Commento a “La mia
chitarra suona il rock”, di Luciano Boero
Apparso nel numero di
dicembre di MAT2020 (www.mat2020.com)
Trovarsi al posto giusto al momento giusto è fondamentale, ed
è purtroppo indipendente dalla nostra volontà. Penso e dico spesso, che sarebbe
bastati pochi anni in più per poter vivere cose che nella vita lasciano il
segno, ed è sintomatico il fatto che, in certe occasioni, potremmo passare sopra
all’elemento età, che perde immediatamente valore, almeno in determinati
contesti.
Ho conosciuto Luciano Boero
attraverso la musica de La Locanda delle
Fate, band prog, nata negli anni ’70, e nuovamente in salute, come evidenzia
l’articolo apparso nel Numero Zero
di MAT2020, testimonianza del
recente concerto di Alba.
Ma il passato più
antico, quello che racconta della sua adolescenza e poco più, è fatto di altro,
e restando in tema musicale direi di beat, quel genere musicale afferrato
dall’Inghilterra e fatto nostro, in un epoca che conosco perfettamente, anche
se è stata vissuta con gli occhi del bambino… ed ecco tornare il concetto
dell’essere al posto giusto… ecc. ecc.
Luciano ha trovato il
tempo e la voglia di raccogliere quel periodo di vita in un book, “La mia chitarra suona il rock”, esperienza
quella della sintesi che, nell’essenza, accomuna tutti gli esseri umani, che ad
un certo momento del percorso di vita sentono l’esigenza del bilancio personale
e, soprattutto, il bisogno di condividerlo.
Ho sentito dire
pubblicamente da un amico di Luciano, “attore” nel video a fine articolo: “ Mancava ad Alba una testimonianza del
genere…”
Io ci ho ritrovato ciò
che conoscevo di quell’epoca, vissuta da me con gli occhi del puro, attratto
dal nuovo che stava arrivando, ma ho rivisitato anche tanti posti conosciuti,
molti dei quali in Liguria, e tanti altri nella zona piemontese descritta dettagliatamente.
Ho provato a pensare
alla reazione post lettura di un quindicenne che vive il 2012. La scrittura di
Boero è molto chiara, semplice, capibile, esplicita, eppure… con che ottica un
giovane d’oggi potrebbe entrare nello spirito di quei tempi, e perché dovrebbe
essere affascinato da un mondo che non tornerà più?
Beh, intanto si può
dire che… questa è Storia, un
racconto dei costumi e delle abitudini che hanno poi trovato rapida evoluzione
temporale, e mentre la colonna sonora mutava, dal ritmo del beat in direzione
del R&B, gli avvenimenti rilevanti si
succedevano con puntualità: dalla morte di Giovanni XXII e John Kennedy ai bombardamenti in Vietnam,
dall’introduzione dell’ora legale al primo trapianto di cuore, dalla “Primavera
di Praga” alla prima Messa in italiano.
Beatles e Rolling
Stones padroni della scena e oggetto di culto.
Ma solo chi ha
vissuto, sfiorato o accarezzato quel periodo, sebbene con ruoli differenti, può
realmente commuoversi, page by page.
Non è questo l’intento
di Boero, ma sono sicuro che lo sforzo compiuto per raccogliere idee e ricordi
gli avrà provocato qualche lacrimuccia.
Il succo è… anni ’60, “Please
Please Me” che stordisce, capelli lunghi e pantaloni stretti a sigaretta
(che diventeranno col tempo scampanati), i primi gruppi musicali, gli
stivaletti neri a tacco alto e fibbie laterali elasticizzate, i dancing da tre
+ tre (balli che, con l’avvento delle discoteche, aumenteranno di un’unità), i
juke boxe e le hit da spiaggia, i dancing, le donne affascinate e affascinanti,
i furgoncini malconci, i genitori coinvolti, la scuola, i primi strumenti, la
prima amplificazione, gli impresari, lo studio di registrazione, il Piemonte,
la Liguria, tutte le regioni, l’estero… accidenti quante cose!
Gli Scoiattoli nascono ad Alba, una cittadina cuneese, nelle Langhe,
che ha mantenuto intatto il mood “antico”, e a percorrere le vie del centro
viene voglia di non lasciarla più, tanto sembra vivibile.
Negli anni ’60 era
diversa, ovviamente, ma la lettura del libro porta a far combaciare le trame di
Boero con ciò che è ancora visibile.
Gli Scoiattoli sono una boy band che diventerà ragionevolmente famosa, sono
amici, sono i quattro ragazzi che assomigliano tremendamente ad altri quattro,
forse visti a Cinisello… a Taormina, a Montecassino… tutti con gli stessi
desideri, spinti da una passione che ti attacca come una malattia contagiosa e
che non si può più curare, dimostrandosi tara irreversibile. Parlo della
musica, quella forma d’arte che ti può accecare, facendoti perdere di vista
tutto il resto, concedendoti solo piccole distrazioni, ma poi è da lei che alla
fine devi ritornare; e assieme a lei puoi non sentire il bisogno di mangiare,
dormire e di pensare al tuo prossimo.
Non sono forti le similitudini con
l’innamoramento?
Sono tante le tracce
scritte che potrei riprendere e sviscerare, perché ho vissuto in prima persona
molte delle cose comprese in “La mia
chitarra suona il rock”, ma dovendomi soffermare su di una scena, per ragioni di spazio, vorrei
ricordare ciò che, purtroppo, i nostri figli non vivranno mai, e cioè quelle
estati caratterizzate da un solo brano, sentito mille volte tra luglio e
agosto, mentre i cuori impazzivano e i sorrisi si mischiavano alle lacrime.
L’importanza del dettaglio è enorme, perché quella canzone di quarant’anni fa è
ormai diventata parte di noi, e ad ogni ascolto occasionale - difficile che sia
un atto volontario - ricorderemo immediatamente visi, odori, amori, e attimi
indimenticabili. Ora i juke box non esistono più perché, tra le altre cose,
inquinano acusticamente l’ambiente.
Luciano entra nei
dettagli, segno inconfondibile che la scrittura lo ha “preso sino in fondo”,
costringendolo a risollevare polvere ormai ritenuta - erroneamente - al sicuro sotto al tappeto di casa.
Ed è incredibile
realizzare la grande quantità di cose che possono accadere in breve lasso di
tempo, e di come siano rapidi i cicli di vita, di come sia impossibile
mantenere fissi i riferimenti fisici e le cose possedute, pronte a perdere
valore appena giriamo l’angolo.
Per fortuna qualcosa
di saldo resta… i principi e i
sentimenti, e tra questi ultimi scelgo l’amicizia, fil rouge che lega ogni
capitolo del libro e che era palpabile al concerto di Alba, dove esisteva tutto
un mondo di “Scoiattoli”, sparso tra palco
e platea.
Tutto finisce e tutto ricomincia, e La Locanda delle Fate, aggrappata all’eredità de Gli Scoiattoli, è ancora viva a
quarant’anni di distanza, ma questa, come dice Luciano Boero, è tutta un’altra storia…
“La mia chitarra suona il rock” è edito da arabA Fenice