Con colpevole
ritardo provo a fornire qualche indicazione su di un album di sette anni fa, “Gli ospiti ”, del cantautore toscano Stefano Barotti.
Ho ritrovato casualmente
il CD in questi giorni, dono ricevuto un paio di anni fa, ma finito in qualche
cantuccio, per errore.
Ma la Musica
non ha scadenza, e la cosa peggiore che possa capitare, quando non ci sono
le premesse qualitative, è che venga dimenticata, non avendo lasciato alcun segno
di distinzione.
Impossibile, al
contrario, non essere toccati da questo disco, molto internazionale, realizzato
nel circuito Italia-Usa-New Mexico, con la produzione di Jono Manson e la partecipazione di musicisti di fama conclamata.
Quando di
questi tempi si cita il termine “cantautore”, si sfugge spesso dal significato
letterale del termine, e la mente dei meno giovani - o dei giovani bene
informati - sfocia sempre in quel gruppo di nomi importanti che hanno lasciato
impronte indelebili, in tempi in cui il messaggio sociale e la poesia potevano
convivere e passavano, anche, attraverso
l’azione della singola anima, voce e chitarra, a disposizione del mondo.
Ma spazzando
via ogni tipo di preconcetto, eliminando date e contesti, occupandosi solo dei
contenuti e delle emozioni provate d’istinto, un album come “Gli ospiti” può procurare un piacevole
benessere, uno stato di quiete che racchiude una velata tristezza miscelata
alla gioia di aver trovato ciò che mi sembra sia merce rara: cura dei dettagli
al servizio di liriche importanti, melodie capaci di far cantare e riflettere,
atmosfere in cui pare impossibile non immedesimarsi.
Undici tracce, suddivise
su circa tre quarti d’ora di musica che, dopo il primo ascolto, trovano la
spinta per arrivare a ripetute repliche.
Sono piccoli
quadretti che si dipanano su di un percorso tradizionalmente conosciuto, tra
ricordi e situazioni tipiche del quotidiano, ma quando si riesce nell’intento
di trasportare l’intimismo personale in casa altrui, entrando quasi sottovoce, per
poi non uscirne più, si realizza un’impresa che va evidenziata e a cui va dato
merito.
E’ un po’ criptico
Stefano Barotti, forse più degregoriano che gucciniano, tanto per fare
riferimento a due pilastri del cantautorato del passato, ma non appare il suo un
mero esercizio di bravura, quanto una ricerca espressiva collegata all’elemento
poetico, che a conti fatti appare di grande efficacia.
La
strumentazione utilizzata può dare un’idea della volontà di ampliare le
atmosfere sonore messe a disposizione dei testi: archi, fiati, hammond, mandolino,
banjo, dobro e slide, oltre al naturale impiego di chitarre, piano e sezione
ritmica.
Il brano che
presento a seguire è tratto da un live, quinta traccia dell’album - “Natale
sui monti”- e fornisce a mio giudizio una buona immagine dell’efficacia
di Barotti e della sua musica anche in piena solitudine, una voce, una sei
corde ed un’audience catturata da qualche magia impalpabile.
Difficile sottolineare
gradimenti specifici all’interno di un contenitore che si dimostra estremamente
omogeneo per qualità - altissima - ma vorrei evidenziare “Il profumo dei sogni”,
le cui strofe - tratte da una poesia di Carmen
Gargano - una volta entrate non ti abbandonano più (… qualche volta è amore, altre volte prigione… sono rami di ulivo sui
tetti che annusano il mondo…).
L’amore, i
ricordi, la neve, i monti, le stagioni che passano, le situazioni che si rincorrono,
un continuo flusso di figure conosciute che entrano nell’altrui dimora a pieno
titolo, ma che lasciano spazio ad altre, ospiti di passaggio, capaci però di
segnare, nonostante la presenza occasionale, attimi di vita che diventano
significativi e incancellabili.
Un grande
disco, un grande artista...
Per saperne di più su Stefano Barotti, sulla sua produzione e molto altro, è possibile consultare il sito di riferimento: http://www.stefanobarotti.net/
Per saperne di più su Stefano Barotti, sulla sua produzione e molto altro, è possibile consultare il sito di riferimento: http://www.stefanobarotti.net/