Oggi è il compleanno di Bill Bruford:
un po’ di tempo fa lo ricordavo con le parole a seguire, raccontando qualcosa del suo fantastico book, che suggerisco a tutti gli appassionati di musica.
Sono passati alcuni anni, ma certe cose non invecchiano, e consiglio vivamente di leggerlo, per saperne di più sulla vita dei batteristi e dei musicisti in genere...
“Questo libro non avrà raggiunto il suo scopo se non sarà stato capace
di attirare l’attenzione sul lavoro, a tratti brillante, del variegato gruppo
di personaggi del quale racconta”.
Queste le parole
conclusive del libro “Bill Bruford,
autobiografia alla batteria” (Aereostella).
Ne ho sentito parlare
la prima volta a Roma, nel novembre 2010, quando dal palco della “Prog
Exibition” veniva pubblicizzato.
Un libro come tanti,
una biografia comune, dove si ripercorre una vita di musica, con vicissitudini
familiari, soddisfazioni e incidenti di percorso? Niente di tutto questo.
Eppure ogni
autobiografia che si rispetti, da Clapton a Emerson, ha caratteristiche ben
precise e nessuno si aspetta qualcosa di diverso!
E poi, cosa potrebbe
mai dire un batterista?
Nell’immaginario
comune il drummer ha un ruolo secondario perché lo si idealizza sempre come un
ottimo esecutore, magari stratosferico, ma che "non ha dovuto studiare perché aveva il ritmo nel sangue", e
Keith Moon è solo un esempio. Non è pensabile che chi picchia sui tamburi
sappia comporre, o possa essere un leader, o sia in grado di essere
immediatamente accostato al nome della sua band.
Phil Collins e Franz
Di Cioccio sono eccezioni, come capita in ogni rappresentazione del quotidiano,
ma non ci sono molti altri esempi.
Earthworks
Questa che potrebbe
essere una mia valutazione personale, e quindi criticabile, è avvalorata dal
racconto di Bruford, che rende noto che le barzellette sui batteristi non
passano mai di moda: “Com’è che chiami un
tizio che va in giro con i musicisti?”.
Il book in questione
mi è stato regalato a fine anno (ho forzato la mano scrivendo direttamente a
Babbo Natale), ma l’ho terminato da poco. In questi mesi di andamento lento non
ho perso occasione per pubblicizzarlo, con tutti e in ogni occasione, per la
mia solita voglia di condivisione.
Credo sia in assoluto
il miglior libro che abbia mai letto, rimanendo in ambito musicale.
Dopo quarant’anni di
onorato servizio Bill Bruford appende le bacchette al chiodo e sente l’esigenza
di fare un bilancio, come accade sempre quando si ritiene che sia arrivato il
momento di mettere un punto e voltare pagina. Vedremo come.
Nelle mie
considerazioni di uomo maturo ho costruito un assioma che può essere accostato
alla parola “soddisfazione”, stato d’animo che si realizza e diventa duraturo
nel tempo se si riesce a far coincidere lavoro e passione. I miei
"amori" sono due, uno di tipo sportivo e l'altro “musicale”, ma nei
miei lunghi sogni ad occhi aperti ho sempre scelto il palco, perché on stage ci
si può “vivere” per molto più tempo, obliando i limiti fisici che molto presto
arriveranno se si decide (e si ha occasione) di vivere facendo attività
sportiva. Dopo aver afferrato la crudezza di pensiero di Bruford sul cosa
significhi fare il musicista, i miei convincimenti sono crollati.
King Crimson
Un quadretto di Bill Bruford.
Esistono otto gruppi
britannici, universalmente riconosciuti (a torto o a ragione) come i massimi
esponenti della rivoluzione prog di inizio anni ’70 (in ordine sparso): ELP,
Gentle Giant, Van der Graaf, Pink Floyd, Jethro Tull, Genesis, YES, King
Crimson.
Bruford è l’unico ad aver fatto parte di tre di loro, YES, Crimson e Genesis (anche se è stata una breve apparizione), seguito da Greg Lake (Crimson e ELP). E poi Gong, UK e Eartworks.
Bruford è l’unico ad aver fatto parte di tre di loro, YES, Crimson e Genesis (anche se è stata una breve apparizione), seguito da Greg Lake (Crimson e ELP). E poi Gong, UK e Eartworks.
Eartworks significa
jazz, il vero amore di Bruford, il gruppo da lui costituito dopo vent’anni di
rock e a cui ha dedicato altri vent’anni, nonostante sia musica da “fare la
fame”.
Improponibile il
paragone tra due mondi, rock e jazz, tra due stili di vita, tra due tipi di
compensi, tra differenti attenzioni da parte di pubblico e ambiente, tra
opposti luoghi di esibizione, tra tipologie di tournée.
Tutto questo è ben
sviscerato in un libro dal tratto colto e a sprazzi difficile da interpretare.
Un plauso va alla
traduttrice, Barbara Bonadeo, che ho cercato invano sul web, sentendo l'obbligo
di complimentarmi con lei.
Ma perché mai un uomo
“retto” come Bill Bruford decide di smettere?
Relativamente giovane,
in buona salute, mai vittima di eccessi, con una famiglia regolare, con la
stessa moglie di un tempo lontano, con buone amicizie… perché pensare di
dedicarsi solo al riordino degli immensi archivi personali, fatti di migliaia
di registrazioni sparse e accantonate nei cassetti più disparati?
Ecco una traccia
interessante.
“Un’altra città si risveglia. Vancouver? Taipei? Chicago? Persino prima
di colazione ho troppo tempo per ruminare su questo rapporto che si sta
guastando. Ultimamente litighiamo io e la mia batteria. Lei è troppo esigente.
Credevo fosse inerte, se non ci suonavo sopra. Credevo fossi io a insufflarci
dentro la vita e poi a tirargliela fuori, mentre lei se ne stava li immutabile,
riconoscente. Lei che è il mio riflesso, e che era stata giovane, vivace,
bella, e soprattutto sicura di sé, ora sembra un’ombra di ciò che è stata. Oh,
certo, quando usciamo insieme, in mezzo alla gente, tutto sembra andare per il
meglio. Siamo la coppia perfetta, io e la mia elegante Starclassic Bubinga. Lei
è così affascinate nel suo nero totale con intarsi dorati, tutta in ghingheri.
Danziamo per le telecamere con grazia infinita, sotto sguardi ammirati. Ava
Gardner e il suo Frank Sinatra. Io suono, e la mia batteria canta dolcemente.
Ma sotto le apparenze il nostro rapporto è corrotto fino al midollo. I
millecinquecento montrealiani non sospettano niente, insieme abbiamo appena
regalato loro uno spettacolo fantastico: rimarrebbero sconvolti nel sapere che,
in realtà, la nostra storia d’amore mi sta indebolendo, che non reggo più le
sue continue richieste. Qualcuno dovrà cedere”.
Milioni di chilometri
percorsi, migliaia di performance di ogni genere, infinite interviste, enormi
discussioni, compromessi ad ogni angolo, obblighi superiori ai piaceri,
indigestioni di jet lag e tanto altro che nella vita di un comune mortale
significano semplicemente stanchezza e voglia di serenità, fattori meno
importanti in molti dei periodi della nostra vita, ma determinanti nel momento
della saggezza.
Ma il book è molto più
completo (e nemmeno troppo sentimentale) di come lo potrei descrivere io.
La struttura è davvero
inusuale e Bruford suddivide i vari capitoli partendo da domande che pone a se
stesso, del tipo… “Com’è lavorare con
Robert Fripp?”, “Perché hai lasciato
gli YES?”, “Vedi ancora gli altri?”,
“Dove prendi il tuo fantastico sound?”.
Bruford risponde a
delle semplici e disarmanti questioni con risposte tutt’altro che semplici, probabilmente evitate con cura per tutta la vita.
Alla domanda casuale:
“Ma tu che lavoro fai?”, e alla ovvia
risposta “sono un musicista”, di
solito segue: “Sì, ma di giorno cosa fai?”.
Dice Bill: "Io ho trovato una via di mezzo. Ho
lavorato duro in prima linea nell’Industria Dell’Umana Felicità per quarantuno
lunghi e più che altro piacevoli anni, e vi assicuro che gran parte del lavoro
l’ho fatto di giorno”.
Quattrocento pagine
per raccontare la storia della musica secondo un uomo che l’ha vissuta in modo
completo, contribuendo a innovarla, soprattutto nella sua principale
specialità, quella delle percussioni.
Un musicista rock e
jazz, di estrazione borghese, che non ha avuto bisogno di una fase di
autodistruzione per trovare un ruolo all’interno del circo della musica, con
una vita tutto sommato semplice, ma piena di significati e soddisfazioni.
Sarebbe un vero peccato non divulgare al massimo il verbo di Bill Bruford!
Io l’ho fatto, lo sto
facendo e lo farò, consigliando il libro a molti musicisti e appassionati di
musica, ma anche a genitori “in possesso” di figli aspiranti musicisti.
GENESIS
Un mio collega, papà di un bravo batterista prossimo alla maturità
scientifica, mi ha confidato che, vista la crisi in ogni tipo di settore
lavorativo, non disdegnerebbe una carriera musicale per il proprio pargolo.
Mentalità molto aperta.
In linea di principio
mi sembra una buona cosa quella di perseguire (e lasciar perseguire) un sogno,
anche se difficile (ma non impossibile) da realizzare. Però… gli ho consigliato
vivamente: ”Bill Bruford, autobiografia
alla batteria”, e so che è andato alla sua ricerca nella biblioteca più
vicina a casa.
La lettura potrebbe
sortire due effetti, uno opposto all’altro, ma penso valga sempre la pensa
avere le idee chiare, e poi magari decidere di rischiare. Non sarà certo un
libro scritto da un “antico” musicista inglese, che tutto ha visto e tutto ha
avuto - ma lontano mille miglia dalla "normalità"- a influenzare il
giovane in questione, ma qualche riflessione sui differenti aspetti della vita del
musicista sicuramente arriverà, e in questo senso il book di Bruford ha
davvero una marcia in più, quella della didattica, da accompagnare alla
altrettanto importante oggettività degli avvenimenti raccontati.
Alcuni amici romani,
hanno intervistato telefonicamente Burford e mi hanno concesso l’utilizzo di
uno stralcio della chiacchierata, quello relativo al libro autobiografico.
Intervista per il terzo degli speciali sulla carriera di Bill
Bruford andati in onda nel programma radiofonico "Il Sabato di Punto d'Incontro" di TRS Radio.
Giampiero Frattali pone a Bruford domande di Glauco
Cartocci e Donald McHeyre.
Ascoltiamo...