Stratten
"Bologna '67/ '77"
“Bologna ’67 ’77”
è un vero colpo basso, non me lo
aspettavo.
E’ bello… bello… bello. E che commento sarebbe questo? Dove risiede la
professionalità?
Capita a volte di trovarsi tra le mani ciò che realmente ti mancava, ma avverti
subito che ti appartiene da sempre. E’ sufficiente tenere in mano un cd e guardare la foto di copertina per capire che
ciò che sta per arrivare, la sostanza, sarà
qualcosa di significativo.
“Bologna
’67 ’77” si presenta con un’immagine che mi tocca
il cuore, un vecchio registratore “GELOSO”, modello RECORD 680.
Impossibile spiegarne il significato a qualche giovanotto!
Nel mio, modello 600, che custodisco in luogo sacro, ci sono The
Who, Mal dei Primitives,
i Nomadi, i Beatles… e chissà cosa troverò qua
dentro!?
Vediamo di riprendere i binari dell’obiettività, e mettiamo da parte il
cuore.
Gli Stratten, questo il nome della
band emiliana, realizzano un concept album che attraversa un periodo difficile,
caldo, pieno di nuovi umori e di illusioni, e ne disegnano gli accadimenti
attraverso nove brani che ti entrano dentro e non ti lasciano più.
Sarà quella voce modulante e accattivante di Alessandra Reggiani…
saranno le trame musicali di Nicola Bagnoli… oppure la poesia di Vincenzo
Bagnoli… o l’amalgama con le chitarre di Giulio Golinelli e Ian
Zulli… o ancora la sezione ritmica formata dal drummer Matteo Dondi
e il bassista Emiliano Colomasi, ma… tutto prende e tutto coinvolge,
perché col primo brano si innesca il
racconto di una generazione attraverso delle pictures musicali che lasciano il segno.
Mi sembra di rivivere i cortei, le lotte quotidiane, gli amori vissuti da
adolescente, le speranze, le delusioni e… la TV dei ragazzi, e ancora gli
sceneggiati della domenica sera, bianco e nero… bianco e nero… bianco e nero… Maigret e i Miserabili.
E’ un racconto intelligente, intriso di poesia, e pieno di didattica.
Anche la musica appare un viaggio nel tempo, fatto da tappe e variazioni
stilistiche.
Il livello tecnico della band assicura ad ogni sosta una grande qualità
esecutiva, e i passaggi attraverso i generi più conosciuti
- rock, blues, jazz e pop - accompagnano la narrazione, diventando la
colonna sonora di un film che lascia alla fine un sapore amaro: erano bei
tempi? Potevamo viverli meglio? Perché certe atmosfere intristiscono e non
facciamo niente per tenerle lontane?
Il ritornello di “Lotta di classe”
- mistero sulla soglia della
percezione - mi fa tornare bambino;
il jazzato “Deep sky”, unico
brano cantato in inglese, mi riporta al
“mio”prog, e il potente “Corteo”… ecco, se avessi l’occasione di
condurre una trasmissione radiofonica a base di rock lo userei come sigla, e in
breve tempo diventerebbe un tormentone, con quel riff da power chord, ricamato dal sitar
e dalla voce liquida di Alessandra Reggiani.
Un disco che profuma di storia, storie, attimi di cui sentiremmo forse il
bisogno, almeno a tratti. E cosa siamo diventati? Cosa avremmo potuto fare per
incidere di più sulle nostre esistenze e su quelle di chi ci circonda?
Mettiamo per un attimo tutto da parte e seguiamo il consiglio degli Stratten, prendiamo il booklet,
lasciamoci incantare dalla vecchia macchina da scrivere Olivetti, alziamo gli
occhi e leggiamo: Poesie da cantare e
da imparare.
IL CORTEO…PER ME UN TORMENTONE!
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