La collaborazione tra l’associazione
Vincebus Eruptum di Davide Pansolin e il Beer Room di Pontinvrea, nell’entroterra savonese, riporta nelle nostre zone una
band decisamente di nicchia ma dal passato importante, un’esperienza musicale
che dura da 25 anni, i Vibravoid.
Ho sottolineato un ritorno in
Liguria, ma il feeling tra il gruppo tedesco e il pubblico italiano è decisamente
consolidato, segnale che si può ad esempio cogliere leggendo la discografia
che, nel 2013, evidenzia il titolo di un album nella nostra lingua, “Delirio dei sensi”.
L’attualità è rappresentata dal
nuovo disco, “Wake up before you die”, ma da quanto ho potuto vedere/ascoltare un
loro concerto va vissuto, almeno una volta, indipendentemente dalla tipologia
dei brani proposti.
Proviamo
ad inquadrarli.
Attivi
sin dal 1989, i Vibravoid
scelgono una strada che non abbandoneranno più, fatta soprattutto di musica psichedelica,
cioè quella che loro definiscono “… la madre di tutta la musica moderna”.
Ciò
che propongono è qualcosa che arriva direttamente dagli anni ’60 e che si ferma
nel 1970, un periodo in cui anche l’utilizzo delle droghe era idealizzato e
messo al servizio della creatività musicale. Non è un caso che uno dei loro
amori psichedelici iniziali, i Pink Floyd, perda interesse nel momento in cui Syd Barrett sparisce dalla scena.
A
giudicare dall’assidua produzione e dall’importante attività live si può
affermare che la loro coerenza musicale abbia pagato.
Ma
perchè questo avvenga in modo compiuto e solido occorre andare oltre la musica
e sposare l’ideologia, uno stile di vita che tiene conto di concetti antichi,
magari semplici, messi rapidamente nel dimenticatoio con l’etichetta di
utopistici. Mi riferisco a quel movimento un tempo chiamato “Peace & Love”
così ben incarnato dai Vibravoid, passati e presenti.
E
basta dare un ‘occhiata al palco per rendersi conto della loro dimensione di
vita e ipotizzare che cosa sta per arrivare, sottoforma di sunto sonoro e
visivo.
Strumentazione
vintage, colori e fiori, immagini che emettono profumi antichi.
Alle 22.30 il trio inizia un concerto che durerà una paio di ore, ed forse per l’ora tarda che non è andato in scena il rito del bis… ma ciò a cui hanno partecipato i presenti sarà comunque impossibile da dimenticare.
Un
esempio che calza a pennello con la loro idea di performance risiede nella mia
banale domanda iniziale e nella conseguente risposta, la richiesta di una “scaletta” da inserire nel commento
al concerto, ma… non esiste scaletta, si improvvisa!
Il
loro repertorio si miscela ad amori universali e conosciuti, e così tra i vari
passaggi ritroviamo anche il mito di
Barrett e gli Iron Butterfly.
Brani
dilatati all’inverosimile, suoni d’altri tempi, virtuosismi solistici,
distorsioni lancinanti (la pedaliera del cantante e chitarrista Christian Koch è tanto incisiva quanto
bella da guardare)...
… ampli
Vox valvolari, e persino un mini theremin che contribuisce a infiammare la
scena.
I
volumi sono alti - almeno per le mie orecchie - ma anche questo è elemento imprescindibile.
Dario Treese si accolla un grande lavoro tastieristico,
recitando anche la parte del basso, impegnato in trame che riportano a Ray Manzarek, mentre Frank Matenaar conduce i ritmi
lasciandosi spesso andare in passaggi di largo effetto.
L’idea che rimane è quella che lanciato l'input il resto venga naturale, e probabilmente ogni volta nasce un pezzo
unico e mai paragonabile a sé stesso: il medley che propongo a
seguire risulterà rappresentativo della serata.
Prima dell’inizio del concerto, a
domanda specifica relativa alla qualità del gruppo, Davide Pansolin rispondeva in modo sufficientemente criptico: “… è un’esperienza che bisogna fare!”.
Concordo con Davide, valeva la
pena esserci!