Mentre mi accingo a scrivere queste righe il "2 Days Prog+1" di Veruno, appuntamento fisso per gli amanti del prog, è in pieno svolgimento, e l'atto finale culminerà con l'esibizione dei Procol Harum.
Avevo a
disposizione un solo giorno e ho scelto quello che più mi interessava dal punto
di vista del programma, non perché ci fosse qualcosa di “minore”, ma risale a
tre anni fa la mia domanda a Steve Babb - leader dei Glass Hammer, uno dei miei
gruppi preferiti - relativa ad un possibile concerto italiano: la sua risposta non fu certo improntata all'ottimismo! E invece eccoli
per la prima volta in Italia - e in Europa -, preceduti addirittura dai
Discipline!
Quello che cercherò di fare,
quindi, è la mera proposizione di un’immagine, di un’atmosfera - come sempre
magica quando si parla di Veruno -, con un po’ di commento ma, soprattutto,
qualche spezzone video utile al “farsi un’idea propria”.
Per l’intero racconto della tre giorni - immagini e parole - rimando ad un prossimo numero di MAT2020 che sarà redatto dai collaboratori presenti all’intera manifestazione.
Accennavo a quel feeling che
colpisce qualsiasi appassionato del genere si trovasse a passare da quelle
parti: musica, conoscenze, artisti importantissimi, socializzazione, piena
comunione di intenti, raduno di intere famiglie, e appena finita la kermesse si
comincia di già a fantasticare su quanto accadrà l’anno successivo. Difficile
da spiegare a parole!
Il regista supremo è Alberto Temporelli - tra i sui collaboratori ho conosciuto solo Octavia Brown -, capace di dare
continuità ad un evento che è diventato di caratura internazionale e, difficile
da credere, completamente gratuito per l’audience.
Dopo una prima giornata rovinata
in parte dal mal tempo - con la pioggia che ha infastidito i presenti ma non ha
fermato la musica - si arriva al secondo atto aperto dai tedeschi Deafening
Opera,
una giovane band che non conoscevo, capace di fornire buoni elementi visual,
con il frontman Adrian Daleore calato
nel ruolo, e leader di un ensemble che pare ispirarsi maggiormente ad un
generico rock, ma che mi riesce difficile giudicare dal poco che ho visto; lo
spezzone di video a seguire fornisce l’idea della loro proposta. La line-up presenta: Adrian Daleore -
lead vocals -, Moritz Kunkel - lead guitar, backing vocals
-, Thomas
Moser - rhythm guitar - Christian Eckstein -
bass, backing vocals -, Gérald Marie - keyboards, backing vocals - e Konrad Gonschorek - drums.
Quando entrano in scena i Karfagen
c’è ancora piena luce, e i concerti di giorno, all’aperto, hanno un buon
fascino.
Fa anche un certo effetto avere di fronte un gruppo ucraino, perché
è la dimostrazione che la composizione creata dagli organizzatori va anche
nella direzione della ricerca e della proposizione di novità: la musica
progressiva si nasconde in molti angoli del pianeta, anche in quelli più
impensati, e puntare su qualche alternativa permettere di ampliare le
conoscenze.
Il “conduttore” del progetto è il musicista e polistrumentista Antony Kalugin, che negli ultimi undici
anni ha pubblicato un numero impressionante di album partecipando a numerosi
eventi in tutta Europa.
Nell’insieme
una musica piacevole, basata sulle skills del leader Kalugin e su una buona
preparazione del chitarrista Velychko Maksym, che contribuisce alla creazione di un rock con buona venatura
romantica. Meno incisiva mi è parsa l’azione di Olga Vodolazhska e di Olha Rostovska, tra tastiere, chitarra acustica e backing vocals, ma ciò che resta è la
voglia di approfondire, e questo è di per sè il raggiungimento di un obiettivo.
Arrivano i Discipline, è ormai buio ed entra in gioco la magia, la commistione tra musica,
audience e mood positivo, con l’emozione che cresce al cospetto di una band cult.
Americani, in pista dal 1987, prediligono
l’unione di musica immaginifica e teatralità, con un meccanismo perfetto che
ruota attorno al tastierista e vocalist Matthew Parmenter; non è certo il caso di
raccontare che cosa abbia rappresentato il gruppo per il movimento new prog, ma
preferisco raccontare di un’alchimia, quella che si è manifestata sul palco di
Veruno, dove il presente è andato ad incrociarsi col lontano passato, e la musica
dei Discipline ha dato continuità
alle atmosfere che avevo vissuto nei concerti dei Van der Graaf a cui
presenziai nei seventies. Parmenter come Hammill, e quando arriva il solo al
piano, dedicato a Temporelli, la pelle d’oca non tarda ad arrivare.
Non
li avevo mai ascoltati dal vivo e sono rimasto estremamente soddisfatto della
loro performance, per qualità e intensità: il pubblico ha dimostrato grande
apprezzamento.
Questa
la formazione: Paul Dzendzel - batteria -, Mathew Kennedy -
basso -, Chris
Herin - chitarra -, Matthew Parmenter - voce, tastiere.
Ascoltiamoli…
Con
l’avvento dei Glass
Hammer il desiderio di Steve Babb - e il mio - si avvera.
Il
prog americano è meno considerato rispetto a quello britannico e a quello
italiano, ma trovo che certi gruppi andrebbero maggiormente considerati.
E’
curioso che Babb e soci arrivino dal Tennessee, una terra certamente dedita
alla musica, ma non a quella progressiva; quando salgono sul palco queste fini
considerazioni geografico musicali svaniscono, e i Glass Hammer fanno vedere di
che pasta sono fatti.
Il loro set
è incentrato sull’ultimo album, “Valkyrie”, ma ci sarà spazio per altre divagazioni e anche per
un bis, canonico, ma al limite dell’orario consentito
Quindici album all’attivo - a cui
si aggiungono due live -, si presentano a Veruno con la seguente formazione: Fred Schendel (tastiere,
chitarre, batteria e voce), Steve Babb (basso, tastiere e voce), Susie Bogdanovicz (voce), Kamran Alan Shikoh (sitar e chitarre), Aaron Raulston (batteria).
I due
fondatori - Shendel e Babb - a guidare con energia e competenza l’ensemble, con
un giovane e geniale Shikoh - chitarrista di
livello superiore - e la Bogdanovicz che fornisce una prestazione di grande qualità,
inserendo la sua particolare vocalità in trame decisamente articolate. Sorprendente
il voluminoso drummer Raulston, la cui destrezza
all’interno del mondo dei ritmi composti pare quasi innaturale.
Ho apprezzato
davvero moltissimo e… valeva la pena esserci!
Un serata
davvero unica, di quelle da ricordare, ringraziando senza condizioni chi crede
in questa musica - e in queste unioni di intenti - e chi ha voglia di
tuffarsi a capofitto nell’organizzazione necessaria per la realizzazione di un festival di
tale portata.
Perché queste
cose non nascono per caso, ma sono il frutto di un lunghissimo lavoro… e se i
risultati sono confortanti la speranza è quella che la motivazione non venga
mai a mancare.