Il 4 ottobre del1970 prendeva il volo Janis Joplin. Sono passati 43 anni.
L’articolo di Gianni
Sapia, comparso nel numero di maggio di MAT2020 abbina l’immagine di Janis a quella di Tara degl’Innocenti. Quadretto
di rara efficacia!
“Sarebbe facile
prendersi gioco dei texani, se non si sapesse che […] essi cercano di serbare
un legame con la forza e con la semplicità della terra. Istintivamente sentono
che essa è fonte non solo di ricchezza, ma anche di energia. E l’energia dei
texani è sconfinata ed esplosiva”, così scrive John Steinbeck in Viaggio con Charley parlando del Texas e
dei texani e così era l’energia di Janis Joplin, che texana lo era: sconfinata
ed esplosiva! E così era la sua voce. Quella voce che, malgrado il colore della
sua pelle, era incazzata come quella dei neri, perché i neri hanno la voce
incazzata, modificata geneticamente e fortificata da anni di schiavismo e
repressione, che li hanno portati a gridare per generazioni il dolore che
avevano dentro, arrivando a cantare come nessun bianco poteva fare. Fino a
quando non è apparsa Janis, che sembrava anche lei cantare per dar sfogo al
fuoco che le bruciava lo stomaco. Come un vulcano, dove le sue viscere erano la
camera magmatica, la gola il camino vulcanico e la bocca il cratere principale.
La voce-lava usciva da lei dolce e potente, come un lento fiume che ribolle al
suo interno e che esplode all’improvviso, lanciandosi in mille lapilli verso il
cielo. Non c’è più traccia della ragazzina sovrappeso e piena di complessi che
a poco meno di vent’anni lascia Porth Arthur, la sua città natale, per
rifugiarsi nella musica, quando nel 1967 sale, insieme alla Big Brother and the
Holding Company, sul palco del pop festival di Monterey. L’emozione traspare
dal suo viso, certo, ma traspare altrettanta felicità, perché sa che sta per
fare quello che meglio le riesce fare, incantare il pubblico. Janis non è
ancora nessuno, ma appena attacca Ball
and Chain, appare chiaro a tutti i presenti di essere di fronte all’inizio
di una favola meravigliosa. La sua voce parte e sembra non arrivare mai, è in
continua partenza. Chi ascolta resta emozionato, col mento caduto, attonito ad
ascoltare la voce della Perla. Solo quando smette di cantare ti accorgi che è
arrivata, perché aprendo il tuo cuore la trovi lì, che canta ancora al ritmo
del TUM TUM del tuo muscolo cardiaco. Poi se ne va, quasi schernendosi, quasi
imbarazzata dal successo che il pubblico le tributa. Due anni dopo è a
Woodstock, stavolta senza la BBHC. Ma non ne ha più bisogno, perché nel
frattempo è diventata Janis Joplin, icona del rock, che fa a gara di popolarità
con gente come Jim Morrison e Mick Jagger. È un simbolo del movimento hippie,
di pace e amore, libertà, sentimenti; feeling
era la parola che usava più spesso nelle interviste. Non era bella per quelli
che erano i comuni canoni di bellezza, ma non ne aveva bisogno. La sua
personalità, la sua unicità, la sua variopinta interiorità, non ti lasciavano
scampo. La sua meraviglia come essere umano faceva di lei anche un sex-symbol,
malgrado lei non lo sapesse. Naturalmente il popolo di Woodstock la accoglie
come merita. Lei e il multirazziale Hendrix sono le vere star del festival,
perché meglio di chiunque altro rappresentano e incarnano quello spirito fatto
di peace, love & freedom che in
quegli anni fanno sperare che l’umanità abbia una possibilità. Janis è famosa.
Il suo primo album, omonimo della Big Brother and the Holding Company, con cui
lo registra, già fa intravedere le potenzialità del gruppo e di Janis in
particolare. Penso a Call on Me,
dolcissima ed amorevole ballata, al galoppo di Coo-Coo o al cantare in equilibrio sull’orlo del precipizio, che
solo Janis poteva inventarsi, di Last
Time. Col secondo album, Cheap
Thrills, la visione diventa più chiara. La sensibilità artistica di Janis
scoppia in faccia al mondo, evidente come la forza di un mare in burrasca. La
rabbiosa dolcezza di Piece of my Heart,
il calore del blues di Turtle Blues,
la reverenziale Ball and Chain che
Janis rende fantastica, così come fa con la sua versione psichedelica di Summertime. Apperò! Proprio così, tutto
attaccato e con due pi, mi viene da dire. Ma il meglio deve ancora venire. Così
come velocemente ti dava tutto, altrettanto velocemente Janis prendeva tutto e
i suoi rapporti erano destinati ad essere di breve durata, così, subito dopo
l’uscita di Cheap Thrills, è il 1968,
Janis lascia la BBHC è intraprende la sua vera carriera da solista. Un anno
dopo esce I Got Dem Ol'
Kozmic Blues Again Mama, che registra
con la sua nuova band, la Kozmic Blues
Band. È un’ascesa continua. In quest’album anche il suono è più curato, la
parte strumentale è più sofisticata, ma sono sempre la voce e lo spirito di
Janis protagonisti assoluti. Da Try a
Maybe, da Kozmic Blues, omaggio alla band, a Work me Lord, Janis non smette un attimo di sorprenderci e di
trapuntarci la pelle di brividi. Vorrei non parlare del quarto album.
Dell’ultimo album. Ma non si può non farlo. Lo registra con una nuova band la Full-Tilt
Boogie Band. Si intitolerà Pearl, così come gli amici più intimi chiamavano Janis e sarà un
capolavoro assoluto. Dieci canzoni che consacrano definitivamente Janis Joplin
nell’olimpo dei grandi. Dalla rockettara Move
Over a Get it While You Can,
passando per il grido di Cry Baby, la
malinconia di A Woman Left Lonely, il ritmo di Half Moon, il ritorno a sonorità country con Me and Bobby McGee e l‘ironica Mercedes
Benz, dove fa tutto da sola, senza l’aiuto di nessuno, così come aveva
fatto quando lasciò Porth Arthur. È il 1971 e l’album viene
pubblicato postumo perché lei, la Perla, non c’è più. Viene trovata morta il 4 ottobre del 1970 al Landmark Motor Hotel di
Hollywood, California, uccisa dall’eroina. Voleva cambiare pelle. Voleva
lasciarsi alle spalle amori di plastica, alcool e droga, voleva riappropriarsi
della sua vita. Basta guardare le sue foto per capirlo. Sorride Janis, dietro i
suoi grossi occhiali rotondi, avvolta nei suoi boa colorati, agghindata di
collane e bracciali, piena di colori e dei loro profumi, perché lei era capace
di farti sentire l’odore del colore. Forse quello sarebbe stato l’ultimo buco,
e comunque lo fu. Il suo spirito ora vaga, irrequieto com’era irrequieto quando
ancora aveva un corpo. Ma lo spirito, l’anima dei grandi non muore mai. Anzi, a
volte si reincarna. Lo spirito di Janis vaga per poco più di dieci anni prima
di trovare “casa”. Attraversa l’Atlantico, arriva fino alla vecchia Europa.
Arriva in una delle città più belle del mondo, una delle città più ricche
d’arte del pianeta: Firenze. È l’ 8 dicembre 1980 e in casa Degl’Innocenti si
festeggia la nascita di Tara. Letteralmente, in sanscrito, Tara vuol dire
stella e rappresenta un Bodhisattva trascendente femminile del Buddhismo
tibetano. Sarebbe, per
semplificare, un’aspirante dea. Insomma, già dal nome si capisce che non siamo
davanti a niente di normale, dove normale è l’antitesi di speciale. Tara è irrequieta,
com’era irrequieta Janis e inizia a cantare già all’età di quattordici anni. Si
accosta alla musica irlandese, prosaicamente l’equivalente di quello che per
Janis era stato il country. Ma poco dopo, la spinta dell’anima la porta verso
il rock, verso il blues, verso quelle voci “rauco-blues-miagolanti, ricche di
estensione e calore”, come ebbe a dire lei in un’intervista (l’intervista è di
Athos e si trova sul suo blog,
http://athosenrile.blogspot.it/2010/08/tara-degl-innocenti-rose.html). L’anima
di Janis si fonde con quella di Tara e Tara non si tira indietro. Fa sue vita,
emozioni e sensazioni di Janis, li filtra col suo cuore, cervello, col suo
stomaco e alla fine dalla Rosa rinasce una nuova Perla. Si fa conoscere prima
in Toscana e in Emilia e nei suoi show, ogni volta che canta un pezzo di Janis,
la gente si emoziona. Anche lei ti fa cadere la mascella e ti lascia a bocca
aperta. C’è qualcosa di trascendentale, c’è feeling, avrebbe detto Pearl.
Quando Tara canta Janis, tutto si confonde: i gesti di una diventano quelli
dell’altra e viceversa, le espressioni si confondono, le voci si fondono.
Sarebbe come dire che Tara + Janis = Meraviglia, ma anche Janis + Tara =
Meraviglia. Sì certo, proprio quella cosa lì, “invertendo l’ordine degli addendi…”.
Purtroppo ho potuto soltanto vedere foto e video di entrambe, ma non ho potuto
fare a meno di notare che nei momenti più intensi delle loro esibizioni hanno
lo stesso modo di arricciare il naso, avvicinando le sopracciglia. È evidente a
tutti insomma che, quando Tara degl’Innocenti canta un pezzo di Janis Joplin,
succede qualcosa di speciale. E, come dicevo, Tara non si tira indietro. Da
sfogo alle sue anime e fonda i The Rose,
che in poco tempo diventeranno la Janis
Joplin Tribute Band più famosa d’Italia e una delle migliori, se non la
migliore, d’Europa. Canta anche con la Big Brother and the Holding Company e si rivivono
emozioni viscerali che forse non si erano mai sopite. Monterey sembra dietro
l’angolo. Una cosa più d’ogni altra accomuna queste due artiste, oltre le
affascinanti e seduttrici capacità vocali: il desiderio e la capacità di
emozionare il pubblico, l’istintiva e irrefrenabile voglia di spremere fino
all’ultima goccia, l’otre piena d’arte che portano dentro di loro e donarne il
succo a chi ascolta. Janis è stata grande e Tara è grande, due grandi artiste,
due grandi anime che si sono incontrate e nessuna è la copia o il clone
dell’altra. C’è un’unica differenza tra le due, che non è proprio una
differenza, ma più una considerazione dovuta a canoni estetici del tutto
personali e che forse non dovrei dire, ma che dirò: Tara è più bella di Janis!
Ecco, l’ho detto e me ne assumo tutte le responsabilità. Alla fine, in modo del
tutto naturale ed istintivo, vista l’affinità d’anime, quello che fa Tara,
molto umilmente, è offrire un tributo a Janis e, per dirla con le sue parole: «
Un tributo deve rendere vivo un’artista e
non divo chi lo fa », quindi grazie Tara, per regalarci ancora Janis.