Shine On You Crazy Diamond – Il ritorno del diamante
C’era una volta un uomo che camminava tra le ombre del suono.
Aveva gli occhi pieni di stelle e la mente piena di fuoco. Syd Barrett
non era solo un fondatore: era un faro, un’anomalia, un sogno che bruciava
troppo in fretta. E ora, cinquant’anni dopo, i Pink Floyd tornano a
raccontarlo. Non con parole nuove, ma con un respiro più lungo. Un unico
flusso, venticinque minuti di luce e abisso: Shine On You Crazy Diamond,
pts. 1–9, come non l’avevamo mai ascoltato.
Il nuovo mix stereo di James Guthrie non è solo una pulizia
sonora. È un rituale. Le tastiere si aprono come porte cosmiche, il basso pulsa
come un cuore antico, la chitarra di Gilmour piange e canta. E nel mezzo,
quella voce che non c’è più, ma che tutti sentiamo.
Nel video,
Noel Fielding dipinge Syd. Non lo copia: lo evoca. Pennellate che sembrano sogni, occhi che non
guardano ma ricordano. “Quando avevo dodici anni”, dice Fielding, “ho
ascoltato The Piper at the Gates of Dawn e ho capito che la realtà poteva
essere piegata.” È così che si entra nel mondo di Barrett: non con la
logica, ma con la vertigine.
La nuova edizione di Wish You Were Here è un viaggio.
Cofanetto Deluxe, Blu-ray, 3LP, 2CD. Dentro ci sono demo, filmati,
cortometraggi. Ma soprattutto c’è The Machine Song, la prima bozza di Welcome
to the Machine, portata da Roger Waters come un messaggio in bottiglia. È
grezza, è fragile, è vera.
Simon Armitage ha scritto una poesia. Fielding ha dipinto. I
Floyd hanno rimixato. Tutti, in modi diversi, hanno detto la stessa cosa: Syd
era un diamante. Non perfetto, non eterno, ma luminoso.
E noi, cinquant’anni dopo, siamo ancora qui a guardarlo
brillare.
