giovedì 1 dicembre 2011

Pierrot Lunaire


I Pierrot Lunaire sono un gruppo romano composto da musicisti molto dotati, sicuramente con una preparazione tecnica al di sopra della media riscontrabile generalmente in quel periodo. Descrivere la musica proposta dai Pierrot Lunaire non è cosa facile; essi spaziano dal prog al folk, dalla musica medioevale alla musica sinfonica sconfinando talvolta in sonorità tipiche di culture diverse e lontane. Già dall’inizio, con Overture XV, si parte alla grande per un fantastico viaggio attraverso luoghi popolati da re e cavalieri in una sottile sequenza di immagini sovrapposte ed evanescenti. Segue Raipure, costruita su una bella melodia che sembra venire da lontano e resa ancora più incisiva dal gioioso accompagnamento delle chitarre acustiche e dal suono scintillante del piano.Invasore si arricchisce di ingredienti orientaleggianti, sospesi tra esotismo e mistero, dove le alchimie sonore del sitar di Gaio Chiocchio giocano un ruolo fondamentale.L’atmosfera malinconicamente circense di Lady Ligeia dimostra quanto sia variegato l’universo musicale dei Pierrot Lunaire sebbene non sconfini mai in una eccessiva o inopportuna diversità di stili.Le composizioni sono perciò efficacemente definite dai tratti somatici di una materia sonora sempre organica e ben coesa.I tre musicisti sono naturalmente responsabili dell’ottimo risultato, in particolare si lasciano ammirare la sensibilità artistica di Arturo Stalteri e la fantasia interpretativa di Gaio Chiocchio. I dodici brani scorrono con naturalezza, sorretti da una affinità elettiva che dona all’intero lavoro un fascino tutto particolare lasciando trasparire al suo interno una ricchezza tematica che potremmo definire tridimensionale. La musica dei Pierrot Lunaire non è mai eccessiva o violenta e anche nei momenti più spinti tutto procede con una rassicurante squisitezza narrativa, proprio come accade nelle belle fiabe di una volta raccontate dalla nonna. Il Re Di Raipure è un episodio che bene esprime il concetto; un ritmo sostenuto e veloce riesce a convivere armonicamente in perfetta simbiosi con un andamento melodico gentile e appena sussurrato, molto simile ad un vellutato tappeto di suadenti note che con fare disinvolto si aprono all’immagine. Sotto I ponti rappresenta il punto più alto dell’album; pura poesia sonora, magia, temi e immagini molto suggestivi e coinvolgenti, responsabile l’abile crescendo dei suoni delle chitarre, del piano, delle tastiere e una sezione ritmica che qui si fa un tantino più audace.I restanti episodi si mantengono tutti ad un livello artistico piuttosto elevato tanto da fare dell’omonimo album dei Pierrot Lunaire un ottimo esempio di musica oltre i limiti imposti dalle mode e dal tempo.Pierrot Lunaire ha infine il pregio di non essere paragonabile a nessun altro lavoro dell’epoca tanto da potersi collocare in un dimensione di indubbio rispetto dove la personalità artistica, la poesia, l’intenso lirismo, la creatività ed il ricorso ad arrangiamenti indovinati rivestono un ruolo fondamentale per un lavoro fuori da ogni sorta di catalogazione.Passando all’ascolto del secondo album dei Pierrot Lunaire, Gudrun, si ha la netta impressione di trovarci al cospetto di un altro gruppo, di altri musicisti, tanto esso è diverso dall’omonimo esordio discografico.In realtà i soli Arturo Stalteri e Gaio Chiocchio restano nell’ensemble mentre Vincenzo Caporaletti, l’anima Rock del gruppo, lascia i compagni e viene rimpiazzato da Massimo Buzzi che suona la batteria solo in alcuni brani.Tutte le parti strumentali, con largo impiego anche di strumenti esotici o comunque diversi dal solito, sono affidate ai due musicisti i quali dimostrano grande dimestichezza con la materia sonora qualunque forma essa assuma.Il canto viene affidato alla bella voce della soprano inglese Jacqueline Darby e la musica vira dal folk progressive dell’album precedente ad un linguaggio classico colto dove non mancano incursioni nell’avanguardia e nella sperimentazione.In Gudrun i Pierrot Lunaire aggiustano dunque il tiro e fanno centro proponendo musiche i cui itinerari espressivi risultano arditi e di difficile esecuzione ma nondimeno di grande fascino.In questo terreno si muove con estrema disinvoltura Arturo Stalteri il cui lavoro agli strumenti, in particolare al piano, appare luminoso e ben dosato, congeniale allo svolgimento delle intricate partiture musicali.In ogni caso la ricerca di nuove vie espressive difficilmente si traduce nel semplice esercizio di stile o nella sterile sperimentazione fine a se stessa.La dialettica musicale si giova di suoni e melodie inedite, diverse dal solito cliché a cui siamo un po’ tutti abituati; eppure questo bizzarro amalgama sonoro riesce a coinvolgere emotivamente malgrado la sua apparente freddezza.E qui sta il grande pregio di Gudrun; nuovo, differente, ricco di geniali intuizioni, sperimentale ma con una carica di umano calore che lo distingue da altri lavori del genere.In questa ottica ben si inserisce Giovane Madre la cui dirompente tribalità ritmica si integra alla perfezione con la frenetica modernità dei suoni delle tastiere e dei congegni elettronici riuscendo a trasmettere non poche emozioni.Lo stesso si può dire per la nenia narrativa di Sonde In Profondità.Molto efficace in ogni episodio del disco è il pirotecnico virtuosismo di Arturo Stalteri al piano che insieme agli interventi esotici di Gaio Chiocchio al sitar, allo shaj baja, al lunik e ad altri strumenti più convenzionali, sostengono la raffinata interpretazione vocale della Darby.Mein Armer Italiener si presenta con un ritmo marziale, cadenzato, mettendo a nudo un evidente gusto per il melodramma dove la tensione si accresce con progressione incalzante.In definitiva Gudrun è da considerarsi un album unico per l’inconsueto approccio alla materia sonora, per la creatività messa in campo dai musicisti, per la sperimentazione di nuovi percorsi, per lo spiccato ricorso a tematiche musicali colte che non trova riscontro alcuno nel panorama musicale italiano di quel periodo. Se l’omonimo album di esordio dei Pierrot Lunaire può essere efficacemente descritto ricorrendo all’immagine di un prezioso scrigno contenente antichi e inestimabili tesori, Gudrun rappresenta per il gruppo romano un multicromatico laboratorio di suoni, una fucina di idee dove le stesse vengono forgiate a dovere e tramandate ai posteri.



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