Ovviamente c’era di mezzo un concerto il cui resoconto è fruibile cliccando sul seguente link: https://athosenrile.blogspot.com/2024/09/serata-beat-e-rock-and-roll-ai-giardini.html
Musica beat, musica a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, performata
da un gruppo apparentemente improvvisato ma con un solido collante musicale.
In quella occasione ho conosciuto Marco
Bonino, musicista e chitarrista di lungo corso e di adeguata fama, il
cui pensiero - e parte della sua storia - emerge dall’intervista che propongo
a seguire.
Ma, oltre a cose “antiche” a cui non si può ovviamente rinunciare, esiste uno sguardo attento verso nuovi progetti, e Marco mi ha mostrato - e donato - il suo ultimo album, “The singer in the band”, rilasciato nel 2023, diffuso in digitale ma realizzato anche in formato fisico per un numero limitato di copie.
Tutto l'album, e i contenuti extra sulla chiavetta USB, sono disponibili su:
www.crislermusic.com (per maggiori info: info@crislermusic.com)
L’immagine a seguire sintetizza track list e crediti…
Dodici tracce suddivise su una quarantina di minuti con un
rispetto temporale della forma canzone, ed emerge come la collaborazione tra
Marco Bonino e Mike Shepstone sia una costante e qualcosa che trova
finalizzazione nella creazione di brani che, pur lasciando il profumo del
passato, si propongono come attuali e di una gradevolezza d’ascolto assoluta.
Per avere info recenti su Mike cliccare sul seguente link: https://athosenrile.blogspot.com/2024/09/intervista-mike-dei-rokes-mike.html
Vado ad intuito, avendo la certezza che “The singer in the
band” possa essere ascoltato da un pubblico trasversale e ogni singola
traccia abbia la potenzialità per trovare spazio in ogni rotazione radiofonica,
ma… credo che il progetto sia intimamente molto più complesso, ovvero, l’azione
creativa mi appare come legata ad una precisa necessità in questo particolare
momento della vita dell’autore.
Il percorso musicale di Bonino è stato lungo e variegato, ma
se facciamo riferimento ad album “da solista”, per trovare traccia di musica in
proprio occorre ritornare agli anni ’80, il che potrebbe significare che non c’è
stato tempo per realizzarla, ma, come accade in ogni campo artistico - anche in
ambito dilettantistico - quando arriva la giusta motivazione tutti gli alibi
cadono e ad ogni pensiero segue una rapida azione.
Ecco, nel mio “immaginare la situazione” ho idealizzato
Bonino che, arrivato ad un certo momento della vita, tira le fila delle sue
esperienze e riassume in musica la sua storia, l’incedere di un percorso
condizionato da un’era che lui definisce fortunata - e io concordo -, e nulla
come le rappresentazioni artistiche è in grado di disegnare uno stato d’animo
personale, che a quel punto va condiviso col mondo e resterà una testimonianza
per sempre.
Anticipo uno stralcio dell’intervista, quella dove l’autore dice: “La mia intenzione era quella di “fissare” in un album le canzoni scritte da me che più mi rappresentavano. Ci sono le influenze dei Beatles, c’è Randy Newman, Neil Sedaka, John Martyn… il rock and roll, il blues, la pop music anglosassone e anche qualche melodia latina. Insomma, c’è tutta la mia vita”.
Il cantato è rigorosamente in lingua inglese e ogni singola
traccia riporta a trame sonore che sono intrappolate nella testa di chi ha
qualche lustro alle spalle.
Melodie orecchiabili proposte con una voce delicata e sorprendente, con arrangiamenti notevoli.
Si inizia con Gipsy Heart, canzone sognante,
tra fratelli Gibb e Paul Young, con cori cesellatori e un solo di chitarra che,
verso la fine, svolta verso il rock, il tutto a delineare un cuore zingaro…
Summer Love si mantiene sul binomio voce/piano per oltre un minuto per
poi sfociare in un combo completo, romantico, dove la melodia si fa driver e la
memoria ritorna a momenti davvero formativi, quando Bonino, viveva la sua
adolescenza con gli echi di ciò che stava rivoluzionando il mondo, partendo da
San Francisco.
Long Time, come per il brano iniziale, ripropone l’ausilio autorale di
Shepstone e appare una cartolina inviata dal duo Lennon-McCartney: ma che bella!
Con Little More Marco si mette totalmente in
proprio e sciorina un pop ottantiano accattivante e ballabile, e a questo punto
dell’ascolto appare chiaro che ad ogni angolo è possibile aspettarsi la
sorpresa sonora.
Giving è una ballad lenta, ed è facile realizzare il parallelo con
quanto accadeva cinquant’anni fa nelle sale da ballo o nelle discoteche, con l’alternanza
tra canzoni dinamiche e altre adatte al ballo lento.
Ma questo ricordo non deve mettere in secondo piano la vera
essenza musicale che una slide sognante e una voce molto “Lennon”, evidenziano.
A questo punto del percorso arriva la title track,
a cui è dedicata una domanda specifica dell’intervista a seguire, ma, di più,
posso proporre un magnifico video che, partendo da tracce di “Mr. Tambourine
Man”, smuove miriadi di ricordi. In questi giorni la canzone “The singer
in the band” è entrata di diritto nella mia play list quotidiana,
canzone che, ne sono certo, non abbandonerò più.
Eileen è, a mio giudizio, una delle perle dell’album, una di quelle
canzoni che non necessita di una etichetta o di uno spazio di collocazione, è
bella e basta! Piano e voce, con un arrangiamento orchestrale e la messa in mostra
di qualche virtuosismo messo al servizio dell’atmosfera generale.
In un altro momento, in un’altra vita, sarebbe diventato un
must irrinunciabile… ma per questo c’è ancora speranza!
Lost and Forsaken conduce verso il modus espressivo del
Dylan elettrico, con una certa misura, quasi sottovoce, brano da viaggio coast
to coast!
Smile Again propone una ulteriore versione di Bonino, un misto tra pop, soul
music, jazz e soft rock, insomma, un caleidoscopio di skills e buon gusto
concentrato in quattro minuti che strappano all’ascoltatore ben più di un altro
sorriso!
One More Time si presenta come una sorta di pop d’oltreoceano, con il
sax a sottolineare la capacità di movimento all’interno di ambientazione soul.
Non avrei scommesso sul tocco autorale di Mike, e invece…
United Again ha un sapore aulico e riporta ad un sound che mette
in primo piano la melodia, la pacatezza di volumi, l’eleganza compositiva e
interpretativa e, un ascolto non preparato, mi avrebbe condotto verso lidi lontani,
non certo italici.
L’album si conclude con Mama Song, una canzone
che immagino abbia un grande valore affettivo, una spremuta di ricordi che
ritornano a galla ogni volta che certe musiche emergono, più o meno volontarie.
La degna chiusura di un viaggio, gioioso e sofferto, stati d'animo che solo
l’album dei ricordi può provocare, un bilancio di vita, con la triste
consapevolezza che gran parte del percorso è stato fatto, ma con l’immensa
gioia di aver vissuto il meglio, e con la speranza/certezza che ci sia ancora
molto da dire e da fare.
Un album che consiglio, che fila via liscio mentre la nostra
auto ci trasporta, e la nostra mente vagola alla ricerca di momenti del passato
che solo la musica riesce a stimolare.
Grazie a Marco Bonino che, sfortunatamente, ho conosciuto con colpevole ritardo. Ma c’è ancora tempo!
Vorrei iniziare con un tuo pensiero rispetto a quanto è andato in scena il 19 settembre a Savona… il tuo feeling di serata…
Amo da sempre cantare e suonare in spazi piccoli in cui il pubblico è “amico” e non “spettatore”. Nel periodo, ad esempio dei miei concerti con Ron, Dalla e gli Stadio nei grandi spazi quasi non riuscivo a vedere se il pubblico ci fosse o no. Mi piace molto anche parlare con gli spettatori. Ai Serenella c’era proprio l’atmosfera che preferisco.
Potresti raccontare l’evoluzione della tua storia musicale
che, a quanto ho sentito appare corposa?
Ho iniziato prestissimo. A 10 anni cantavo e suonavo Elvis, Sedaka e Anka. A 12 i Beatles. A 20 i Genesis con il gruppo OFF. Tra il 1978 e il 1982 i concerti come supporter e chitarrista con David Bromberg, John Martyn,i Flying Burrito, i Pentangle, gli Strawbs e Mike Bloomfield. Fantastico periodo di crescita. Poi la “Paul Kelly Band” e il blues. Poi il lavoro di arrangiatore e produttore musicale per i Nuovi Angeli, Mal, Gian Pieretti, Donatello, Dino, Camaleonti e i Rokes per cui ho suonato e scritto varie canzoni. E ancora i miei album da solista: “Help me to hear” (MAMA BARLEY), 1981, con la partecipazione di Bromberg, Byrds, Kelly, Happy Traum e John James. Poi nel 1984 “Unknown great hits” (Homberger Records) e con i Blaze (“Green grass”(Acid Jazz Records) pubblicato in UK nel 1998 e entrato nelle classifiche inglesi). E arriviamo al mio nuovo album nuovo, “The singer in the band” (PULL Records 2024).
Esiste un momento della tua vita che giudichi decisivo per
l’indirizzo del tuo percorso musicale?
Certo. I Beatles. Soprattutto John Lennon con il suo atteggiamento e la sua ironia. Dal punto di vista musicale un’altra svolta è arrivata con Randy Newman, un compositore ineguagliabile per intensità e melodia che ha influenzato molto il mio modo di comporre musica.
Riesci a trovare nella tua storia personale un incontro
positivamente “sconvolgente”, di quelli mai avresti pensato di fare?
Tanti gli incontri e molti importanti. Quello con Bloomfield, ad esempio, che voleva portarmi a Pasadena con lui. O quello con John Martyn che di notte mi insegnava le sue “accordature aperte”.
Ho appena ascoltato il tuo album “The singer in the band”,
che a breve commenterò, ma ho qualche curiosità, e la prima riguarda la tua
collaborazione autorale con Mike Shepstone (ex batterista dei The Rokes): come
è nato il connubio?
Una decina di anni fa ci siamo conosciuti e abbiamo deciso di comporre canzoni insieme. Prima abbiamo completato un album di loro hits e qualche inedito (“Rokes4ever”, 2016, Azzurra Music). Un’emozione grandissima anche suonare con Mike e Bobby Posner, l’altro “Rokes” con la voglia di continuare. Con Mike poi c’è davvero una sintonia magica. Stiamo scrivendo da anni anche nuovi brani per un grande produttore americano, Shel Talmy, che produsse negli anni ‘60 i primi dischi degli WHO e dei KINKS. D’altronde Mike dopo l’esperienza dei Rokes tornò in UK e divenne un autore di grande successo (Sylvie Vartan, Joe Dassin, Freda, Middle of the road, Francoise Hardy, Demis Roussos).
Nei crediti ho visto il nome di un altro ex Rokes, quello di
Bobby Posner…
Anche con Bobby c’è una profonda amicizia e una grande passione per il rock and roll. Da un po’ di anni vive in Italia e così almeno regolarmente ci ritroviamo da me in studio a suonare e a ... ricordare: una persona fantastica!
La title track riporta alla nota “Mr Tambourine Man”, con
l’arpeggio iniziale alla “Byrds”, cioè il brano che avete usato come bis nella performance
savonese: cosa lega te e Mike a quel pezzo?
Ho voluto inserire quel riff di Rickenbacker 12 corde per puntualizzare che il “sound” del mio album voleva essere quello di un disco “vero”, tutto “suonato”, senza elettronica, e mi sembrava che non ci fosse nulla di più caratteristico di quel “riff”.
Mi piace cercare la concettualità in ogni album e anche in
questo caso mi viene spontaneo trovare il fil rouge, ma vorrei sapere il tuo
punto di vista sul collante che lega le varie tracce e quale sia l’esigenza
personale che ti ha portato alla creazione del progetto.
Il brano “Summer love” ha chiari riferimenti storici e lo
utilizzo per chiederti… come hai vissuto quegli anni in cui eri adolescente e
che influenza hanno avuto su di te?
La mia generazione è stata davvero fortunata. Sogni di libertà, pace, musica e amore. Come una lunga interminabile “estate”. Sì, mi sento davvero fortunato. La mia “visione della vita” non è mai cambiata, nonostante quello che sta succedendo oggi.
Un’ultima cosa… pensi che potrà esserci occasione per
proporre dal vivo “The singer of the band?”.
Nonostante l’album sia stato presentato ormai da mesi, in
effetti non ho ancora iniziato una promozione vera. La sto organizzando a breve
perché è arrivato il momento di dedicare il mio tempo al pubblico. Quindi per
l’ennesima volta canterò e suonerò dal vivo e sicuramente con i miei “amici
storici”. Questa è la mia vita.