proseguire nella composizione sulla scorta del lavoro
precedente; a differenza di La nebbia, però, in questo caso ho deciso di
esplorare ulteriormente una possibilità di sintesi tra le tinte propriamente
progressive e la forma-canzone: ad eccezione di 1997 - che richiama il tema
iniziale del disco - infatti, i brani hanno la durata propria del pop.
"LA MIA SCIA"
mostra un mix di influenze molto vario. Come descrivereste l'evoluzione del
vostro sound dal primo album a questo nuovo lavoro, anche se il lasso di tempo
è breve?
Le influenze sono varie:
sicuramente il progressive (Genesis, Marillion, PFM, Goblin, Rush...), ma anche
il rock più in generale (Muse, The Police...) e il cantautorato italiano. Una
piccola curiosità: l’assolo di chitarra acustica doppiato dalla voce in “Kasbah”
è un omaggio a Pino Daniele.
Le liriche dei vostri album
affrontano temi esistenziali profondi. Come avviene il processo di scrittura?
C'è un messaggio particolare che volete trasmettere con "LA MIA
SCIA"?
L’idea intorno alla quale
orbita lo spirito lirico de La mia scia è immediatamente
esistenzialista. Si tratta di scattare un’istantanea della slabbratura tra l’io
autentico - sempre più relegato nelle zoni liminali delle nostre esistenze
quotidiane - e i processi di soggettivazione messi in atto da qualsiasi forma
di potere nella contemporaneità. Il testo viene scritto dopo aver composto la
musica e recependo i suggerimenti immaginativi della stessa.
Hai
menzionato modelli come Genesis, PFM, Police, Rush, Marillion e Muse. Come si
fondono queste diverse influenze nel vostro sound?
Per noi è di primaria
importanza rielaborare le influenze in un risultato originale: cerchiamo di
mettere in atto uno scenario sonico che raccolga i suggerimenti del passato in
una forma nuova, evitando di ricorrere agli stilemi didascalici del progressive.
Esistono
differenze significative nel processo di composizione fra il primo album e il
secondo?
Al contrario di La nebbia,
La mia scia è stato lavorato da vera band: ognuno è intervenuto in
maniera diretta e personale alla fase di arrangiamento e registrazione. Abbiamo
impiegato due anni per completare l’opera, avvalendoci anche del sostegno di
alcuni amici esterni alla band: Gabriele Agosta al piano Fender, moog e organo
Hammond; Matteo Blundo al violino e alla viola; Raffaele Schiavo al canto
armonico nella prima traccia del disco.
Avete in programma
presentazioni o concerti per promuovere il nuovo album?
Il 24 gennaio abbiamo
presentato il disco live da Sonica, un live club e circolo Arci molto
importante a Siracusa. Siamo in cerca di altri spazi in cui esibirci, anche al
di fuori della nostra provincia.
Quali
sono i vostri progetti futuri come gruppo?
Per adesso pensiamo alla
promozione del lavoro appena finito su riviste web, fanzines, radio; nel futuro
c’è sicuramente l’intenzione di scrivere ancora, esplorando sempre nuovi
territori e approcci.
Il Concerto
per Linda è stato un tributo benefico nel nome di Linda McCartney, moglie di Paul McCartney, e andò
in scena alla Royal Albert Hall di Londra il 10 aprile 1999.
Linda
McCartney morì dopo una lunga battaglia contro il cancro quasi un anno prima,
quando aveva 56 anni. Linda e Paul sono stati sposati per 29 anni.
L'evento fu organizzato
da due delle loro amiche, Chrissie Hynde e Carla Lane, ed i proventi
furono destinati a varie associazioni di beneficenza per i diritti degli
animali. Hynde e Linda avevano lavorato insieme sostenendo vari gruppi per i
diritti degli animali, tra cui PETA.
Per condurre fu scelto il comico Eddie Izzard.
I biglietti
per lo spettacolo, con 5.000 persone presenti, andarono esauriti entro un'ora
dalla messa in vendita.
Presenze
Oltre alla
performance non annunciata di Paul McCartney, lo spettacolo vide una dozzina di
artisti cantare le proprie versioni del materiale dei Beatles. Tra
gli ospiti c'erano George Michael, The Pretenders (Chrissie Hynde fu una delle organizzatrici), Elvis Costello, Tom Jones,
Sinead O'Connor, Des'ree, Heather Small, il chitarrista Johnny Marr, Neil Finn,
Marianne Faithfull e Ladysmith Black Mambazo.
La Faithfull,
che voleva apparire, disse nell'occasione: "Non conoscevo bene Linda, ma ha reso il
mio amico molto felice, e questa è la cosa principale".
McCartney non
avrebbe dovuto esibirsi, poiché non aveva più fatto spettacoli da quando sua moglie
era mancata. Tuttavia, partecipò all'evento con i suoi quattro figli.
Dopo
essere salito sul palco per ringraziare il pubblico, su sollecitazione di
Chrissie Hynde, cantò una delle sue canzoni preferite del 1950, "Lonesome
Town" di Ricky Nelson. Nell’occasione fu supportato dai membri dei
Pretenders, insieme a Costello. La canzone è stata la prima registrata da Paul
dopo la morte di Linda.
Proseguì con
il suo successo del 1963, "All My Loving", originariamente
eseguito dai Beatles. La maggior parte degli artisti della serata si unì a lui
sul palco per creare il coro. Costello disse che per questo particolare evento,
"c'era qualcosa di incredibilmente toccante" nel testo di
apertura della canzone.
Dopo quelle
canzoni, Hynde si "precipitò" su McCartney per un abbraccio emozionato. Tutti poi
si unirono per la canzone di chiusura, "Let It Be".
Il 9 aprile del 1932 nasceva Carl Lee Perkins, influente
chitarrista, cantante e cantautore statunitense, riconosciuto come una figura
chiave del rockabilly e un pioniere del rock and roll. La sua carriera
discografica decollò nel 1954 presso il Sun Studio di Memphis.
Perkins è
celebre per brani iconici come "Blue Suede Shoes", "Honey
Don't", "Matchbox" ed "Everybody's Trying to Be My
Baby".
Considerato da colleghi come Charlie Daniels l'incarnazione
dell'era rockabilly, il suo stile musicale inconfondibile ha influenzato
profondamente il genere. La sua importanza nella storia della musica popolare è
ulteriormente sottolineata dal fatto che le sue canzoni sono state
reinterpretate da artisti di fama mondiale come Elvis Presley, i Beatles, Jimi
Hendrix, Johnny Cash, Ricky Nelson ed Eric Clapton.
Soprannominato il "Re del Rockabilly", Perkins ha
ricevuto numerosi riconoscimenti postumi e in vita, tra cui l'inserimento nella
Rock and Roll Hall of Fame, nella Rockabilly Hall of Fame, nella Memphis Music
Hall of Fame e nella Nashville Songwriters Hall of Fame. La sua registrazione
di "Blue Suede Shoes" è stata onorata con l'ingresso nella Grammy
Hall of Fame.
La biografia ripercorre la sua infanzia modesta nel
Tennessee, segnata dal lavoro nei campi di cotone e dalle prime influenze
musicali che spaziavano dal gospel al country e al blues, quest'ultimo appreso
direttamente da musicisti afroamericani. La sua passione precoce per la
chitarra, inizialmente autocostruita e poi acquisita con difficoltà, lo portò a
sviluppare uno stile unico caratterizzato dal bending delle note.
Negli anni '40, insieme ai fratelli Jay e Clayton, formò i
Perkins Brothers, esibendosi in locali e ottenendo una certa notorietà
regionale, culminando in apparizioni radiofoniche. Il matrimonio con Valda
Crider nel 1953 lo spinse a dedicarsi alla musica a tempo pieno, con l'aggiunta
del batterista WS "Fluke" Holland alla band.
La svolta arrivò nel 1954 con l'ascolto di "Blue Moon of
Kentucky" di Elvis Presley, che lo convinse a cercare un'opportunità a
Memphis presso la Sun Records di Sam Phillips. Dopo un'audizione positiva,
pubblicò i suoi primi singoli nel 1955, ottenendo un successo regionale con
"Turn Around". Seguirono esibizioni con Presley e Johnny Cash,
consolidando la sua presenza nella nascente scena rockabilly.
Nell'autunno del 1955 scrisse "Blue Suede Shoes",
ispirato a un aneddoto casuale. La canzone, registrata nel dicembre dello
stesso anno, divenne un successo clamoroso nel 1956, raggiungendo la vetta
delle classifiche country e ottimi piazzamenti in quelle pop e R&B,
diventando il primo disco di un artista Sun a vendere un milione di copie.
Un grave incidente stradale nel marzo 1956 durante un tour
compromise la sua ascesa iniziale, causandogli gravi ferite e la morte del
conducente del pick-up coinvolto. Anche suo fratello Jay riportò ferite
significative che contribuirono alla sua prematura scomparsa nel 1958.
Nonostante le difficoltà, Perkins tornò a esibirsi e a registrare, ma non
riuscì a replicare il successo di "Blue Suede Shoes".
Negli anni successivi, Perkins continuò a pubblicare musica
per la Sun e poi per la Columbia Records, sperimentando anche nel cinema.
Tuttavia, la sua carriera subì un declino fino agli anni '60, quando la
reinterpretazione delle sue canzoni da parte dei Beatles ("Matchbox",
"Honey Don't", "Everybody's Trying to Be My Baby") gli
diede una nuova ondata di popolarità e riconoscimento internazionale.
Negli anni '70 e '80, Perkins collaborò con Johnny Cash,
partecipando al suo tour e suonando nel suo singolo di successo "A Boy
Named Sue". Lottò anche con problemi di dipendenza, superati grazie al
sostegno reciproco con Cash.
Il revival rockabilly degli anni '80 lo riportò in auge,
culminando nella registrazione di "Get It" con Paul McCartney nel
1981 e nello speciale televisivo del 1985 "Blue Suede Shoes: A Rockabilly
Session" con la partecipazione di George Harrison, Eric Clapton e Ringo
Starr.
Negli anni '80 e '90, ricevette numerosi riconoscimenti, tra
cui l'inserimento nelle varie Hall of Fame. Collaborò con artisti country
contemporanei e registrò il suo ultimo album, "Go Cat Go!" (1996),
con duetti di leggende della musica.
Carl Perkins morì il 19 gennaio del 1998 a causa di
complicazioni dovute a ictus. Il suo funerale fu un tributo alla sua influenza,
con la partecipazione di numerosi artisti di spicco. La sua eredità musicale
continua a vivere attraverso le sue canzoni e l'impatto che ha avuto sul rock
and roll e sul rockabilly. La sua tecnica chitarristica innovativa e il suo
stile vocale distintivo lo hanno consacrato come una figura fondamentale nella
storia della musica popolare.
"Suite: Judy Blue Eyes" è un brano che ha
catturato lo spirito di una generazione
"Suite: Judy Blue Eyes"
si erge come un monumento nella storia della musica popolare, un brano che
trascende i confini del tempo e continua a risuonare con forza emotiva.
Pubblicato nel 1969 come traccia d'apertura dell'album di
debutto omonimo di Crosby, Stills & Nash, questo capolavoro si è guadagnato
un posto d'onore tra le pietre miliari degli anni '60, incarnando l'essenza
stessa del talento compositivo e vocale del gruppo.
La canzone si articola in una "suite" nel senso
classico del termine, un'opera complessa suddivisa in sezioni distinte, ognuna
con un'identità musicale e lirica propria. Questa struttura riflette la varietà
di stili e influenze che confluivano nel DNA dei musicisti: dal folk rock al
rock psichedelico, dal pop al latin rock. La transizione fluida e organica tra
le sezioni crea un'esperienza d'ascolto avvolgente e dinamica, un viaggio
emotivo che cattura l'ascoltatore.
Il testo, opera di Stephen Stills, è un'autentica confessione
emotiva, un riflesso dei suoi sentimenti riguardo alla fine della relazione con
la cantautrice Judy Collins. Le diverse sezioni della canzone dipingono un
quadro vivido di emozioni contrastanti: tristezza, rimpianto, speranza e
rabbia. Il ritornello in spagnolo della sezione finale, "te recuerdo
otra vez", aggiunge un tocco di mistero e intensità, amplificando
l'impatto emotivo del brano.
Le armonie vocali dei CSNY sono l'elemento distintivo della
canzone e del loro sound in generale. La combinazione delle voci di Crosby,
Stills e Nash - e successivamente Young - crea un'atmosfera ricca e
avvolgente, che esalta la bellezza della melodia e l'intensità del testo. La
sezione "doo-doo-doo" è diventata un marchio di fabbrica del
gruppo, un simbolo della loro capacità di creare intrecci corali complessi e
affascinanti.
"Suite: Judy Blue Eyes" si è trasformata in un inno
per la generazione degli anni '60, un simbolo della loro ricerca di libertà,
amore e autenticità. La sua presenza al festival di Woodstockha contribuito a
cementarne lo status di icona di quell'epoca e la canzone ha avuto un impatto
duraturo sulla musica popolare, influenzando innumerevoli musicisti e band
successivi.
"Suite:
Judy Blue Eyes" è un'opera d'arte, un'esperienza d'ascolto senza tempo.
Non resta che ascoltarla!
Gentle Giant: "Playing The
Fool" rivive in un remix inedito con un nuovo video per "Free
Hand"
Le leggende del prog britannico Gentle
Gianthanno pubblicato un nuovo video
per il remix di "Free Hand"
realizzato da Dan Bornemark. Il brano è tratto da "Playing The Fool: The Complete Live Experience", una versione rivisitata,
rimasterizzata e remixata del loro iconico album live del 1977, in uscita il 2
maggio per Chrysalis Records.
Un remix che esalta la performance
live
L'album è stato completamente remixato e rimasterizzato dai
nastri originali dal produttore Dan Bornemark, collaboratore di lunga data
della band nei loro recenti progetti d'archivio. Questo nuovo mix mira a
catturare l'energia e l'atmosfera dei concerti dei Gentle Giant a metà degli
anni '70, offrendo un'esperienza immersiva per i fan.
Un'esperienza visiva innovativa
Derek Shulman, parlando in esclusiva con Prog, ha spiegato la visione
dietro il nuovo video: "Per dare vita visivamente a 'Playing The Fool',
abbiamo deciso di catturare la sensazione di essere realmente a uno spettacolo
dei Gentle Giant a metà degli anni '70. Invece di creare immagini in stile
video musicale tradizionale come abbiamo fatto in passato, ci siamo concentrati
sull'evocazione dell'atmosfera, dell'illuminazione e del design del palco che
hanno reso i loro concerti così unici".
Il Blu-ray incluso nella nuova edizione presenta scenografie
ricreate, ispirate alle diverse epoche dei tour della band. Nel video di
"Free Hand", si può ammirare l'iconica insegna al neon con il volto
di un gigante, elemento distintivo dei loro concerti. Altri video mostrano la
prima insegna "GIANT" a specchio, la cui storia aggiunge un tocco di
leggenda alla band.
Un'edizione ricca di contenuti
inediti
Playing The Fool: The Complete Live Experience sarà disponibile in diversi formati,
tra cui doppio CD, triplo vinile, Blu-ray e download digitale in stereo 96/24,
audio surround 5.1 e mix Dolby Atmos. L'edizione include nuove note di
copertina, fotografie e una tracklist che rispecchia l'ordine originale della
scaletta del tour, con tre brani inediti: "Interview",
"Timing" e le introduzioni di Derek Shulman tra i brani.
Questa riedizione offre ai fan dei Gentle Giant un'occasione
unica per riscoprire "Playing The Fool" in una veste completamente
nuova, celebrando l'eredità di una delle band più innovative e influenti del
prog rock.
A dieci anni dalla sua pubblicazione originale, I See You,
l'ultimo album in studio di Daevid Allen con i Gong, torna in una veste
rinnovata. Kscope Records pubblicherà una versione remixata dell'album il 9
maggio, disponibile in doppio vinile e CD.
Un'opera di transizione e commiato
Pubblicato
nel 2014, un anno prima della scomparsa di Allen, I See You rappresenta
un'opera di transizione per i Gong. L'album vede la partecipazione di membri
storici come Gilli Smyth, moglie di Allen, e del figlio Orlando Allen alla
batteria, oltre agli attuali membri Kavus Torabi, Dave Sturt e Fabio Golfetti.
Un remix che esalta la psichedelia
La nuova edizione è stata remixata da Frank Byng, produttore
e tecnico del suono degli ultimi quattro album dei Gong. Byng ha lavorato sulle
registrazioni multitraccia originali, donando all'album una maggiore chiarezza
sonora e accentuando la sua peculiare maestosità psichedelica.
Le parole di Kavus Torabi
Kavus Torabi, attuale membro dei Gong e successore designato
da Allen, ha espresso la sua emozione per il remix: "Ascoltare il nuovo
straordinario mix di Frank Byng, fortunatamente completato senza limiti di
tempo, ha portato una maggiore chiarezza sonora che accentua l'eccentrica
maestosità psichedelica della versione originale. Mi sono commosso fino alle
lacrime ascoltandolo. Per me, questa è la versione definitiva di “I See You”,
il disco che ho sempre sperato che fosse".
Un tour nel segno della continuità
L'attuale formazione dei Gong sarà in tour nel Regno Unito a
maggio, per poi spostarsi negli Stati Uniti e tornare per alcune date nei
festival estivi. Un modo per celebrare l'eredità di Daevid Allen e portare
avanti la sua visione musicale.
"I See You": un testamento
artistico
I See You si conferma un testamento artistico di Daevid Allen, un album che fonde
l'essenza dei Gong con sonorità inedite. Il remix di Frank Byng permette di
apprezzare appieno la complessità e la bellezza di quest'opera, rendendola un
ascolto imperdibile per i fan della band e gli amanti della musica
psichedelica.
Gong Tour
Dates
May 21: UK
York The Crescent
May 22: UK
Huddersfield The Parish
May 23: UK
Allendale Allendale Village Hall
May 25: UK
Liverpool Outer Waves Festival (Invisible Wind Factory)
Jun 6: USA NM
Albuquerque Sister
Jun 7: USA CO
Colorado Springs Lulu's Downtown
Jun 8: USA CO
Denver The Black Buzzard at Oskar Blues
Jun 10: USA
UT Salt Lake CityThe State Room
Jun 11: USA
ID Boise Shrine Social Club
Jun 13: USA
WA Yakima Bearded Monkey Music
Jun 14: USA
WA Seattle Rainier Arts Centre (Cascadence Festival)
Jun 15: USA
OR Portland McMenamins White Eagle Saloon
Bob Hite, affettuosamente soprannominato "The Bear"
per la sua imponente stazza e la sua voce potente, è stato una figura centrale
nella scena blues-rock degli anni '60 e '70. La sua voce inconfondibile e la
sua passione per il blues hanno lasciato un'impronta indelebile nella storia
della musica.
Nato negli Stati Uniti, Hite è diventato famoso come
co-cantante e membro fondatore dei Canned Heat nel 1965, insieme ad Alan
Wilson e Henry Vestine. La band ha rapidamente guadagnato popolarità
per le loro interpretazioni di classici blues e per i loro brani originali,
diventando una delle band di punta del movimento blues-rock.
I Canned Heat hanno calcato i palchi dei festival più iconici
dell'epoca, tra cui il Monterey Pop Festival nel 1967 e il
leggendario Woodstock nel 1969, consolidando la loro reputazione
come una delle band più influenti del periodo. La voce rauca e appassionata di
Hite era un elemento distintivo del loro sound, un mix esplosivo di blues, rock
e boogie-woogie.
Oltre al suo talento musicale, Hite era un appassionato
collezionista di dischi, con una conoscenza enciclopedica del blues. La sua
dedizione alla musica era totale, ma purtroppo la sua vita è stata tragicamente
interrotta il 5 aprile 1981, all'età di 38 anni.
Ricorre oggi il 43° anniversario della sua scomparsa. Durante
un tour, infatti, Hite morì a causa di un'overdose accidentale di eroina. Il
silenzio calato con la sua scomparsa, un'assenza che ha scosso le fondamenta
del blues-rock, è stato riempito dalla risonanza della sua voce, viva e
pulsante nella musica dei Canned Heat, una band che ha definito un'epoca e
trasmesso l'eredità del blues alle generazioni future.
Bob "The Bear" Hite non era solo un cantante, ma un
vero e proprio ambasciatore del blues, un appassionato collezionista e un'anima
vibrante che ha lasciato un'impronta indelebile nella storia della musica. La
sua eredità musicale è un tesoro da custodire, un ricordo di un'epoca in cui il
blues e il rock si fondevano in un'esplosione di energia e passione.
Layne Staley,nato
il 22 agosto 1967, è stato un cantante statunitense, famoso come leader del
gruppo Alice in Chains.
É ricordato soprattutto per la sua
voce carica di emotività, nonché per la sua personalità chiusa e tormentata.
I suoi problemi esistenziali, uniti
alla sua dipendenza da eroina, lo logorarono lentamente fino ad ucciderlo.
Layne
nasce a Kirkland, Washington, da Nancy Elizabeth e Philip Blair Staley. L'equilibrio e la serenità della
famiglia sono messi a dura prova dal comportamento del padre.
Layne manifestò precocemente una spiccata intelligenza e una vasta gamma di interessi, tra cui la musica. Già all'età di cinque anni, partecipava a cori infantili. Il divorzio dei genitori, Nancy e Philip, avvenuto quando Layne aveva sette anni, segnò profondamente il bambino. La separazione, causata dalle attività illecite del padre legate al traffico di stupefacenti e alla criminalità organizzata, ebbe un impatto traumatico su Layne, lasciando un'impronta indelebile sulla sua vita.
Durante le scuole superiori, Layne
iniziò a manifestare segni di disagio: amava dipingere, amava la musica, ma erano evidenti i suoi problemi relazionali.
La scuola decise quindi di mandarlo
in un istituto per giovani affetti da problemi sociali e questo causò a Layne
una grave perdita di fiducia nei confronti della società.
Questi stimoli negativi portarono il giovane a scrivere i primi frammenti di poesie e pensieri.
Amava ascoltare gruppi come Anthrax,
Van Halen, Black Sabbath, Judas Priest, e aveva iniziato a suonare la batteria con un complesso di coetanei, gli Sleeze.
In questo periodo iniziò anche ad
avvicinarsi all'alcol e alle sostanze stupefacenti.
Layne conobbe Jerry Cantrell durante
una serata presso la Music Bank di Seattle; lasciati gli Sleze, si unì a
lui per formare gli Alice in Chains (nome scelto dal cantante stesso): era il 1987. Alla neonata band si unirono il
bassista Mike Starr e il batterista Sean Kinney, e da allora gli Alice in Chains - assieme a Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden - diventarono una delle band di maggior successo del cosiddetto Seattle Sound.
Dopo aver negoziato con varie case
discografiche, nel 1989 gli Alice in Chains firmarono un contratto con la
Columbia Records; realizzeranno tre album (Facelift, Dirte Alice in Chains),
due EP (Sap e Jar of Flies) e un Unplugged, ultima apparizione in pubblico di
Layne Staley.
Gli anni del successo degli Alice in
Chains coincisero con il periodo più difficile per Layne; l'uso di eroina era
sempre più elevato e frequente e faticava a reggere le tournée del gruppo (gli
ultimi due album non furono supportati da un tour a causa dei problemi di
salute del leader).
Entrò più volte in clinica per
disintossicarsi, ma non uscì mai completamente pulito.
Il 29 ottobre 1996 morì quello che
per lui fu l'unico vero grande amore della sua vita: Demri Lara Parrot, che fu
uccisa da un'endocardite batterica e Layne non resse più. Smise definitivamente
di farsi vedere in pubblico; distrutto dal dolore dei tragici eventi che lo
avevano accompagnato per tutta la vita, dalla delusione e dalla rabbia verso un
mondo ipocrita come quello della musica, Layne si rinchiuse nel suo appartamento
a Seattle, ormai logorato psicologicamente e fisicamente dall'eroina.
Dopo aver rilasciato un'ultima
intervista nel febbraio 2002, fu trovato cadavere nel suo appartamento il 19
aprile 2002, ucciso da una micidiale mistura di droga, la speedball, a due
settimane di distanza dalla morte, avvenuta il 5 aprile.
Successivamente la madre fondò la
"Layne Staley Fund", una comunità no-profit che si occupa nella
prevenzione e nel recupero dei tossicodipendenti.
Una registrazione in studio inedita degli Yes, risalente al febbraio 1969, è emersa
online, catturando la band in una versione energica di "Eleanor
Rigby" dei Beatles. La scoperta offre uno sguardo
affascinante alle prime fasi della carriera del gruppo, avvenuta appena due
mesi prima della firma del contratto con la Atlantic Records.
Dettagli della registrazione e
provenienza
La registrazione, effettuata ai Polydor Studios di Londra con
il produttore John Anthony, è stata resa pubblica su YouTube dall'utente
Ian Hartley. Quest'ultimo, descrivendosi come un collezionista di bootleg,
sottolinea che la traccia rappresenta una prova inedita, priva di rimasterizzazione
significativa oltre a una correzione di velocità.
La performance rivela una versione accelerata dell'originale,
con un'introduzione psichedelica estesa ad opera del chitarrista Peter Banks
e del tastierista Tony Kaye, seguita dal basso di Chris Squire e
da una breve parte vocale di Jon Anderson. La registrazione si
interrompe prima del secondo minuto.
La provenienza esatta della registrazione rimane oggetto di
speculazione. Nel 2009, la casa d'aste Bonhams di Londra aveva messo all'asta
un nastro delle sessioni di John Anthony del 14 febbraio 1969, contenente anche
cover di "Everydays" di Stephen Stills, "Something's
Coming" di Leonard Bernstein e Stephen Sondheim, e "Dear
Father".
Contesto storico e significato
Gli Yes firmarono con la Atlantic Records nel marzo 1969 e
pubblicarono il loro album di debutto omonimo pochi mesi dopo. Nessuna delle
tracce registrate con John Anthony fu inclusa nell'album, sebbene alcune
apparvero come b-side dei primi singoli.
Secondo il forum YesFans, esistono tre registrazioni
conosciute degli Yes che eseguono "Eleanor Rigby" in studio, ma
nessuna è mai stata pubblicata ufficialmente. Questa scoperta offre quindi un
raro documento storico, testimoniando l'evoluzione musicale della band in un
momento cruciale della loro carriera.
La pubblicazione di questa registrazione inedita ha suscitato
grande interesse tra i fan e gli appassionati di musica, offrendo una nuova
prospettiva sulle radici e le influenze degli Yes.
Bob Burns: l'impronta indelebile di un pioniere del southern
rock
Il 3 aprile 2015, il mondo della musica perdeva Bob Burns, il batterista originale dei Lynyrd
Skynyrd, una delle band più influenti del southern rock. La sua scomparsa,
avvenuta in un tragico incidente automobilistico all'età di 64 anni, suscitò un'ondata di cordoglio tra i fan e i
musicisti di tutto il mondo.
Bob Burns è stato uno dei membri fondatori dei L.S.,
contribuendo in modo determinante alla creazione del loro suono distintivo fin
dalla nascita della band. Il suo drumming, caratterizzato da potenza,
precisione e un'impronta blues-rock, ha svolto un ruolo cruciale nella
definizione del sound del southern rock.
La sua impronta musicale è evidente in alcuni degli album più
iconici della band, tra cui Pronounced 'Lĕh-'nérd 'Skin-'nérd', che
contiene classici intramontabili come "Free Bird" e "Simple Man". La sua abilità nel creare ritmi energici e coinvolgenti ha
contribuito a rendere i Lynyrd Skynyrd una delle band più amate e rispettate
del genere.
La musica senza tempo dei Lynyrd Skynyrd mantiene viva
l'eredità di Bob Burns, il cui stile di batteria, pilastro del southern rock, è
tuttora oggetto di studio e ammirazione per molti batteristi.