Articolo già apparso sul sito
FMD-FARE MUSICA E DINTORNI
I grandi amori non finiscono mai, forse si possono nascondere
-agli altri- ma ci accompagneranno per tutta la vita, come gli occhi azzurri di
chi un tempo lontano ha saputo colorare la nostra giovinezza, per poi sparire
nel nulla, ma il solco rimane, indelebile.
Stelio Gicca-Palli conclude il suo “lavoro” in veste di musicista subito dopo
averlo iniziato, al debutto degli anni ’70, a seguito di una grande delusione,
o forse, come racconta lui a seguire, per una sorta di “vendetta” verso un
mondo che iniziava a costruire troppi paletti attorno alla sua voglia di libera
espressione.
La storia di “Lella”
è conosciuta, ma sarà piacevole rileggerla oggi, con il filtro di una vita in
mezzo.
La musica non si
abbandona mai e Gicca-Palli ha proseguito nel privato a coltivare le sue storie
e ad appagare le naturali necessità, sino a quando l’ora del ritorno pieno è
arrivata.
“Corpi Estranei-Vol. 1”,
questo il titolo dell’album, contiene in sé due propositi, la voglia di
raccontare ciò che si ritiene diverso da noi e la promessa di una nuova
puntata, per chiudere un ciclo e completare il panorama dei disagi che
condizionano le nostre vite.
Sono undici i brani,
scritti in epoche diverse, ma legati da un consistente filo conduttore, fatto
di simboli e di sostanza, dove la bellezza di una città si contrappone alla sua
decadenza, dove i sentimenti dell’amore e dell’amicizia scorrono come in un
film, tra gioia e delusione, dove l’impossibilità di comunicare rende estranea
la persona più vicina, e dove si ripresenta con attualità, dopo quasi mezzo
secolo, il problema del soccombere femminile all’interno del rapporto
uomo/donna.
Il cantautore romano
riprende a tessere la trama iniziata un tempo, carica di elementi tratti da
esperienze personali e indotte, e disegna un quadro comune e conosciuto che
diventa concreto, perché fissare i colori sulla tela significa donare
immortalità a idee e sentimenti, e un artista, qualunque sia il suo modo
espressivo, ha nelle mani questa opportunità unica che lo rende, almeno ad
occhi esterni, un privilegiato.
Cosa si può fare per
rendere quei corpi… meno estranei? Difficile trovare risposte esaustive;
l’abitudine alla convivenza precaria, spesso priva di reazione, si trasforma a
volte in colpa, in complicità, e la difficoltà oggettività può assumere
l'aspetto di un comodo alibi da cui diventerà difficile sfuggire, non certo
sufficiente a nascondere le responsabilità.
La proposta di Stelio
Gicca-Palli -cantautore, intellettuale… esperto di vita- può aiutare ad aprire
gli occhi, a fermarsi per una piccola riflessione, provando a dare risposta
concreta a quella progressiva delusione che può portare all’annientamento dei
sentimenti. E tutto questo non mi sembra un dettaglio.
Bentornato Stelio!
Nel suo viaggio
musicale Gicca-Palli è accompagnato da grandi musicisti: Primiano De Biase al
piano, Fabrizio Guarino alle chitarre, Marco Siniscalco al basso, Cristiano
Micalizzi alla batteria, Carlo Di Frescesco e Simone Talone alle percussioni,
Daniela Iezzi back vocals.
L’INTERVISTA
Possibile sintetizzare la storia musicale di Stelio
Gicca-Palli?
E’ possibile, ed è una sintesi brevissima. Ho imparato a
strimpellare la chitarra perché ce ne era una in casa (mio padre studiava
chitarra classica col Maestro Di Ponio, con clamoroso insuccesso). Nell’estate
1966 conobbi nell’isola di Ponza una vasta truppa di reduci dal Ci
ragiono e canto, di Dario Fo (Paolo Ciarchi, Ivan
Della Mea, Rosa Balestrieri, Giovanna Marini etc., etc.) e mi infatuai della
musica popolare. Convinsi Edoardo De Angelis, mio compagno di scuola, a
frequentare con me il Folk Studio di Roma (era ancora l’epoca in cui più che il
mitico Giancarlo Cesaroni i giochi li conduceva l’altrettanto mitico Harold
Bradley) e, da spettatori, dopo pochissimo passammo a farci ascoltar cantare in
duo alcune canzoni popolari un po’ – diciamo – ricercate. Poi ci venne
l’uzzolo di comporre canzoni e ne presentammo alcune, tra cui la famigerata Lella.
Che ci portò difilato ai titoli a cinque colonne sui giornali.
Dopo una lunga pausa musicale ritorni alla passione
originale, quella musica che nel privato non hai mai abbandonato: possibile che
la delusione legata alla censura di “Lella” abbia provocato un così radicale
cambiamento di rotta?
Più che la censura per Lella,
quello che mi creò sconforto era il fatto che i dirigenti della Casa
discografica (la RCA ), visto che per canzoni come Lella non tirava buona aria, volevano che facessimo canzoni… come
quelle di quello lì o quelle di quell’altro là. E poiché avevo una laurea e un
titolo di procuratore legale, e uno studio legale internazionale mi offriva una
bella posizione di associato (per poi diventare socio), decisi di vendicarmi o,
meglio, di fare lo gran rifiuto, come
fece Papa Celestino, e di abbandonare quel mondo che mi sembrava che non mi volesse (se vuoi, ci
sono espressioni più incisive e sintetiche per descrivere il mio atteggiamento,
ma forse non è il caso di adoperarle in questa sede).
Restando su quel brano,
che tratta l’argomento della violenza sulle donne, emerge come in
quarantacinque anni non sia cambiato nulla, se non un maggior coraggio di
denuncia: pensi che il messaggio musicale possa aiutare a cambiare le cose,
almeno nell’opera di sensibilizzazione?
Molto spesso i comportamenti sono influenzati da messaggi
provenienti dal mondo dell’arte, genericamente inteso. Il messaggio musicale
può essere uno di questi. E io, nel mio
piccolissimo, provo a dare una mano. Però debbo dire che Lella, più che una canzone
di condanna della violenza sulle
donne, voleva e vuole essere una descrizione obiettiva di fatti e
comportamenti. Una cronaca. Come reagisce un amante o una amante
a un rifiuto? A volte con civile
sopportazione, più spesso con dispetto e dileggio, troppe volte con violenza. E
vale anche per le donne. Diceva Congrave: “Hell
hath no fury like a woman scorned”:
non c’è inferno peggiore di una donna scornata. Solo che le donne sono meno
brutali e sempliciotte degli uomini. E poi il rifiuto, per ragioni
-diciamo- storiche, brucia più ai maschi che alle femmine. Con le tristi
conseguenze che sappiamo. La maggior parte dei “femminicidi” è correlata alla
reazione ad un rifiuto da parte della donna oggetto del desiderio (e forse anche
del diritto di proprietà vantato
dall’uomo).
Mi spieghi il motivo del titolo del tuo primo album, “Corpi
Estranei-Vol. 1”?
I corpi estranei sono quelli diversi da noi. Cioè
praticamente tutto quello che non siamo noi, comprese le persone cui vogliamo o
crediamo di volere bene, quando cessano di essere un tutt’uno con noi ed
assumono o riprendono la loro specificità. Naturalmente sono corpi estranei
tutte le cose e le persone che non percepiamo amiche o diverse da quello che
siamo o sentiamo.
Esiste un legame tra le canzoni che lo compongono, scritte in
tempi diversi?
Certamente esiste. L’album ha un filo conduttore, che è
quello sopra descritto. Il legame effettivo è costituito dall’esperienza, sia
personale, sia mediata attraverso esperienze di altri di cui ero venuto a
conoscenza.
Stelio Gicca-Palli e Edoardo De Angelis… pare un tutt’uno! E’
diffuso il sentimento dell’amicizia nel mondo della musica?
Edoardo ed io siamo amici, non colleghi. Francamente non so
fino a che punto sia diffuso il sentimento dell’amicizia nel mondo della
musica. Forse tra persone che non sono in concorrenza fra loro. Una delle cose
più frequenti e stomachevoli è l’ascoltare le lodi sperticate che gli artisti (tutti
gli artisti, non solo i musicisti ) si fanno l’un l’altro, per poi macerarsi
nell’invidia e nel livore e farsi, appena possibile, le cosiddette “scarpe”.
Ho ascoltato importanti e storici autori dichiarare delusi
che le canzoni contenute copiose nei loro cassetti sono prive di destinazione,
immagine davvero triste: che giudizio daresti dell’attuale stato della musica
nel nostro paese?
Panorama piuttosto deprimente. E non solo nel nostro Paese.
E’ mia ferma opinione (ed ho potuto constatare che tale opinione è molto
condivisa) che la grande stagione della musica cosiddetta leggera sia
cominciata nei primi anni sessanta e sia finita prima della fine degli anni ottanta.
Se c’è qualcosa di buono ora in giro, si tratta, a mio avviso, di prodotti di autori, già attivi in quel periodo, che
riescono ancora a riproporsi in maniera decente, oppure di nuovi autori che si
ispirano comunque alle tematiche di
testi, armonie e melodie di quel periodo. E’ una visione certamente retrò; ma, allo stato, sembra inevitabile.
Che cosa pensi dei nuovi mezzi tecnologici a disposizione, se
applicati al mondo dei suoni, tra “lavoro” e visibilità?
Non posso che pensarne bene; sempre che non diventino fini a
se stessi. Certamente, per chi fa dischi, il fatto che non se ne vendano diventa
parecchio frustrante. Vorrà dire che l’autore e l’esecutore dovrà, se vuol
campare del suo mestiere, darsi da fare nel e con il pubblico che ascolta, parla, mangia e trasuda,
come si faceva prima dell’avvento del fonografo. Naturalmente utilizzando i
mezzi a disposizione per comunicare. Direttamente dal produttore al
consumatore. Senza gli intermediari (leggi: agenti e impresari ).
Come descriveresti, a parole, la tua musica ad un giovane che
non ha mai avuto l’opportunità di incontrarla?
La definirei musica di impianto classico, ricalcata su
armonie provenienti da tradizioni musicali popolari, non solo italiane, nonché dalla
musica cosiddetta colta. Ho tratto
molte ispirazioni, ai limiti del saccheggio, dagli autori russi nonché dagli
autori contemporanei cosiddetti minimalisti (Aarvo Paert, Steve
Reich, Philip Glass). Le melodie, poi, seguono l’impianto armonico. Per quanto riguarda i
testi, cerco di evitare con cura la poesia.
Diciamo che la mia scrittura tenta di essere, nei limiti del possibile, visto
che si parla di canzoni, giornalistica.
Pubblicizzerai l’album dal vivo?
Non posso evitarlo. E, poi, non mi dispiacerebbe esibirmi live. Vanità ? Forse.
Quel “Vol. 1” aggiunto al titolo dell’album fa presupporre un
seguito già pianificato: cosa puoi svelarci del tuo futuro prossimo?