venerdì 6 settembre 2013

Gianni Leone e il Korg CX-3

 

Articolo di Gianni Leone

La storia comincia nella seconda metà del 1984. Ero a Stoccolma per la prima volta. I miei ex compagni del Balletto di Bronzo Lino Ajello e Marco Cecioni erano proprietari dello studio di registrazione Humlan, nel centro della città. C’era un gran fermento in quello studio. Spesso registravo brani miei, oppure suonavo le tastiere e cantavo in varie produzioni. Mi capitò perfino di suonare in due album di un gruppo iraniano che realizzava in Svezia dischi destinati al mercato del loro Paese d’origine, un’esperienza davvero insolita! Talvolta ci divertivamo a fare versioni “sexy” o grottesche di brani dei generi più impensati, compresi quelli del Balletto. Naturalmente erano a mia disposizione tutti i sintetizzatori all’epoca più in voga. Un giorno di fine dicembre accettai la proposta di due amici chitarristi, l’uno svedese l’altro polacco, di unirmi a loro per fare quattro serate consecutive in un pub di una città nel Sud della Svezia, Skovde (ci sarebbe la dieresi sulla “o”, ma alla tastiera del mio computer manca quel tasto). In men che non si dica mettemmo su un repertorio tutto basato su brani dei Beatles, dei Rolling Stones e di altri gruppi storici degli Anni ’60-’70. Io decisi di portare con me l’organo Korg CX-3, emulatore dell’Hammond, che per l’occasione, data la sua maneggevolezza e la buona resa sonora, fu perfetto. Tornato a Stoccolma, a casa di Ajello, appoggiai la tastiera al muro della mia stanza e l’abbandonai lì. Passò tutto l’inverno, uno dei più gelidi da anni, con frequenti picchi di -20 gradi. Tra la fine di aprile e l’inizio di maggio del 1985, mentre i ghiacci cominciavano finalmente a sciogliersi, lo studio Humlan fu completamente smantellato poiché l’intero edificio doveva essere abbattuto per costruire un grande centro commerciale. Feci in tempo a registrare delle cose mie (i brani tuttora inediti “Discoclub”, “Un’eccitazione nuova” ed altri) lavorando di notte, da solo, letteralmente fino all’ultimo momento possibile prima che arrivassero le ruspe. Intanto il CX-3 era ancora lì, a casa, appoggiato a quel muro. Dimenticato e snobbato.
Quando, dopo qualche tempo, partii per l’Italia, non pensai nemmeno di portare con me l’organo: al solito, avevo già abbastanza problemi coi bagagli ordinari in eccesso vestiti, oggetti di uso personale, regali), figuriamoci! Guardandomi alle spalle e rievocando il clima di quel periodo, oggi posso capire il perché del mio disinteresse per quello strumento. Erano anni in cui noi tastieristi eravamo continuamente bombardati da novità tecnologiche di ogni genere, apparivano sul mercato sintetizzatori sempre più sofisticati e completi capaci di generare suoni incredibili, per cui si arrivò all’aberrazione di considerare l’Hammond, nonostante il suo suono insostituibile e inarrivabile, come qualcosa di “vecchio”, superato, legato al passato. Figuriamoci, poi, addirittura una sua copia, con tutti i limiti del caso. Di lì a pochi anni, però, qualcosa di strano e imprevedibile accadde. Si ricominciò a parlare sempre più insistentemente di Rock, di strumenti analogici, di sonorità “vintage”, di Hammond. Questa parolina magica scivolò perfino nelle boccacce plebee e indegne di canzonettari che fino al giorno prima avevano cantato motivetti balneari o stornelli da osteria o festa di piazza che improvvisamente, sull’onda della riscoperta di un certo gusto Rock che avvenne a cavallo tra gli Anni ’80 e ’90, osarono riproporsi e riciclarsi in chiave più …“accattivante” (almeno secondo le loro intenzioni). Povero Hammond, ridotto a fenomeno da baraccone da presentare in pompa magna dai peggiori elementi nelle più squallide trasmissioni televisive del sabato sera e adoperato nelle produzioni discografiche di cantautorini, cantautoroni e cantautoracci commerciali nel senso più deteriore del termine!.. Io l’organo Hammond (modello L-222) l’avevo fin dal 1970, vi avevo composto i brani di YS -peraltro le prime composizioni della mia vita-, con il Balletto di Bronzo lo avevo portato in ogni angolo d’Italia, dalla Val d’Aosta all’estremo Sud, ma fin dalla metà degli Anni ’70, dopo lo scioglimento del gruppo, giaceva giù in garage, coperto da un telo di plastica. Stessa sorte per il mastodontico Leslie. Mi venne una voglia irrefrenabile di riportarlo a nuova vita. Una volta trasportato fin su in mansarda con l’aiuto di tre persone forzute, cominciai ad esaminarlo attentamente. Non era molto rovinato in fin dei conti. Era il 22 febbraio del 1995. Una volta aperto, uscì di tutto: piume (di quelle che lanciavo a piene mani sul pubblico durante i concerti nei primi Anni ‘70), coriandoli, ragnatele autenticamente “vintage”, persino un topolino mummificato (il Balletto aveva vissuto per circa un anno e mezzo in un casale in campagna appena fuori Rimini). Lo smontai in ogni sua parte e cominciai a restaurarlo: la parte in legno la stuccai, la ricolorai col mordente e la riverniciai; recuperai da Marco Montaruli, sommo esperto, collezionista e rivenditore di organi Hammond, dei pezzi di ricambio che erano già introvabili nel ’75; sostituii le parti danneggiate e alcuni tasti spezzati (all’epoca del Balletto portavo circa otto anelli per mano e ad ogni concerto i tasti erano messi a dura prova, ma anche le mie dita: ricordo che una volta all’Altro Mondo di Rimini la tastiera era tutta insanguinata...). Per la parte elettronica feci venire a casa un’ ”autorità” in materia: Cesare Bernardini, l’ultimo e unico esperto di strumenti musicali sia moderni che d’epoca, infatti anche dall’estero giungono al suo laboratorio di via Val di Non 94 -fortunatamente proprio a 200 metri in linea d’aria da casa mia- sintetizzatori e apparecchiature di ogni tipo da riparare. I lavori durarono mesi. Infine, il capolavoro!
 Ma torniamo al Korg CX-3. Lo avevo abbandonato a Stoccolma nell’85 senza alcun riguardo. Dopo alcuni anni, però, mi pentii amaramente di quello che avevo fatto e cercai di recuperarlo: troppo tardi. Allora cominciò una ricerca frenetica che purtroppo anch’essa non portò a nulla: lo strumento era ormai uscito di produzione da un pezzo e chi lo aveva se lo teneva stretto poiché il CX-3 è un buon emulatore Hammond e in più è maneggevolissimo e leggero. E poi è stato IL PRIMO, se non altro. Infatti fu messo sul mercato nel 1979 ed è tuttora ricercato e apprezzato dai collezionisti di tutto il mondo. Certo, il leslie elettronico lascia molto a desiderare; incredibilmente, mancano sia il vibrato che il riverbero, importanti per riprodurre alcuni suoni tipici; la percussione non è eccelsa. In compenso c’è la possibilità di riprodurre e regolare il “click” su ogni tasto, una vera finezza per quei tempi. Trovarlo era diventata una questione di principio, una sfida contro me stesso. La sera del 25 settembre del ’97, assistendo a un concerto a Napoli, lo sentii suonare dal vivo dal mio amico di lunghissima data Ernesto Vitolo che lo aveva collegato a un vero Leslie, e l’effetto era ottimo. Passarono altri anni. Arriviamo al 2006. Vengo a sapere che in un grande negozio di San Marino ce n’è uno, proprio della metà degli Anni ‘80. Non è in perfetto stato, mancano ben tre drawbars e due pulsantini… Non importa: spedisco i soldi e dopo pochi giorni mi arriva a casa a Roma. Che emozione! Cominciai immediatamente a restaurarlo: sverniciatura della parte in legno; quindi stucco, mordente e gommalacca passata a mano col tampone. Poi per la parte tecnica mi affidai naturalmente a Cesare Bernardini. Gli chiesi di apportare alcune modifiche, di enfatizzare la percussione e la distorsione. Purtroppo i drawbars ed i pulsantini non si trovavano da nessuna parte: non li aveva la Korg, non li avevano i privati, non si adattavano quelli di altre tastiere… Intanto passavano i mesi. Che fare? Telefonai all’amico Michele Bon, tastierista delle Orme. Lui è capace di smontare e rimontare un Hammond in pochi giorni e di rifarlo ancora meglio dell’originale, un vero “mago” dell’elettronica. Evviva, mi disse che aveva qualcosa che poteva andar bene per il mio CX-3! Incontrai Michele il 12 ottobre 2006 in occasione di un concerto delle Orme a Roma. Lui, persona di rara e preziosa gentilezza, si era ricordato di portarmi i pezzi per il mio Korg. Certo, non erano quelli originali e andavano adattati. Mentre io rimodellai con carta abrasiva, taglierino e trielina le parti in plastica, ricreando anche la sequenza numerica da 1 a 8 sul dorso dei drawbars, il “mitico” Bernardini creò i nuovi collegamenti elettrici e montò le varie parti. Ancora qualche settimana di lavoro e finalmente riuscimmo nella nostra impresa. Cominciai subito a portare con me in concerto il mio Korg, finalmente funzionante. Nel dvd del Balletto di Bronzo “Live in Rome”, distribuito in tutto il mondo dalla Black Widow... (www.blackwidow.it), lo uso parecchio e gli sono stati dedicati anche dei bei primi piani.  Naturalmente non è da paragonare alle prestazioni dell’Hammond/Suzuki XK-1, del Roland VK-8, del Korg CX-3 nuova serie e ancor più a quelle di “mostri” come l’Hamichord e il KeyB (infatti quasi quasi ci farei un pensierino…). Per non parlare dello strumento sommo e insuperabile, The Real Thing, cioè l’Hammond. Ma la storia personale e i “legami affettivi”, signori, dove li mettiamo?