Black Widow Records-2016
Secondo
album per i romani INGRANAGGI DELLA
VALLE, giovani e sorprendenti uomini prog.
Il titolo è WARM SPACED BLUE.
Non mi pare
interessante appiccicare un’etichetta musicale a prescindere, ma credo fosse un
obiettivo iniziale il ritaglio di uno spazio laddove esiste la massima libertà
espressiva, un luogo ideale in cui tutte le culture personali possono adattarsi
e rilasciare una materia di sintesi, miscelata e di pieno appagamento per chi contribuisce
con idee e sudore.
Ne emergono,
in questo caso, poco meno di 50 minuti di musica incredibile, non certo di
immediata assimilazione, ma di quella che io definisco appagante.
Sono
cambiate molte cose dall’iniziale “IN HOC SIGNO”, ma appare fondamentale un passaggio che viene
sottolineato nel corso dell’intervista a seguire: se il primo album era quello
del tributo ai “maestri” seminali, in questo nuovo episodio si libera la fase
creativa personale, come dovrebbe accadere in ogni processo evolutivo serio e
ambizioso.
E’ un disco
che si può centellinare e godere in tutta tranquillità, ma l’aver visto recentemente
dal vivo gli IDV mi rende testimone di
qualcosa di difficilmente spiegabile a parole, uno status che per la verità non
avevo raccolto in un episodio precedente, quando si esibirono sul palco del
FIM, nel 2014. Nella nuova occasione - era lo scorso novembre e veniva
presentato ufficialmente il disco, nuovamente a Genova - ho potuto apprezzare dettagli
che emergono solo dal vivo, ma ciò che mi ha colpito maggiormente è l’esperienza…
fisica che ho vissuto, un coinvolgimento totale dei sensi attivati all’unisono,
un effetto sinestesico che avevo provato raramente: mi pare sia degna di sottolineatura una situazione in cui la razionalità resta chiusa nel cassetto ed emergono sensazioni
che oltrepassano ciò che normalmente ci regala la musica!
Restando
sul lavoro in studio, possiamo parlare di un filo conduttore che lega le varie
tracce - sette - con una suite che raccoglie i tre brani Call
for Cthulhu, “che emergono dal corpus letterario di H.P. Lovecraft”, ma ogni
brano lo si può considerare una creazione a sé, e la fruizione mi è apparsa
meno rigida di quanto potrebbe richiedere un normale concept.
L’arricchimento
della formazione ha sicuramente dato nuova linfa in termini di varietà, e la sensazione
è che esista oggi una grande possibilità tecnica che può essere messa a
disposizione del chiaro obiettivo della band. Tra tanta tecnologia e
adattabilità agli elementi basici del genere, emerge l’elemento vocale che mi
arriva come strumento supplementare, duttile e carico di differenti
sfaccettature.
Nelle
seguenti righe è possibile afferrare il pensiero dei protagonisti, gli elementi
oggettivi e gli ospiti presenti, ma mi premeva provare a dare un’impressione di
insieme, per un lavoro notevole, realizzato da un ensemble musicale che mi pare
abbia idee chiarissime e che merita uno
spazio significativo nel panorama prog internazionale… sì… questi musicisti
potrebbero davvero stupire anche chi
solitamente dichiara di avere un palato fine!
L’INTERVISTA
Sono passati quasi tre anni da quando commentai
il vostro album di esordio, “IN HOC SIGNO”, ed è di pochi mesi fa l’uscita del
vostro secondo lavoro, “WARM SPACED BLUE”: come si è evoluta la vostra musica
in questo periodo?
Prima di entrare nel merito ci
teniamo a specificare che gran parte delle
scelte stilistiche è stata compiuta in funzione di un nostro nuovo
approccio alla composizione, maturato nei tre anni di esperienza intercorsi tra
l'esordio e questo secondo album; se c'è stata un'evoluzione, la si deve
soprattutto ad un nuovo modo di scrivere la musica.
In "In Hoc Signo" la composizione ci risultava essere uno
strumento al servizio della volontà di riprodurre le sonorità e gli stilemi del
Progressive Rock, al fine di tributare lo storico genere riproponendone le
atmosfere ed i tipici cliché.
"Warm Spaced Blue" è invece il risultato dell'elevazione della
fase compositiva a principio guida dell'intero processo di produzione
artistica.
Restituire il primato alla composizione
ha comportato lo sviluppo delle tracce con spontaneità, partendo a volte da un
tema conduttore, a volte da un groove della sezione ritmica, sul quale poi è
stata arrangiata l'ensamble degli strumenti, voce inclusa, in funzione delle
atmosfere che volevamo ricreare al momento dell'ascolto.
La vostra line up è cambiata: che tipo di scelte
avete fatto? Modifiche funzionali al progetto o normali avvicendamenti?
In base a quanto detto poc'anzi, i
cambi di formazione sono stati apportati sempre in funzione alla necessità di
poter riprodurre le tracce che mano a mano iniziavano a prendere forma nella
fase compositiva, senza porsi alcun limite. A ragione di ciò, entra in
formazione Alessandro Di Sciullo, in vista della necessità di una seconda
chitarra ed una seconda tastiera nel progetto, con il quale cominciamo a
scrivere il secondo album. In corso d'opera, a chiudere la nuova formazione,
Antonio Coronato al basso, capace di un suono più scuro ed aggressivo, e Davide
Savarese alla voce (e glockenspiel), per un cantato in lingua inglese, sempre
per rispondere all'esigenza di canzoni che assumevano connotati più rock, a cui
l'italiano difficilmente riusciva ad adattarsi.
Che cosa contiene il vostro album? Esistono
messaggi precisi che volete passare?
No, assolutamente. Abbiamo posto in
esame il complicato rapporto tra Io-cosciente e Inconscio Collettivo junghiano
elaborandone degli esempi sviluppati poi traccia per traccia. Ogni brano è a sé
stante, e tratta il concept in modo differente dagli altri a seconda delle
atmosfere evocate: dalla preghiera, in forma liturgica, al racconto, parlato e
cantato.
Molti gli ospiti presenti nel disco: come è
avvenuta la scelta?
Per quanto le tracce siano separate
l'una dall'altra, tre brani compongono una suite (Call for Cthulhu) dedicata alle tematiche che emergono dal corpus
letterario di H.P. Lovecraft, sempre in linea con il concept principale
dell'album. Trattandosi di letteratura horror, non potevamo non pensare a Fabio
Pignatelli, i quali Goblin Rebirth sono per altro anch'essi una produzione
Black Widow. Il suo Rickenbacker era perfetto per come avevamo in mente
l'ostinato di "Call for Cthulhu:
Orison".
Stefano Vicarelli è ormai un amico
dal 2013, quando collaborò alla realizzazione tecnica di In Hoc Signo. Proprio per questo abbiamo deciso di registrare Warm
Spaced Blue nello STUDIOSETTE, del quale è appunto uno dei sette soci
fondatori. Durante la registrazione dell'album il suo contributo è stato
fondamentale, soprattutto per quanto riguarda la sintesi del suono di partenza
per il sequencer di "Ayida Wedo",
con il suo modulare.
Anche Paolo Lucini è un nostro caro
amico che stimiamo artisticamente, e in "Call for Cthulhu: Promise" avevamo bisogno di un flauto
traverso a tutti i costi. E' stata la nostra prima collaborazione con Paolo, e
ne siamo stati davvero soddisfatti. Ci auguriamo ne verranno anche delle altre.
Vi ho visti dal vivo al FIM del 2014 e pochi mesi
fa nuovamente a Genova, e sono rimasto colpito dal “rendimento” da palco: è la
dimensione live quella che vi dà maggiori soddisfazioni?
Nonostante concepiamo le dimensioni
live e studio come parte di uno stesso unico percorso, la riproduzione sul
palco è il contesto in cui la risposta del pubblico ci risulta più tangibile.
Fortunatamente questa risposta è stata sempre positiva, e la cosa ci spinge a
continuare a dare il meglio di noi in questo progetto, nel live come in studio.
Prosegue la collaborazione con la Black Widow:
che tipo di matrimonio è il vostro?
Troviamo che "matrimonio"
sia un'espressione particolarmente azzeccata. Spesso il rapporto tra etichetta
e artista si presenta più come la relazione che può esserci tra un genitore ed
un figlio, nel migliore dei casi. Nel nostro invece, la Black Widow ci dà carta
bianca sia sul versante compositivo che su quello promozionale. "Warm Spaced Blue" ad esempio
contiene tracce elettroniche, realizzate con campionatori. Difficilmente
un'etichetta storica al pari della Black Widow ci avrebbe permesso di osare
tanto.
Siete uno dei gruppi emergenti del mondo prog ma
lo spazio che occupate è ad appannaggio di una nicchia, felice, ma contenuta
numericamente: che cosa vi ha portato, così giovani, verso un genere così
esclusivo?
La totale libertà di espressione e
sperimentazione che lo rende un genere così variegato nel sound e nelle
soluzioni compositive. Quando concepimmo il progetto, alcuni di noi si erano diplomati
da pochi mesi, altri ancora frequentavano le scuole superiori. Il Prog era quel
genere che ci permetteva di divertirci al massimo, di spostarci da un genere
all'altro mantenendo la stessa etichetta. Oggi, per molti di noi la musica non
è più mero divertimento, ma è divenuta una professione. Tra i vari progetti a
cui partecipiamo individualmente, gli Ingranaggi Della Valle restano una delle
poche dimensioni in cui possiamo esprimerci liberamente, senza tutti quei
vincoli che caratterizzano gli ambienti di generi dai confini ben determinati.
Possiamo sintetizzare la vostra storia, la vostra
cultura specifica?
Quello che crediamo sia un nostro
punto di forza è proprio l'essere un gruppo di musicisti di differente
estrazione culturale. Alcuni di noi hanno una formazione accademica, altri da
autodidatta. Marco, ad esempio, ha conseguito studi classici, ed esercita la
propria professione in ensemble orchestrali. Alessandro vanta, tra le tante
esperienze formative, un passato nel metal-core, promosso con tour europei e in
Messico, e nell'indie rock italiano. Facciamo presente, per completare
brevemente il quadro generale formativo della band, il djent, il blues, il
rock, la musica etnica, Zappa e il Progressive Rock classico.
Il jazz moderno può considerarsi
tuttavia un comune denominatore, un punto di incontro che ritroviamo ancora
oggi al momento della composizione. Il propendere verso un approccio jazzistico
ci ha avvicinato agli albori, quando gettammo le basi del progetto, ed è stato
un fattore determinante anche nella scelta dei successivi cambi di line-up.
Mi date un giudizio generale dello stato della
musica, in relazione anche a quanto accade all’estero?
Che l'Italia non offra spazi
adeguati alla musica ne siamo tutti a conoscenza, e ce ne accorgiamo
soprattutto nel momento in cui la nostra situazione la si pone a confronto con
quella estera. Tuttavia, come già detto, il Progressive Rock è già di per sé un
ambiente che offre ben poche opportunità lavorative, non solo qui, ma anche a
livello internazionale.
Consapevoli di ciò, continuiamo a
tirare dritto con il nostro progetto, che se pur in modo contenuto, ha i suoi
aficionados, e ci permette prima di tutto di scrivere e promuovere la nostra
musica, esattamente come la immaginiamo.
Che cosa avete pianificato per l’immediato
futuro?
Siamo tornati a scrivere del
materiale inedito, con l'idea di pubblicare appena possibile un EP del tutto
sperimentale.
Sul versante live abbiamo in vista
l'importante appuntamento del 2DAYS PROG + 1 a Veruno, il prossimo 3 Settembre,
nella cui occasione condivideremo il palco con i mitici Procol Harum, i Frost*
e la nostrana Sophya Baccini di scuderia Black Widow.
Line-Up:
Davide Savarese: vocals, glockenspiel and dry
Rhodes MkV on “Ayida Wedo”
Mattia Liberati: Hammond B3, Mellotron M400,
Mellotron M4000, Fender Rhodes Mk V, MiniMoog, MiniMoog Voyager, piano and
backing vocals
Flavio Gonnellini: electric guitars and
backing vocals
Alessandro Di Sciullo: electric and acoustic
guitars, Moog Minitaur, Mellotron M400, Mellotron M4000, Roland TR 808 and TR
909, Akai MPC Touch, Korg Kaoss Pad KP 3, electronics, backing vocals
Marco Gennarini: violins and backing vocals
Antonio Coronato: electric bass
Shanti Colucci: drums and percussions
Guests:
Fabio Pignatelli: electric bass and bass
effects on “Call for Cthulhu: Orison”
Florian Lechner: narrator's voice on “Inntal”
Stefano Vicarelli: modular synthesis on
“AyidaWedo”
Paolo Lucini:
transverse flute solo on “Call for Cthulhu: Promise”