Lorenzo
Piccone è un giovanissimo
musicista savonese che si potrebbe considerare anomalo, un po’ controcorrente,
con le idee chiare e la Musica in corpo; non un rapper o uno desideroso di un
po’ di visibilità da Talent Show, come spesso accade, ma fulminato da una luce intensa
e assoluta che lo ha indirizzato verso il blues e il jazz.
L’ho
incontrato per caso, in un’occasione particolare: la piazza era gremita - pare
fossero in 15000 quel giorno - in attesa di un significativo evento di natura
politica, e sul palco si stavano esibendo tre musicisti di assoluto valore ed
esperienza (Carlo Aonzo, Claudio Bellato e Loris
Lombardo). La folla aspettava ben altro, ma la buona Musica ha il potere di
calamitare l’attenzione, anche dei più distratti. A un certo punto si unì al
trio quello che da lontano sembrava un adolescente: chitarra acustica, voce
“americana” ed estrema disinvoltura nel proporsi.
Ovvia
la mia curiosità nel capire chi fosse quel ragazzo col baschetto in testa e
un’apparente e sorprendente maturità.
Per
riuscire a combinare l’intervista a seguire ci ho messo molto tempo, più di un
anno, e l’idea che mi sono fatto - ma potrei sbagliare - è quella che per
Lorenzo, in questo particolare momento di piena evoluzione personale e
musicale, ci sia spazio solo per l’essenza e non per il contorno, laddove col
termine “contorno” intendo tutta quella serie di cose che hanno a che fare con
la visibilità, le chiacchiere, le opinioni, i giudizi, e che risultano alla
fine distrazioni per chi ha come unica volontà quella di creare e progredire.
Ma
alla fine l’obiettivo è stato raggiunto, fortunatamente direi, dal momento che
nello scambio di battute emerge l’anima di Lorenzo Piccone, nato per caso in
una cittadina ligure, ma forse più in sintonia con qualche lembo di terra
d’Oltreoceano.
Il
suo attuale biglietto di presentazione è l’ EP Turning Back, quattro tracce che vengono
disegnate a seguire dal propositore, brani che raccontano di un’incredibile
anima blues che si manifesta attraverso l’omaggio ad alcuni punti di
riferimento - Kirk Fletcher, Lowell Fulson e Otis
Rush - e la title track che
dimostra la felice vena compositiva di Lorenzo.
Un
blues di qualità, un’ invidiabile padronanza dello strumento - la chitarra - e
il piglio del musicista di razza, la cui necessità di crescere è facilitata
dalla chiarezza degli obiettivi prefissati.
Sarà
dura vivere di sola Musica, o forse sarà dura vivere di sola Musica… in Italia,
ma il talento, la tenacia e l’umiltà di Lorenzo Piccone indirizzano verso il
pensiero positivo, e forse il trovarsi nel posto giusto, al momento giusto,
riproporzionerà tutti i valori.
Leggiamo
il sentimento di Lorenzo Piccone e ascoltiamo il brano “Turnig Back”.
L’INTERVISTA
Puoi
sintetizzare la tua breve ma intensa storia musicale? Come sei arrivato a
sviluppare la passione per il genere che proponi?
Il
primo input è arrivato da mio padre che è un grande appassionato di musica, sul
suo ripiano dove tiene i suoi cd si possono trovare dischi che spaziano
dall’opera lirica sino ai Led Zeppelin. Grazie a lui ho scoperto e conosciuto
molta della musica che suono e che ascolto sempre; ovviamente non si finisce
mai di ascoltare e imparare cose nuove, non necessariamente più difficili, anzi.
Leggendo
le tue note biografiche saltano agli occhi alcuni artisti cittadini di grande
spessore, Enrico Cazzante e Carlo Aonzo: che cosa hanno significato per te?
Enrico
Cazzante è uno dei miei cantanti locali preferiti, ha veramente una grande voce
e un gusto musicale altissimo, è stato lui ha spingermi la prima volta a
suonare in pubblico a quella che era la “Taverna di Mu”, me lo ricordo bene,
quella sera è stato gentilissimo e disponibile nei miei confronti, che ero
molto emozionato! Con Carlo ci siamo conosciuti con gli strumenti in mano:
eravamo al Babilonia & Friends, suonavo con un quintetto jazz e avevamo
appena finito le nostre prove; nel mentre anche Carlo si stava preparando per
fare le sue prove e accennando un pezzo di musica bluegrass non ho resistito ad
andargli dietro per accompagnarlo, cosi ci siamo conosciuti. Da lì abbiamo
iniziato a vederci ed è nata una vera e propria amicizia.
Abbastanza
anomalo che un ragazzo sia attratto dal blues, dal jazz, dal country, generi
musicali lontani dagli standard giovanili: che cosa ti ha colpito maggiormente
di queste “antiche” forme espressive?
In
ordine sono arrivati prima il Blues poi il country ed infine il jazz, con un
ascolto quasi casuale di “Welllow weep for me” suonata da Dexter Gordon.
Effettivamente per un ragazzo della mia età è un pò anomalo l’ascolto di questo
tipo di musica, io però non riesco proprio a farne a meno, mi ritrovo
perfettamente in certi tipi di suoni e di atmosfere e la cosa che molte volte
mi ha colpito è stata la franchezza e l’essenzialità nel comunicare attraverso
quel tipo di musica.
Da
quanto leggo ti appassionano gli strumenti in genere, e ami cantare, ma qual è
la situazione in cui raggiungi il massimo della soddisfazione?
Mi
diverto moltissimo quando ho la possibilità di suonare blues in quelle
situazioni che ti permettono di essere espressivo e non sempre al massimo, ma
anche creando vuoti e pause. Anche quando suono acustico e magari il pubblico è
silenzioso hai la possibilità di creare molte più sfumature e colori.
Difficile
essere considerati come bluesman, oltreoceano, in quegli stati dove pare che
l’accettazione dipenda molto dal luogo di origine, e dove difficilmente verrà
rilasciata la patente musicale ad un europeo, giudicato poco esperto di dolore,
quel “pain” necessario per tirare fuori la rabbia e la poesia necessaria per
scrivere canzoni: come ti vedresti inserito in quel mondo?
Io
sinceramente credo che il blues sia in qualsiasi posto del mondo. Penso sia in
Brasile con la saudade, a Napoli, in Usa, in Francia, insomma ovunque, perché è
un’espressione dell’animo umano. Il blues è una cosa semplice e complessa alo
stesso tempo. Chiunque potrebbe scrivere un blues, certo ci vuole un motivo, e
bisogna sentirlo dentro.
Da
dove trai ispirazione per le tue canzoni?
Libri
prima di tutto, articoli di giornale, film o racconti di persone che magari ho
appena conosciuto. Cerco di essere una spugna sotto questo aspetto cercando di
essere il più aperto possibile.
Tra
i tanti tuoi ascolti, a chi daresti il primato del musicista - o della band -
più sorprendente, quella che ti ha fatto scattare la molla?
Che
domanda difficile! Come posso scegliere tra i tanti che mi piacciono, è davvero
quasi impossibile. Io ho iniziato con Bruce Springsteen e credo che sia quello
l’artista che mi ha fatto davvero scattare la molla. Poi, dopo aver conosciuto
Young, Dylan, Fogerty ecc. sono arrivati Clapton, B.B.King e tutta la vecchia
scuola blues, quelli che con una nota ti arrivano in fondo al cuore.
Mi
racconti qualcosa del tuo EP “Turning Back”?
Turning
Back è un Ep registrato
dal vivo in studio. Abbiamo lavorato sui pezzi che poi avremmo dovuto incidere
e ci siamo concentrati nel cercare di creare quel “feeling” che spero sia
rimasto nella registrazione. Siamo entrati in studio e abbiamo suonato. Il
primo pezzo si intitola appunto Turning
Back e l’ho scritto in un
momento in cui dovevo prendere delle decisioni e
fare delle scelte: sono un operaio. C’era la necessita quindi di dare un occhio
al passato, appunto voltandosi e guardando indietro, lì sono rimaste le tue
scelte positive e negative, ma penso sempre che ci sia qualcosa che sta al di
sopra di questo, come una sorta di aura, e questo mi da forza specialmente in
momenti più difficili. L’amore che i miei genitori e tutte le persone hanno per
me è una di quelle cose che sicuramente fanno parte di quell’aura, il ricordo
dei miei nonni anche.
Gli
altri 3 brani sono puramente blues, Blues
For Bobo, Reconsider Baby e Double
Trouble. Double Trouble la considero attualissima dato il
testo che parla di un uomo che non ha nemmeno un lavoro decente per vivere e si
sveglia di notte già con questi problemi. Ho riarrangiato questi pezzi e ho
voluto registrarli perché li sento miei e mi fanno impazzire!
Cosa
ami e cosa eviteresti nella fase live?
Il
live deve assolutamente divertirmi e vorrei che anche i musicisti che suonano
con me si divertissero; in inglese suonare si dice come giocare! Penso anche
che in fase live i pezzi possano assumere delle nuove sembianze e possano
essere plasmati a seconda dello stato d’animo che uno ha, mi piacerebbe viverlo
cosi, non suonando esclusivamente sempre e solo nello stesso modo e le stesse
identiche cose.
Prova
a sognare, in modo … realistico: cosa vorresti realizzare nel tuo futuro
prossimo, musicalmente parlando?
Il
mio sogno adesso è quello di fare un disco interamente di pezzi miei. Ci sto
lavorando, prendendo spunto dai dischi che mi hanno segnato particolarmente,
vorrei trovare una storia, un filone nel quale immergere tutto quello che ruota
attorno alle canzoni. Mi piacerebbe riuscire ad avere nello stesso progetto la
parte elettrica e la mia parte acustica in modo da poter creare un dialogo tra
questi due lati della mia persona e del mio essere quasi un musicista.