Il 18 maggio, alla
libreria Ubik di Savona, ho avuto l’opportunità
di introdurre al pubblico presente un grande artista, che conoscevo per la sua
arte, ma non avevo mai avuto modo di avvicinare personalmente: Beppe Gambetta,
di mestiere chitarrista, anche se il termine appare assai riduttivo.
Credo sia stato uno dei miei incontri più gratificanti, perché
vedere un tale musicista così da vicino, tra parole e musica, mi ha davvero toccato,
anche se lo spessore umano è quello che alla fine risalta maggiormente, e la
reazione del pubblico, presente in dose massiccia, conferma le mie sensazioni.
La filosofia che permea l’attività di Gambetta mette in evidenza
il ruolo dell’artista, non solo come performer, ma come veicolo per la
tessitura delle relazioni umane, concetto basico ma spesso poco considerato,
sostituito spesso dalla voglia di visibilità a tutti i costi.
E non è un caso che i suoi “personaggio guida” siano stati
uomini che attraverso la loro arte sono stati capaci di favorire la
progressione in ambito sociale, e tra quelli dal lui conosciuti vengono citati
Fabrizio De Andrè e Pete Seeger.
Gambetta è genovese - chitarrista in primis ma autore,
arrangiatore, ricercatore e molto altro -, abituato a vivere la maggior parte
del suo tempo in America - ha una casa nel New Jersey -, luogo in cui le sue
passioni trovano pieno compimento nel mondo folk, anche se appare chiaro che è,
anche, una necessità quella di vivere in un luogo dove il musicista è
considerato “uno che lavora”, pensiero cancellato da tempo dalle nostre parti.
Non è tutto semplice neanche negli Stati Uniti, perchè come
lui racconta… “… se sbaglio un concerto
la volta dopo i presenti si riducono…”, ma l’audience esigente è quella che
permette il miglioramento continuo.
Maestro nella particolare tecnica del flatpicking, nel corso
della presentazione ha permesso di chiarire alcuni concetti legati alla sua
attività, alla sua tecnica, al suo ruolo che permette di unire radici, culture
e tradizione di differenti continenti, sino ad annullare il concetto di
spazio/tempo, come accade solitamente in ambito artistico, soprattutto in campo
musicale.
Parte del suo pensiero - briciole della sua musica - è compreso
nel video che propongo a seguire, sintesi di quanto accaduto.
Ma qual è stato il motivo dell’incontro?
Gambetta è molto legato a Savona, città in cui ha insegnato e
dove ha trovato diverse forme di collaborazione, ed è questo alla base del suo
ritorno dopo molti anni per la proposizione di un progetto ambizioso denominato
“Odore di mare misto a maggiorana leggera” -
frase tratta dal brano “A Cimma” (De
Andrè e Fossati) - ovvero “ Poesia e
metafora del cibo nelle canzoni di Fabrizio de Andrè”, contenitore che
presenta un percorso particolarissimo, quello che nel comunicato ufficiale è
così definito: “Inoltrandosi nei testi di
Fabrizio De Andrè, Beppe Gambetta ha costruito un percorso in cui il cibo
acquista significati diversi, storici e metaforici. Si va dai profumi delle
osterie della Città Vecchia, al brodo di farro dei galeotti, ai gatti mangiati
per fame durante l'assedio di Genova. Si canta anche di cibo in senso evangelico
(Il Pescatore), oppure erotico (Jamin-a), e, in canzoni diverse, si trovano
tante altre metafore, come quella della "vecchiaia che ti pesta nel
mortaio" o la critica al capitalismo nel menu in tedesco
"maccheronico" del finale di "Ottocento".
Non un opera di coverizzazione quindi, ma un itinerario
culturale ben preciso e inusuale, che andrà in scena il 24 maggio al Teatro Chiabrera di Savona, serata che si preannuncia
imperdibile, con l’ausilio sul palco del contrabbassista jazz Riccardo Barbera.
Avrei passato ore a chiedere e a curiosare, viste le passioni
comuni (ho scoperto che eravamo presenti ad un concerto genovese nel 1972!),
che vanno dalla chitarra all’America, ma i tempi tecnici pongono dei limiti
naturali.
Beppe Gambetta, utilizzando il suo modo espositivo affabile,
ricco di aneddoti ed esperienze, ha strappato più di un sorriso, affascinando e
regalando grandi esempi con la naturalezza e la semplicità che solo i grandi
posseggono.
E ora la mia speranza personale è quella di vedere un Teatro Chiabrera
gremito per un evento che si preannuncia di estrema qualità, una serata la cui
organizzazione è ricaduta in toto sulla “famiglia Gambetta”, un regalo alla
città che dovrebbe essere compensato dalle presenze perché, come è emerso nel
corso della chiacchierata, l’artista cattura energia positiva dal giusto
pubblico, una forza capace di rimbalzare per ritornare al mittente, una sorta
di circolo chiuso che determina solitamente il concerto perfetto.
Da questo spazio racconterò il prossimo atto, anche se l’anticipazione
è stata di grande conforto.
Una serata indimenticabile… eccone alcune pillole…