Claudio e Davide
Ogni volta che mi trovo a commentare le proposte di Claudio
Milano (Nichelodeon), so già che il percorso da affrontare non consisterà solo
nel mero ascolto, ma sarà richiesto qualcosa in più. Quando poi le teste
pensanti sono due, e la seconda è un tal… Francesco Paolo Paladino,
un po’ di preoccupazione sorge spontanea.
Milano, vocalist “estremo”,
scrittore, artista e musicista completo, mi sorprende sempre per talento e
capacità creativa, anche se spesso capto la sua difficoltà nel far comprendere
il suo spirito libero e la sua attitudine all’innovazione, all’alternativa
rispetto allo standard che ci viene proposto quotidianamente.
Paladino è, anche, un
genio della macchina da presa, un regista all’avanguardia, e i suoi movie,
pluripremiati, hanno significati non sempre limpidi, e spingono a mettersi in
discussione, a riflettere, senza avere il tutto servito su di un piatto d’argento.
Ciò che hanno
realizzato in questa occasione è un concept multimediale che prevede un ricco contenitore:
un cortometraggio di Francesco Paladino
-“Quickworks & Deadworks”-, un CD musicale
di Nichelodeon/Insonar -UKIYOE-Mondi Fluttuanti- e il video clip di Claudio Milano “Tutti i
liquidi di Davide”. All’interno ricco booklet
e illustrazioni (di Milano).
La ricostruzione
oggettiva dell’intera opera emerge chiaramente dalle parole a seguire dei due “creatori”,
che entrano nel dettaglio, trasformando il loro commento in didascalia vera e
propria.
La cronologia della
sequenza evidenzia la nascita del film, a cui segue il commento musicale.
Mentre riascoltavo e
rivedevo il tutto, a pochi giorni dalla morte di Daevid Allen, dipartita che mi
ha coinvolto emotivamente, mi è venuto spontaneo il parallelo tra mondi -quello
di cui sto scrivendo e quello di Radio Gnome- a cui provo a trovare un comune
denominatore: la pazzia creativa, il superamento della tradizione, una certa
rigorosità di metodo inserita nella libertà espressiva, e la genialità della
soluzione finale.
Il canovaccio su cui
si muovono i protagonisti tratta il tema dei fluidi, acqua, ma non solo, e i termini tecnici marini "Quicworks" e "Deathworks" -ciò
che emerge sempre dell'imbarcazione e quello che non spunta mai- diventano forte
metafora, il simbolo delle incomprensioni che caratterizzano le nostre vite,
aspetti che da chiari diventano scuri, sentimenti che rimangono sommersi per
una vita, a cui basterebbe poco per trovare luce naturale. Punti di vista
differenti e avvelenamenti continui che necessiterebbero soltanto di un po’ di
trasparenza.
Anche “Tutti
i liquidi di Davide” utilizza il pretesto dell’elemento materiale per
spaziare su un macro concetto, quello che descrive la necessità di assoluto
amore, in ogni sua forma, come dice Claudio “… contro ogni razzismo e pregiudizio…”, e così la storia d’amore tra
un uomo e il suo palloncino Davide diventa la sintesi dell’impegno quotidiano
dell’autore, un valore assoluto che richiama ad una condivisione selvaggia.
UKIYOE è un album più breve rispetto alle “quantità”
a cui ci ha abituato Milano, ma il risultato della sua squadra al lavoro è
davvero notevole. Per certi versi più accessibile rispetto ai lavori
precedenti, evidenzia ancora le incredibili doti vocali dell’artista, messe a
disposizione del progetto, dove ogni ospite fornisce un completo contributo in
fase di composizione e arrangiamento. Tra le liriche si segnalano due passaggi
di Rainer Maria Rilke (importante poeta di fine 800) e un estratto dall’Antico
Testamento (Ezechiele 29:4-29:5).
Per il resto… occorre
lasciarsi andare; sarà forse la premessa a condizionare il feeling da ascolto,
ma il senso del “liquido” è qualcosa di presente nell’aria, capace di colpire
non solo l’udito, ma tutti i sensi, e diventa impossibile separare i singoli
pezzi proposti (musica, parole e aspetti video), che rappresentano, nella forma
e nella sostanza, anelli indissolubili.
Ma leggiamo le parole
di Claudio Milano e Francesco Paladino.
L’INTERVISTA
a Claudio Milano
Quale dei tuoi tanti percorsi paralleli ti ha portato verso
UKIYOE?
L'amor proprio. Ero in
ospedale e ho ricevuto una chiamata di Francesco Paolo Paladino che mi ha
proposto un concept multimediale con spese di stampa a suo carico. In prima
battuta ho rifiutato, avevo annunciato, non senza convinzione, di voler fare
solo concerti dopo il box del 2013 con Bath Salts e L'Enfant et le
Ménure. Di concerti non ce ne sono stati, tranne un paio di esibizioni di
livello da turnista, e qualche sfuocato abbozzo del mio repertorio, con
formazioni provvisorie, più una valanga di esibizioni a cappella in chiave di
performance, alcune bellissime, altre tali da portare a vere e proprie
“insurrezioni” del pubblico. Le mie condizioni di salute non sono andate
migliorando. Ho riflettuto sul fatto che avevo poco lavoro, zero relazioni
umane di valore, in seguito al trasferimento obbligato dalla Lombardia alla
Puglia e ho deciso di darmi una ragione per svegliarmi al mattino. Non avevo
forze per dedicarmi da solo agli arrangiamenti di un progetto che volevo fosse
un grande arazzo, un arazzo fatto di caos. Capace di raccontare vita e morte,
come in un dormiveglia, tra crudo realismo autobiografico, lettura della realtà
che la noia in meridione trasforma in “mito”; osservazione distaccata di tanti
omini che altrove si muovono affannandosi inutilmente, “perché tutti si ha da morire” ed è tutto distante, i sogni, gli
affetti e il lavoro desiderati, le invenzioni e le guerre. Questa terra vive di
misticismo misto a paganesimo volgarissimo, in un minestrone assai gustoso, ma
altamente tossico.
Il tema del mare è
qualcosa che ti appartiene da sempre o una nuova e sorprendente scoperta?
Sono nato a pochi
chilometri dal mare, ma di fatto, la terra è stata l'esperienza che ho
interiorizzato di più, complice anche l'aver vissuto in campagna da bambino per
qualche anno. Nessuna sorpresa dunque, ma neanche particolare appartenenza, mi
è bastato riconnettermi a qualcosa parte di me, ma di fatto UKIYOE parla di
acqua più che di mare e in modo ancora più esteso, di fluidi, moti di coscienza
che alterano percezioni, rimescolando la nostra concezione di realtà rendendola
“impermanenza”. Del resto il titolo stesso del disco fa riferimento a un
concetto, quello del ciclo continuo di nascita e di morte a cui i buddisti
hinayana cercavano di sottrarsi nel 1600. Tuttora, anche il buddismo mahayana,
che non parla di allontanamento dai desideri, ma li considera illuminazione,
parla della possibilità del conseguimento di uno stato vitale così elevato
dalla pratica meditativa, da staccarsi completamente da un mondo impermanente e
superare qualsiasi difficoltà, trasformandola in beneficio. L'impermanenza di
fatto rimane, cambia “solo” il modo proprio di affrontarla. Una sorta di
“Surfin Maelstrom” (originario titolo del lavoro), in piena decadenza culturale
ed economica occidentale e con i popoli a lungo, stupidamente,
bistrattati, che presi dalla rabbia cieca sono pronti a farci affondare, ma
senza pensare al modo in cui poi tenersi a galla loro. Le meduse dei miei
dipinti, sono le nostre coscienze e stanno venendo a prenderci.
Mi racconti come si
sviluppa questa volta il tuo lavoro di squadra?
Si è articolato tra
networking, istant composing e un articolatissimo lavoro di sound design,
prevalentemente in due studi, a più di 1000 km di distanza, uno a Fragagnano
(Ta), con Mimmo Frioli dei Karma in Auge e qui è nata la materia, l'altro a
Vedano al Lambro (MB), con Paolo Siconolfi e qui la materia ha preso forma
definitiva. L'evoluzione del tutto però è andata organizzandosi tra Italia,
Belgio (qui vive, la mia sorella elettiva e spirito guida, Erna Franssens aka
KasjaNoova, che E' arte) e Germania, in una quantità di studi e home recording
studios spaventosa. Un disco prende forma in genere attraverso la registrazione
di una sezione ritmica sulla quale incidono tutti gli strumenti e infine la
voce, o da un demo con suoni midi a partire del quale ognuno registra in
location diverse il proprio contributo. C'è ovviamente anche l'opzione della
presa diretta di un intero ensemble. Io, ho proceduto perfettamente al
contrario, incidendo per primo le sezioni vocali e scrivendo a mano, o
partiture integrali per l'arrangiamento, o bozze di esse per due-tre voci
strumentali. Alcuni musicisti hanno avuto un ruolo essenziale e sono stati
Stefano Giannotti (OTEME), Vittorio Nistri (Deadburger Factory), Erica Scherl,
Fabio Zurlo, Alessandro Seravalle (Garden Wall), Josed Chirudli. Giannotti,
Nistri e la Scherl, in particolare, hanno realizzato arrangiamenti integrali
per alcuni brani, che in studio sono stati assegnati, assieme al mio, ad un
canale specifico. Si è provveduto, in maniera quasi performativa, ad alzare ed
abbassare volumi, fino a stabilire presenze, compresenze, assenze, fino ad un
mosaico perfettamente cristallizzato che, in particolare nel brano Marinaio
e in Ma(r)le, ha trovato la sua massima espressione. Fabio Zurlo è stato
responsabile di una virulenta sessione in studio, tra partitura e lunga
improvvisazione, per voce e fisarmonica, che ha definito Into the Waves,
la sezione centrale della suite conclusiva. L'ultima parte della suite, Mud,
è fondata su una composizione elettronica di Seravalle, chiamata
originariamente “Il Male”. Josed Chirudli ha lavorato alla definizione
dell'ossatura strumentale di Ohi Mà, in compartecipazione diretta in
studio con Camillo Pace. L'arrangiamento di Veleno è quasi
esclusivamente mio, quello del singolo Tutti i Liquidi di Davide, si è
organizzato attorno a voci e synth miei e al violino di Erica Scherl. I
Pesci dei tuoi Fiumi è quasi ad esclusivo appannaggio mio e di Vittorio
Nistri. Fi(j)ùru d'Acqua si è andata definendo attorno ad una mia
partitura, dalla quale Giannotti, in Germania, ha sviluppato un processo
compositivo tutto suo, sul quale si è innestato il contributo di Chirudli. Un
vero e proprio processo di cesello in continuo work in progress fino alla
definizione di una forma conclusiva. Maree, null'altro che maree. C'è il
racconto emotivo tipico di NichelOdeon (Tutti i Liquidi di Davide, Veleno,
Ohi Mà), la ricerca sonica e vocale spinta agli estremi di InSonar (I
Pesci dei tuoi Fiumi, Ma(r)le) e qualcosa che rimane a metà (Marinaio
e Fi(j)ùru d'Acqua). Ci sono poi voci assai importanti, quelle di Dalila
Kayros, Stefano Luigi Mangia e Laura Catrani, su tutte. Meno presente il contributo
di Raoul Moretti, impegnato per un tour mondiale di presentazione del suo
elegantissimo Harpscapes, a cui ho preso parte cantando in un brano, Raped
Lands. Una cosa però questa volta è emersa, è stato un lavoro assai
faticoso, a dispetto dei doppi che hanno costituito il box del 2013, che si
sono sviluppati in maniera assai più giocosa, praticamente “perfetta”, come nel
caso di Bath Salts. E' stata necessaria una guida fermissima da parte
mia per non degenerare e avere una direzione chiara. Paolo Siconolfi ha dovuto
organizzare di sana pianta intere partiture, ridisegnandole. Esiste un nostro
storico di e-mail notturne che ammonta ad un numero di diverse centinaia. Lui
lavorava di notte, io di giorno e fino alle 3-4 del mattino, dormendo non più di
4 ore, per 4 mesi e mezzo di fila, tra Febbraio e Giugno, con bonus di 3 mesi,
tra Settembre e Novembre, per il singolo. E' stato anche realizzato un
videoclip per questo, su regia di Pietro Cinieri e mio concept/storyboard (video
a seguire) e i ready made che accompagnano le edizioni limitate del lavoro, mi
accompagnano tuttora, giorno e notte, come in un'accumulo di parti di me donato
a chi ha voglia di entrare a far parte del mio mondo. Assolutamente infantile,
certo, ma senza alcun livello di mediazione a fargli fango attorno.
L’album è impreziosito
da un movie di Francesco Paladino: da dove nasce l’dea?
La domanda andrebbe
riformulata al contrario. Da dove nasce il disco? Cosa peraltro ben espressa,
perché è stata la necessità di legare a un progetto visivo, quello di
Francesco, dei suoni, a far nascere UKIYOE. Il film, originariamente doveva
essere girato nell'arco del mese di Luglio scorso, a Taranto. Non sono stati
trovati dei fondi. Francesco parlava della volontà di trasformare la sua casa
nella stiva di una nave ed effettuare lì le riprese. Poi si parlava di
introdurre nel DVD un suo bel mediometraggio di qualche anno fa, con la
partecipazione dei fratelli Placido. Di fatto, essendo lui a Piacenza e io in
Puglia, non ho seguito tutte le fasi dell'evoluzione del progetto visivo, così
come lui, ha seguito solo in parte quelle della realizzazione del cd. Siamo
persone assai diverse, io assai ordinato nel processo creativo, lui
disordinatissimo quanto vitale, eppure tutti e due necessitiamo di tenere
quanto più possibile “sotto controllo” quello a cui stiamo partecipando, per
sentirlo nostro. So che, il mediometraggio è stato realizzato in tre giorni
(ricordo che in contemporanea Francesco aveva in corso d'opera il suo Son of
Unknown Fish e una miriade di altri progetti esclusivamente video) e che è
la realizzazione più rapida del suo percorso di regista, ma del resto, i tempi
è stato Francesco stesso a definirli, chiedendomi le musiche entro la prima
decade di Giugno e io tutto sono tranne che disposto a protrarre progetti per
anni, senza una casa, un lavoro, una vita sociale, in salute precaria...
UKIYOE, sta tra realtà feroce e sogno, è disco impenetrabile e facile, corto ma
densissimo, è un disastro meraviglioso.
Dietro ai termini
nautici “QUICKWORKS & DEADWORKS” si possono nascondere interpretazioni e
metafore personali: qual è il tuo punto di vista?
Si tratta
rispettivamente delle parti di una nave che rimangono sempre fuori e
sott'acqua. Bisognerebbe chiedere a Francesco, ma credo lui ne abbia dato una
visione assai meno “apocalittica” della mia e più romantica. Lui ama
manifestarsi in modo assai più solare rispetto a me, con una dolcezza
dichiarata. Ha smussato alcuni miei eccessi in fase creativa e ha fatto bene.
C'era un pezzo in cantiere, ad esempio, intitolato “Ho gettato mio figlio da una rupe perché non somigliava a Fabrizio
Corona” e lui è, giustamente, insorto, così come mi ha chiesto di limitare
l'aggressività del mio linguaggio presente originariamente in alcuni testi.
Devo riconoscere che la rabbia ad un certo punto, mi stava portando lontano,
assai lontano...
Che tipo di
sperimentazione o innovazione costruttiva hai realizzato questa volta?
Il processo di
stratificazione della materia sonica, intesa proprio in qualità di “materia”
(alla stessa maniera di quanto adoperato da me per la resa di pannelli, dipinti
e illustrazioni di artwork ed edizioni deluxe del digipack) è stato descritto
nella risposta alla tua terza domanda. Ma c'è anche la progressione da una
iper-forma (Veleno, Fi(j)ùru d'Acqua), un mosaico perfettamente a
fuoco, fino al suo progressivo sgretolamento in detriti (la chitarra di Eugenio
Sanna) e fango (i drones di Seravalle) nella musique concrète di Mud,
che chiude il disco. Tutti i Liquidi di Davide, come una sorta di
riemersione alla realtà dei sentimenti che ci permeano, può essere considerato
tanto origine che conclusione dell'opera, nel suo essere ballata dolcissima e
disperata, un inno alla vita vissuta senza “se e ma”, dedicato ad una persona
che di morte appresso ne ha già avuta abbastanza.
Come giudicheresti
questo tuo prossimo lavoro: una tappa di avvicinamento verso una meta precisa o
un punto di arrivo prima di una nuova svolta?
La manifestazione di un
male viene letta spesso come “origine” dello stesso, ma è in realtà, già soglia
dalla quale ha origine una cura. Il cancro è andato originandosi prima. Allo
stesso modo, che UKIYOE sia naufragio, approdo, o illusione di un avvistamento,
proprio non so dirlo.
Come Claudio Milano sottolinea, tutto parte da un’idea di Francesco Paladino,
che mi ha raccontato a tal proposito…
Ci sono aspetti di noi che a volte emergono chiari, certi
altri che non emergono mai. Quicworks & Deathworks parla di questi aspetti.
Il termine adottato, che è anche il titolo del film, è un termine marinaio che
indica quello che emerge sempre dell'imbarcazione e quello che non emerge mai.
Il film dura 30 minuti ed è uno dei miei lavori estremi, perchè si compone
soltanto di cinque impaginazioni, un prologo tre situazioni e l'epilogo.
Nel prologo due coppie, una di ragazzi, una di persone un pò
più mature, lasciano una banca attraccata ad un molo tropicale. Una voce fuori
campo, la voce di Barbara Burgio, cantante di Seattle, mia carissima amica, che
ha curato la versione inglese del lavoro, ci indica che si tratta di un
attracco di fortuna, la nave probabilmente è in panne; quindi per un caso della
sorte i quattro personaggi sono costretti a convivere in un piccolo spazio, una
sorta di balcone sulla foresta tropicale, tutti insieme. Il film è ambientato
in una sorta di onirico fine 800, che improvvisamente si squarcia su tempi
attuali quando la giovane protagonista, Giada Galeazzi, intona una canzonetta
dei giorni nostri, o quando, nel terzo quadro, una radio racconta la
raccapricciante notizia di due bimbi mangiati da un pitone. Nell’attesa, che
non si sa quanto durerà, i quattro personaggi vengono in contatto e si formano
le alleanze, le amicizie, e le esclusioni, in particolare il personaggio
maschile maturo, che vorrebbe dire, parlare, gridare e che è sempre colto da
crisi di vomito, viene escluso dalla piccola comunità. L’epilogo accompagna i quattro
personaggi di nuovo sulla battigia, da dove erano arrivati, quando il giorno
inizia a tramontare e tutti guardano il cielo in attesa di qualcosa che deve
arrivare.
Gli attori -Carolina Migli Bateson, Gianluca Prati, Giada
Galeazzi e Luka Moncaleano- nei tre quadri in cui la storia si sviluppa
(escludendo la prefazione e l'epilogo, recitano come si diceva a Cinecittà, a
"braccia". Nei giorni di preparazione abbiamo lavorato sul creare quattro
personaggi con identità precise, con caratteri pronunciati, e abbiamo studiato
tre racconti di "massima", spiegando cosa doveva succedere nel tempo
di 7-8 minuti. Poi ho lasciato loro la più ampia libertà di espressione,
potevano fare ciò che volevano, sempre che esprimessero la linea rossa della
storia che avevo individuato. Ci si è messo anche il caso a recitare,
improvvisamente è salito il vento, il cielo si è velocemente liberato e
riempito di nubi, cambiando i colori, il cappello di Giada è volato via... la
scatola delle pastiglie è fuoriuscita dalle tasche di Carolina, suggerendo una
fine alla storia, che non avevo inizialmente pensato. E’ stata una grande
emozione creare questo film, perché in esso sono confluite delle linee
metodologiche che sicuramente applicherò alle mie nuove prossime creature. Si tratta
del mio lavoro più libero, in cui la recitazione è vita, gli attori sono anche
loro creatori e così anche gli imprevisti; le musiche di Claudio sono fantastiche, e
appaiono e scompaiono, a sottolineare certi momenti, certe emozioni certe
tensioni che si creano tra i personaggi. Con Claudio ho lavorato benissimo, è
una colata lavica di idee e lavora veloce come un colibrì. Sicuramente lavoreremo
ancora insieme, perché ci siamo trovati benissimo e tutto è coinciso alla
perfezione, come i pezzi di un puzzle. Amo la musica di Claudio perché è viva, sprizza
energia e voglia di essere curiosa, imprendibile, chiara e definita, eppure misteriosa.
Il trailer…