Articolo di Gianni Leone
La storia comincia nella seconda metà del
1984. Ero a Stoccolma per la prima volta. I miei ex compagni del Balletto di
Bronzo Lino Ajello e Marco Cecioni erano proprietari dello studio di
registrazione Humlan, nel centro della città. C’era un gran fermento in quello
studio. Spesso registravo brani miei, oppure suonavo le tastiere e cantavo in
varie produzioni. Mi capitò perfino di suonare in due album di un gruppo
iraniano che realizzava in Svezia dischi destinati al mercato del loro Paese
d’origine, un’esperienza davvero insolita! Talvolta ci divertivamo a fare
versioni “sexy” o grottesche di brani dei generi più impensati, compresi quelli
del Balletto. Naturalmente erano a mia disposizione tutti i sintetizzatori
all’epoca più in voga. Un giorno di fine dicembre accettai la proposta di due
amici chitarristi, l’uno svedese l’altro polacco, di unirmi a loro per fare
quattro serate consecutive in un pub di una città nel Sud della Svezia, Skovde
(ci sarebbe la dieresi sulla “o”, ma alla tastiera del mio computer manca quel
tasto). In men che non si dica mettemmo su un repertorio tutto basato su brani
dei Beatles, dei Rolling Stones e di altri gruppi storici degli Anni ’60-’70.
Io decisi di portare con me l’organo Korg CX-3, emulatore dell’Hammond, che per
l’occasione, data la sua maneggevolezza e la buona resa sonora, fu perfetto. Tornato
a Stoccolma, a casa di Ajello, appoggiai la tastiera al muro della mia stanza e
l’abbandonai lì. Passò tutto l’inverno, uno dei più gelidi da anni, con frequenti
picchi di -20 gradi. Tra la fine di aprile e l’inizio di maggio del 1985,
mentre i ghiacci cominciavano finalmente a sciogliersi, lo studio Humlan fu
completamente smantellato poiché l’intero edificio doveva essere abbattuto per
costruire un grande centro commerciale. Feci in tempo a registrare delle cose
mie (i brani tuttora inediti “Discoclub”, “Un’eccitazione nuova” ed altri)
lavorando di notte, da solo, letteralmente fino all’ultimo momento possibile
prima che arrivassero le ruspe. Intanto il CX-3 era ancora lì, a casa, appoggiato
a quel muro. Dimenticato e snobbato.
Quando, dopo qualche tempo, partii per
l’Italia, non pensai nemmeno di portare con me l’organo: al solito, avevo già
abbastanza problemi coi bagagli ordinari in eccesso vestiti, oggetti di uso
personale, regali), figuriamoci! Guardandomi alle spalle e rievocando il clima
di quel periodo, oggi posso capire il perché del mio disinteresse per quello
strumento. Erano anni in cui noi tastieristi eravamo continuamente bombardati
da novità tecnologiche di ogni genere, apparivano sul mercato sintetizzatori
sempre più sofisticati e completi capaci di generare suoni incredibili, per cui
si arrivò all’aberrazione di considerare l’Hammond, nonostante il suo suono
insostituibile e inarrivabile, come qualcosa di “vecchio”, superato, legato al
passato. Figuriamoci, poi, addirittura una sua copia, con tutti i limiti del
caso. Di lì a pochi anni, però, qualcosa di strano e imprevedibile accadde. Si ricominciò
a parlare sempre più insistentemente di Rock, di strumenti analogici, di
sonorità “vintage”, di Hammond. Questa parolina magica scivolò perfino nelle
boccacce plebee e indegne di canzonettari che fino al giorno prima avevano
cantato motivetti balneari o stornelli da osteria o festa di piazza che improvvisamente,
sull’onda della riscoperta di un certo gusto Rock che avvenne a cavallo tra gli
Anni ’80 e ’90, osarono riproporsi e riciclarsi in chiave più …“accattivante”
(almeno secondo le loro intenzioni). Povero Hammond, ridotto a fenomeno da
baraccone da presentare in pompa magna dai peggiori elementi nelle più
squallide trasmissioni televisive del sabato sera e adoperato nelle produzioni
discografiche di cantautorini, cantautoroni e cantautoracci commerciali nel
senso più deteriore del termine!.. Io l’organo Hammond (modello L-222) l’avevo
fin dal 1970, vi avevo composto i brani di YS -peraltro le prime composizioni
della mia vita-, con il Balletto di Bronzo lo avevo portato in ogni angolo
d’Italia, dalla Val d’Aosta all’estremo Sud, ma fin dalla metà degli Anni ’70,
dopo lo scioglimento del gruppo, giaceva giù in garage, coperto da un telo di
plastica. Stessa sorte per il mastodontico Leslie. Mi venne una voglia
irrefrenabile di riportarlo a nuova vita. Una volta trasportato fin su in
mansarda con l’aiuto di tre persone forzute, cominciai ad esaminarlo
attentamente. Non era molto rovinato in fin dei conti. Era il 22 febbraio del
1995. Una volta aperto, uscì di tutto: piume (di quelle che lanciavo a piene
mani sul pubblico durante i concerti nei primi Anni ‘70), coriandoli, ragnatele
autenticamente “vintage”, persino un topolino mummificato (il Balletto aveva
vissuto per circa un anno e mezzo in un casale in campagna appena fuori Rimini).
Lo smontai in ogni sua parte e cominciai a restaurarlo: la parte in legno la
stuccai, la ricolorai col mordente e la riverniciai; recuperai da Marco
Montaruli, sommo esperto, collezionista e rivenditore di organi Hammond, dei
pezzi di ricambio che erano già introvabili nel ’75; sostituii le parti
danneggiate e alcuni tasti spezzati (all’epoca del Balletto portavo circa otto
anelli per mano e ad ogni concerto i tasti erano messi a dura prova, ma anche
le mie dita: ricordo che una volta all’Altro Mondo di Rimini la tastiera era
tutta insanguinata...). Per la parte elettronica feci venire a casa un’
”autorità” in materia: Cesare Bernardini, l’ultimo e unico esperto di strumenti
musicali sia moderni che d’epoca, infatti anche dall’estero giungono al suo
laboratorio di via Val di Non 94 -fortunatamente proprio a 200 metri in linea d’aria
da casa mia- sintetizzatori e apparecchiature di ogni tipo da riparare. I
lavori durarono mesi. Infine, il capolavoro!
Ma
torniamo al Korg CX-3. Lo avevo abbandonato a Stoccolma nell’85 senza alcun riguardo.
Dopo alcuni anni, però, mi pentii amaramente di quello che avevo fatto e cercai
di recuperarlo: troppo tardi. Allora cominciò una ricerca frenetica che
purtroppo anch’essa non portò a nulla: lo strumento era ormai uscito di
produzione da un pezzo e chi lo aveva se lo teneva stretto poiché il CX-3 è un
buon emulatore Hammond e in più è maneggevolissimo e leggero. E poi è stato IL
PRIMO, se non altro. Infatti fu messo sul mercato nel 1979 ed è tuttora
ricercato e apprezzato dai collezionisti di tutto il mondo. Certo, il leslie
elettronico lascia molto a desiderare; incredibilmente, mancano sia il vibrato
che il riverbero, importanti per riprodurre alcuni suoni tipici; la percussione
non è eccelsa. In compenso c’è la possibilità di riprodurre e regolare il
“click” su ogni tasto, una vera finezza per quei tempi. Trovarlo era diventata
una questione di principio, una sfida contro me stesso. La sera del 25
settembre del ’97, assistendo a un concerto a Napoli, lo sentii suonare dal
vivo dal mio amico di lunghissima data Ernesto Vitolo che lo aveva collegato a
un vero Leslie, e l’effetto era ottimo. Passarono altri anni. Arriviamo al 2006.
Vengo a sapere che in un grande negozio di San Marino ce n’è uno, proprio della
metà degli Anni ‘80. Non è in perfetto stato, mancano ben tre drawbars e due
pulsantini… Non importa: spedisco i soldi e dopo pochi giorni mi arriva a casa
a Roma. Che emozione! Cominciai immediatamente a restaurarlo: sverniciatura
della parte in legno; quindi stucco, mordente e gommalacca passata a mano col
tampone. Poi per la parte tecnica mi affidai naturalmente a Cesare Bernardini.
Gli chiesi di apportare alcune modifiche, di enfatizzare la percussione e la
distorsione. Purtroppo i drawbars ed i pulsantini non si trovavano da nessuna
parte: non li aveva la Korg ,
non li avevano i privati, non si adattavano quelli di altre tastiere… Intanto passavano
i mesi. Che fare? Telefonai all’amico Michele Bon, tastierista delle Orme. Lui
è capace di smontare e rimontare un Hammond in pochi giorni e di rifarlo ancora
meglio dell’originale, un vero “mago” dell’elettronica. Evviva, mi disse che aveva
qualcosa che poteva andar bene per il mio CX-3! Incontrai Michele il 12 ottobre
2006 in
occasione di un concerto delle Orme a Roma. Lui, persona di rara e preziosa
gentilezza, si era ricordato di portarmi i pezzi per il mio Korg. Certo, non
erano quelli originali e andavano adattati. Mentre io rimodellai con carta
abrasiva, taglierino e trielina le parti in plastica, ricreando anche la
sequenza numerica da 1 a
8 sul dorso dei drawbars, il “mitico” Bernardini creò i nuovi collegamenti
elettrici e montò le varie parti. Ancora qualche settimana di lavoro e
finalmente riuscimmo nella nostra impresa. Cominciai subito a portare con me in
concerto il mio Korg, finalmente funzionante. Nel dvd del Balletto di Bronzo “Live
in Rome”, distribuito in tutto il mondo dalla Black
Widow... (www.blackwidow.it), lo uso parecchio e gli sono stati dedicati
anche dei bei primi piani. Naturalmente
non è da paragonare alle prestazioni dell’Hammond/Suzuki XK-1, del Roland VK-8,
del Korg CX-3 nuova serie e ancor più a quelle di “mostri” come l’Hamichord e
il KeyB (infatti quasi quasi ci farei un pensierino…). Per non parlare dello
strumento sommo e insuperabile, The Real Thing, cioè l’Hammond. Ma la storia
personale e i “legami affettivi”, signori, dove li mettiamo?