Back To The
Who Tour 51!
Forum di Assago
19 settembre 2016
Descrivere un concerto degli Who (meglio togliere l’articolo davanti!) mi costringe ad un grande
sforzo di obiettività, ma so già che difficilmente riuscirò a mantenere
l’equilibrio. E’ la seconda volta che mi capita (terza se considero il tour di
“Tommy”, di Roger Daltrey), e ancora
una volta ho avuto l’impressione di essere davanti all’essenza della musica
rock, alla vera band per eccellenza, per l’energia che riesce a liberare e per
l’entusiasmo che provoca in tutti quelli che vengono toccati dalla loro arte.
Gli Who propongono ciò che più di trasversale possa
esistere: lo sanno bene quelli che come me li seguono da 50 anni e oltre; lo
sanno bene le nuove leve che sono arrivate a loro, magari, attraverso la
colonna sonora delle svariate fiction televisive; lo sa bene anche chi va allo
stadio, negli Stati Uniti ad esempio, dove nell’intervallo di una partita di
football può capitare che una mega banda si impossessi della scena (parlo di
una vera, con trombe, rullanti e clarinetti), e invece di brani tradizionali
proponga Baba O’Riley!
Ho scritto pagine intere nel ricordo del concerto
del 2007, quello dell’Arena di Verona, ma ciò che è accaduto al Forum di Assago
non è da meno, almeno dal punto di vista dell’entusiasmo suscitato e del
coinvolgimento generale.
Davanti e intorno a me nessuno spazio vuoto, una
presenza massiccia di anime, nonostante la performance di due giorni prima a Bologna.
I rumors arrivati a seguito del primo concerto
davano un Daltrey con voce sul tendente al precario, e un Townshend
spettacolare.
E ciò che ci si aspetta alla fine arriva: una
scaletta collaudata e basata su tutta una vita di repertorio, un set con un
tempo ben prestabilito e con nessuna concessione al bis (dopo un timido
incitamento le luci si sono accese e il pubblico ha… capito!) e un ensemble
musicale da brividi, con la formazione ormai super conosciuta che prevede -
oltre a Pete Townshend e Roger Daltrey - Zak Starkey (figlio di Ringo Starr) alla batteria, Pino Palladino al basso, Simon Townshend alla chitarra, e un
terzetto che non conoscevo: i tastieristi John Corey e Loren Gold e il direttore musicale Frank Simes.
A fine articolo propongo l’intera scaletta, ma
esiste un momento preciso che vale la pena di ricordare: il quarto brano è
appena terminato (The Kids Are Alright)
e Pete annuncia il successivo con questa frase: “Questo brano è stato scritto nel 1966, quando NESSUNO, di voi ancora
esisteva!”. Boato dei presenti che, in ogni caso, dimostrano di conoscere
perfettamente I Can See For Miles.
Il palco è abbastanza lontano dalla tribuna centrale
in cui sono, ma il mega schermo centrale - che propone soprattutto immagini
storiche -, unitamente ai due laterali - dove scorrono invece sezioni di
concerto -, aiutano e sollecitano almeno un paio di considerazioni: la prima
riguarda la necessità assoluta di visual, uno spettacolo nello spettacolo, dove
i ricordi emergono copiosi, a volte dolorosi; esiste poi il grande contrasto
tra passato e presente, tra ciò che gli Who erano - ed eravamo - e il momento
contingente, un’attualità che ci spinge a riflettere sulla qualità presente on
stage, proposta da chi ha superato i 70 anni (sono Pete e Roger gli unici due
rimasti rispetto alle origini), l’unico gruppo al mondo che ha suonato a Monterrey,
Woodstock e Wight, la storia che va inscena davanti a chi storia sta per
diventare, attraverso la partecipazione.
Il video che propongo a seguire, The Kids Are Alright, mi sembra perfetto
per sintetizzare il mio pensiero.
Il compito di scaldare gli animi tocca ad una band inglese che non conoscevo,
gli Slydigs: non riesco a
concentrarmi a sufficienza, preso come sono dalla voglia di impregnarmi nell’atmosfera di serata, ma
appaiono in assoluta sintonia con ciò che
sta per arrivare e meritano un approfondimento futuro. Da indagare.
E quando appare sul mega display “Restate
calmi, arrivano gli Who”, l’emozione sale.
Alle 20:50 entrano Pete e soci, con un po’ di
anticipo che spiazza chi, dotato di biglietto numerato, ha aspettato l’ultimo
minuto.
Il giovane addetto all’ordine, a pochi metri da me,
è impalato, con le spalle al palco, e così resterà per tutta la serata,
insensibile alla musica, agli applausi, agli urli, a tutto ciò che dovrebbe
scaldare, senza la minima tentazione di girare il volto di 180 gradi, nemmeno
per un attimo: che delusione!
In compenso Finardi, una fila sotto alla mia,
dimostrerà durante il concerto la voglia di rapire una testimonianza video,
anche lui catturato da un sound poderoso.
Il concerto inizia con I Can’t Explain e l’occhio e l’orecchio si focalizzano sui due uomini
“antichi”: Pete difficilmente delude, ma mi incuriosisce lo stato vocale di
Roger Daltrey, anche perché mi resta
difficile rimuovere quanto accaduto Verona nel 2007, quando toccò a Townshend
prendere in mano le redini del gioco e portare a casa il risultato. Ma Daltrey,
a dispetto di quanto si vociferava, si scioglie col passare dei minuti, e alla
fine la sua performance - fatta anche di cura dell’aspetto scenico e microfono
al cielo, of course - sarà più che dignitosa e in linea con il “Tommy” del
passato.
Pete è scatenato e abusa di
mulinello, per la felicità dell’audience, ma è davvero un guitar hero, capace
di momenti solistici eccelsi e di parti ritmiche uniche.
La musica degli Who è in gran parte
la SUA musica!
Il fratellino Simon fa la sua bella
parte - anche vocale - mentre Zak e Pino Palladino dimostrano ancora una volta
tecnica e senso della misura, ma d’altro canto per suonare in un gruppo del
genere occorre essere super, da ogni punto di vista. E baciati dalla fortuna.
Non c’è Jonh “The Rabbit” Bundrick,
il collaboratore di sempre, perennemente defilato, ma chi lo sostituisce svolge
il compito in maniera impeccabile.
Passano i brani storici, uno dopo
l’altro, toccando opere come Tommy e Quadrophenia, pezzi simbolo come My Generation e The Kids Are Alright, sino ad arrivare all’apoteosi che tutti
aspettano, quella che conduce a Baba
O’Riley e alla conclusiva Won’t Get
Fooled Again, brano in cui Pete Townshend, nel tentativo di azione
acrobatica, si ritrova a terra, supino, con la chitarra sulla pancia.
Poco male, tutto fa spettacolo e
tutto fa godere, in questa giornata per me memorabile.
Ma non solo per me!
Non è mancata una bella nota
organizzativa, quella che ha ricordato a tutti che esiste una parte d’Italia
che è appena stata colpita da eventi tragici, che è bene avere chiari nella
mente, nonostante il momento gioioso.
Se è vero che la musica che amiamo ha un forte
potere curativo, capace di anestetizzarci per i 120 minuti di un concerto,
quella degli Who può fare molto meglio (almeno questa è la mia esperienza) e a
volte la felicità da evento è anticipata dall’attesa e si prolunga nel post
concerto, e quei brividi che spesso colpiscono alcune parti del corpo sono una
efficace medicina, di breve durata, certo, ma un vero ausilio che permette di
accantonare per un momento i disagi che
ci colpiscono nel quotidiano.
Avevo nove anni quando ascoltai per
la prima volta Substitute (in questa
occasione “dimenticata”), e sono esattamente cinquantuno anni che la musica dei
The Who (ora l’articolo davanti ci vuole!) mi accompagna: il Back
To The Who Tour 51! mi appartiene di diritto!
E mi sento anche io dentro alla
storia!
SET LIST:
1.I Can’t Explain
2.The Seeker
3.Who Are You
4.The Kids Are Alright
5.I Can See For Miles
6.My generation
7.Behind Blue Eyes
8.Bargain
9.Join Together
10.You Better You Bet
11.5:15
12.I’m One
13.The Rock
14.Love, Reign O’er Me
15.Amazing Journey
16.Acid Queen
17.Pinball Wizard
18.See me feel me
19.Baba O’Riley
20.Won’t Get Fooled Again
2.The Seeker
3.Who Are You
4.The Kids Are Alright
5.I Can See For Miles
6.My generation
7.Behind Blue Eyes
8.Bargain
9.Join Together
10.You Better You Bet
11.5:15
12.I’m One
13.The Rock
14.Love, Reign O’er Me
15.Amazing Journey
16.Acid Queen
17.Pinball Wizard
18.See me feel me
19.Baba O’Riley
20.Won’t Get Fooled Again