Alessandro e Gian Pietro Seravalle, ovvero Officina F.lli Seravalle, aggiungono un quarto
atto alla loro discografia: il titolo è “Ledrôs”.
Il loro pensiero, snocciolato nello svolgimento dell’articolo,
risulta fondamentale per comprendere appieno i significati e gli intenti del
progetto, perché appare difficoltoso - almeno per me - dare il giusto risalto ad un album che ha
bisogno di decodificazione per poter essere apprezzato a fondo, conoscendone i
dettagli e avendo chiarezza degli intenti che hanno guidato gli autori nella
nuova esperienza.
Trattasi di una sorta di concept che chiude la trilogia
iniziata con “Tajs!” e proseguita con “Blecs”, termini friulani
che corrispondono alle parole “Taglio, Rattoppo”, mentre l’ultima
“traduzione” riporta al significato di “Rovescio”.
Ma è su quest’ultimo termine che occorre soffermarsi, immaginando
che sia utilizzato per invertire il normale punto di vista umano, rivolgendo lo
sguardo verso noi stessi, con una osservazione di tipo immateriale che può
portare alla comprensione, all’accettazione, al rispetto e probabilmente alla
crescita. Ma esiste anche una perlustrazione più fisica, che lega la conoscenza
perfetta del proprio corpo a reazioni ingiudicabili dall’esterno.
E poi troviamo anche un’altra chiave di lettura, quella che “ribalta”
il pensiero comune, l’ortodossia, il pensare codificato che impone regole e
ruoli.
Tutto questo ha mosso i Seravalle nella creazione di un disco
che, come sempre accade in questi casi, resterà per pochi, e di questo sono consci.
Ma al di là dell’intellettualismo che muove le trame di “Ledrôs”,
esiste l’aspetto musicale che mi pare davvero variegato e fruibile anche senza
la continua didascalia.
Gli autori definiscono la loro musica etichettandola come
esempio di “eterogenea omogeneità”, un accostamento contrastante ma spiegabile
con una serie di proposte molto variegate tra loro - e qui risiede l’eterogeneità
- ma filtrate e modellate dalle due figure di garanzia - gli autori - che vigilano, si muovono e selezionano affinché agisca efficacemente il collante che deve mantenere
assieme i singoli episodi.
La libertà - controllata - predomina, con l’elettronica che
si miscela all’avanguardia, la musica progressiva al jazz, passando per una
buona dose di sperimentazione.
Il termine da loro coniato è “musica officinalis”, ma nell’intervista
a seguire tutto si chiarirà.
L’effetto sorpresa è salvaguardato, e ad ogni giro d’angolo
si incontra ciò che non si aspettava di vedere/ascoltare, ma non penso l’obiettivo
abbia a che fare con la capacità di stupire, ma piuttosto si voglia dare seguito
ad esigenze personali, urlando la propria visione del mondo con la frustrazione
- almeno credo - che la condivisione seguirà una via contenuta, se rapportata
alle reali possibilità.
Ho ascoltato la prima volta “Ledrôs” nel corso di un
viaggio, in totale solitudine, potendo così godere dei particolari che emergono
quando si ha la possibilità di concentrarsi. Nei successivi due ascolti ho
pensato che l’album potrebbe essere vissuto, anche, con una certa semplicità,
lasciandosi andare.
Qualunque sia la fruizione… un gran lavoro, in mezzo a tanta
mediocrità.
A fine articolo propongo un video estratto dell’album.
L’intervista…
“Ledrôs” è il vostro quarto album: che cosa lo
lega ai precedenti?
Credo
sia individuabile una certa continuità nel metodo di lavoro che ci siamo
dati. Il rimbalzo d’idee da uno all’altro è alla
base della struttura stratificata delle composizioni. Questo metodo causa
sovente una profonda metamorfosi dell’idea di partenza, talvolta, dopo essere
passati attraverso questo processo ricorsivo, i brani ne escono completamente
trasfigurati rispetto al nucleo generativo del brano stesso. Solo per fare un
esempio: “Sublime futilità”, nasce come una composizione
puramente timbrica e, mediante la procedura di cui sopra e grazie anche all’intervento
alle trombe e al flicorno di Zeno Tami, per dire quanto anche gli ospiti, cui
lasciamo libertà totale, abbiano la possibilità d’incidere in questo sviluppo, diventa qualcosa di
completamente diverso, assolutamente irriconoscibile rispetto a quando il puro
timbro che la costituiva è entrato nel meccanismo di “rimbalzo”
e di stratificazione. Questo da un punto di vista strettamente musicale. Concettualmente invece Ledrôs costituisce, con le due opere precedenti “Tajs!” e “Blecs”, una sorta di
trilogia.
Si tratta di concept album di tipo, diciamo così, non narrativo. Quello che intendo è che il collante non è una
storia (come può essere The lamb lies down on
Broadway dei Genesis ad esempio), ma la proposizione di diversi aspetti di
un medesimo concetto portante. In questo senso decisive sono le brevi
presentazioni che compaiono nei libretti dei dischi cui rimando i lettori. Sono
quelle che stabiliscono il mood teorico-speculativo di base dei singoli dischi
riassunti in una singola parola friulana dai titoli. Dunque, la nozione di
“taglio” in tutte le sue possibili declinazioni (taj in friulano significa
esattamente questo), quella di “rattoppo” (blec in friulano) e quella di
“rovescio” (ledrôs).
Mi
racconti l’idea, il pensiero, i concetti che si celano dietro ad una proposta
come “Ledrôs”?
A questo
punto mi stimoli a riportarti le note di copertina di cui sopra perché, dopo averle meditate per qualche tempo, le trovo
sufficientemente esaurienti ed esplicative: «Ledrôs è il friulano per “rovescio”. L’idea che percorre l’opera
(per fuggire in differenti direzioni in barba al principio di non
contraddizione visto qui come simbolo del “dritto” che critichiamo) è duplice:
da un lato lo sguardo che si rovescia verso l’interno, rapidi raggi di tenue
luce illuminano gli anfratti interiori, occhi indagatori catturano luci oscure,
secrezioni (non soltanto biochimiche) e silenzi del corpo (G. Ceronetti), come
pure manovre evasive, inchiostri di seppia che nascondono alla vista e
proteggono colui che ci abita (B. Gracián); dall’altro il ribaltamento del
pensiero comune. E così la chiaroveggenza diventa nefasta (E. Cioran) mentre la
futilità diviene sublime (O. Spengler), Prometeo mostra il suo volto atroce e
chiama il suo negativo (di nuovo Cioran), i ricchi completano la loro
rivoluzione nascosta ai danni di coloro che niente possiedono (W. Brown),
Oblomov (I. Gončarov) si staglia a modello per un’umanità che, a causa della
sua brama di azione, prepara la propria autodistruzione e avvelena la biosfera
mentre il pianeta Terra, indifferente al destino di ogni essere vivente,
continua tranquillamente a orbitare… e poi digressioni più o meno distanti… autostrade,
bizzarri luoghi di stordimento, il vino e le volute di fumo, la fabbrica, la
più bella tra le città… unitevi a noi in un volo radente e rovesciato su
paesaggi imprevedibili.
Dal
punto di vista meramente musicale come definiresti il vostro nuovo lavoro?
Definire
non è mai operazione semplice. Vorrei dunque utilizzare un
ossimoro in quanto lo ritengo l’artificio retorico più adatto, insieme forse alla metafora, per tentare di cogliere
qualche atomo di verità. Mi richiamo quindi a una
“eterogenea omogeneità”. Il disco presenta soluzioni
musicali tra le più distanti, si passa dall’avanguardia
con richiami alla musica colta post-weberniana di Di refosco e di ghigno, alla techno
di Retinal fetish, alla fusione di
queste due istanze (Vignesia, il cui
videoclip è stato curato da Selene Caisutti,
figlia maggiore di mia moglie), dal chill-out
de Il silenzio del corpo al jazz-rock
alieno di Néfaste clairvoyance
e L’antiprometeo passando per il progressive rock di A4 – driving the moon home e Terzo
turno, il rock elettronico di Elogio
di Oblomov e Stealth revolution,
il soul di altre galassie di Sublime futilità e la dark-ambient di Jibias de interioridad. Ovviamente queste etichette sono puramente
didascaliche, i generi, ammesso che esistano, qui si avviluppano l’uno
sull’altro, s’intersecano, figliano creature estranee. L’omogeneità è invece
garantita dalle nostre personalità artistiche che, in modo del tutto spontaneo
e direi anche inevitabile, filtrano, macinano, digeriscono e rielaborano in
modo peculiare quelle che vengono chiamate “influenze”, restituendo poi
un’opera che, auspicabilmente, è segnata da un grado di originalità (e di
autenticità che le due cose vanno spesso di pari passo) non indifferente.
Elettronica,
sperimentazione, avanguardia… esiste un’etichetta che vi pare calzante per descrivere
la vostra musica a chi non la conoscesse?
Proprio
in virtù dell’impossibilità di applicare un’etichetta univoca alla nostra musica ci
siamo inventati l’idea di musica
officinalis, espressione che compare in una sorta di manifesto che scrivemmo
all’epoca del primo disco (Ûs frais cros fris fics
secs). Ecco
un estratto: “…è musica eterogenea, mai disposta a riposare su
posizioni acquisite, dallo stile volutamente zigzagante. Niente linee
predefinite qui, ogni impulso all’operare
è accolto e trasformato in musica, ogni sensazione diventa occasione per un
viaggio sonoro. È musica officinalis, dotata di proprietà terapeutiche,
cura contro le derive logoranti della vita quotidiana”.
Esiste
all’interno di “Ledros” una traccia che può essere considerata rappresentativa
dell’intero disco?
Direi
proprio di no proprio in virtù dello “zigzagare” di cui sopra.
Certo ci sono brani un po’ più “convenzionali” (consentimi il
virgolettato) e altri invece totalmente inauditi, nel senso etimologico del
termine. Si tratta di composizioni che non potevano che erompere che da noi due
e che non trovano paragoni possibili in dischi di altri artisti, o almeno io,
che pure sono un ascoltatore onnivoro, non ne sono a conoscenza. In questo
senso credo che Di refosco e di ghigno,
senza dubbio il brano più ostico del lotto, sia paradigmatico.
Tuttavia, non direi che sia più rappresentativo di altre composizioni
presenti nell’opera.
Ne
approfitto per chiederti qual è il tuo/vostro giudizio lo stato attuale della
musica: ci sono spazi e speranze per la proposta di qualità?
Sono un
pessimista cosmico e tuttavia ritengo che qualche spazio ci sia. Naturalmente
poi bisogna capire quali siano le aspettative. Se ci si aspetta che un progetto
avantgarde come il nostro posso
assurgere non dico a fenomeno di massa ma, anche solo trovare spazio in una
scena di nicchia troppo spesso purtroppo sclerotizzata come quella del rock
progressivo vuol dire che si vive su Marte. E tuttavia il semplice fatto che io
stia qui a parlarne con te implica che uno spazio di manovra, benché estremamente risicato, esiste. Certo, sfortunatamente la
musica è la forma d’arte, assieme forse al cinema, che più di ogni altra a subito il pernicioso fenomeno di
mercificazione di cui già nel 1949
parlava Adorno.
Si tratta di costruirsi delle “nicchie ecologiche” in cui far prosperare la
musica come forma artistica espressiva e terapeutica e di non lasciarsi toccare
dalla frustrazione. Una cosa sono i prodotti musicali non dissimili da un
detersivo, dunque mera merce, un’altra le proposte miranti a espressione e
autenticità. Tenendo questi due mondi ben
separati non c’è frustrazione alcuna nel vedere il
becerume trionfare. In questo senso, come del resto insegna Robert Fripp, il
dilettantismo (ancora una volta si colga la parola nel senso etimologico) è un’ottima risposta.
Esiste
una band o un artista che vi ha più di altri influenzato nella costruzione del
nuovo album?
Sono
fermamente convinto che l’originalità assoluta sia una chimera, nemmeno
Arnold Schönberg è stato “assolutamente originale”. Tutti veniamo da un
retroterra, subiamo influenze, siamo immersi in un mondo. Tuttavia, ritengo
anche che le influenze non debbano essere un fatto voluto, non si dovrebbe
comporre alla maniera di qualcuno, esse dovrebbero agire in modo carsico,
sotterraneo e del tutto inconscio. Suppongo che per Officina funzioni esattamente così e dunque che queste suggestioni, certamente presenti,
emergano involontariamente ed è questo aspetto a garantire la nostra
originalità, ben inteso relativa, rispetto a
troppa musica costruita con gli stampini che disgraziatamente imperversa anche
nell’underground e non soltanto nella
musica mainstream di consumo.
Come lo
pubblicizzerete?
Molto
semplicemente grazie alla benevolenza e all’attenzione di persone come te (ti
prego di credermi, non si tratta di una sviolinata). Ogni occasione per far
conoscere il nostro approccio alla musica è
benvenuta. Quindi recensioni, interviste, apparizioni in radio o in televisione
sono il mezzo d’elezione per promuovere una musica che, a ben guardare, non è così “difficile” come si sarebbe propensi
a pensare. Il fatto che Officina F.lli
Seravalle non rinunci praticamente mai all’elemento groove fa sì che anche gli esiti timbricamente o
compositivamente più sperimentali si vestano in modo tale
da poter davvero essere gustati da chiunque. Si tratta soltanto di “dare una
possibilità” a qualcosa che esca dal solito
seminato. Se i grandi gruppi progressive
del passato non avessero osato allontanarsi dai cliché allora imperanti non avremmo avuto i grandi capolavori che
tutti amiamo. Se insisteremo a riproporre quei modelli non faremo altro che
tradire lo spirito del rock progressivo a vantaggio di una pedissequa
riproposizione della sua lettera. Non mi sembra una scelta illuminata.
Vista la
presenza di “guests”, un album come “Ledros” può essere riproposto facilmente
dal vivo?
Senza
dubbio la presenza di ospiti complica ancora più una faccenda già molto complessa a causa delle molte
sovraincisioni di cui io e mio fratello siamo protagonisti. La verità è che Officina F.lli Seravalle non è
interessata a proporre un classico concerto frontale, col gruppo sul palco e il
pubblico, appunto, di fronte. Saremmo invece attratti dall’idea, invero più o meno inattuabile in termini economici, di realizzare uno
spettacolo multimediale che coinvolga immagini, danza, video-art e action painting senza che noi si debba
per forza essere sul palco. Vorremmo invece starcene tra il pubblico senza
suonare, con la musica che esce così com’è stata concepita dai diffusori direttamente dal disco. Una
fantasia forse…
Officina F.lli Seravalle – Ledros
Label: Officina F.lli Seravalle – Ledros
ZeiT Interference – ZEITCD015
Format: CD, Album
Country: Italy
Released: 2022
Genre: Electronic, Rock
Style: Prog Rock
Tracklist
1-Elogio di Oblomov-5:02
2-Di Refosco E Di Ghigno-8:42
3-Il Silenzio Del Corpo-5:10
4-Nefaste Clairvoyance-5:01
5-Vignesia-3:32
6-A4
- Driving The Moon Home-3:36
7-Stealth
Revolution (from The Top Down)-6:29
8-L'Antiprometeo-6:02
9-Sublime Futilità-5:00
10-Retinal Fetish-4:53
11-Jibias
de Interioridad (against The Eye Of The Lynx, The Ink Of The Cuttlefish)-2:54
12-Terzo Turno-4:13