Non avevo mai ascoltato “The Watch”, nonostante la loro carriera sia più
che decennale, e nonostante il loro nome mi avesse sfiorato numerose volte. L’accostamento
ufficiale era rivolto al mondo dei Genesis,
e mi erano chiari i loro successi oltre i nostri confini; senza voler scomodare
la retorica, è fatto consolidato che spesso si trovano i maggior consensi
lontano da casa, e i tour stranieri della band si ripetono con cadenza precisa
e decisa.
Il solo fatto di sapere che un “nostro” gruppo era in grado
di riproporre alla perfezione una musica atemporale come quella dei Genesis, con
la quale sono cresciuto, e con cui convivo da sempre, era sufficiente
per destare il mio interesse.
Quando si affronta il problema dei musicisti che riconducono ai miti del passato si aprono enormi discussioni
che non portano mai a conclusioni, perché se da un lato esiste chi sostiene che
chi ha cose da dire dovrebbe tirare fuori “del proprio”, dall’altro c’è chi pensa che è grazie a chi si dedica ai tributi che si mantiene vivo ciò che non è più
fisicamente proponibile e si educa alla buona musica chi, a quei tempi, non poteva
esserci.
Poca importa dove sta la ragione, ma quando ho ascoltato “Timeless”,
regalo della mia amica Marina Montobbio,
una superfan dei The Watch, ho capito innanzitutto che la band può mettere a tacere
ogni partecipante alla innocua contesa.
Intanto diciamo subito che delle dieci tracce proposte, tre
appartengono ai Genesis (“In the
wilderness”, Let us now make love”
e “Stagnation”) mentre le altre sette
sono … fatte in casa. Poco equilibrio e pochi dubbi quindi...
Se la tecnica dei singoli permette una maniacale cura dei
particolari, ciò che mi ha maggiormente colpito è l’atmosfera generale, sintesi
di un grande lavoro di squadra che permette di realizzare vere gemme
compositive. Il feeling a cui accenno è quello tipico a cui ci avevano abituato
i primi Genesis, e il timbro vocale di Simone
Rossetti, una sorta di Peter Gabiel italiano, accentua la sensazione di
trovarsi al cospetto di un passato glorioso con indosso nuove vesti.
E’ questo un obiettivo ambizioso e complicato da raggiungere,
perché mantenere linee guida antiche e infarcirle di idee nuove non porta
necessariamente ad un soddisfacente risultato. I The Watch riescono in tutto
questo e per esemplificare le mie elucubrazioni sarebbe sufficiente l’ascolto
di “Soaring On”, brano che una volta
sentito non ti abbandonerà mai più.
Lo spettacolo live - spero al più presto di verificarlo con i
miei occhi - dicono sia imperdibile, per una naturale capacità di riportare l’audience
ad una dimensione musicale che supera i generi e le categorie, provocando
emozioni a non finire.
E chissà che molto presto non possa raccontare la mia
testimonianza diretta!
L’INTERVISTA (A Simone Rossetti)
Suppongo che le
vostre passioni musicali siano state
“guidate” da differenti stimoli e da variegate esperienze legate alla sfera
progressive. Che cosa vi hanno dato in più in Genesis, rispetto ad altri gruppi
dell’epoca?
Diciamo la liricità e le armonie delle loro
composizioni.
Ero presente al
concerto di Torino dei Genesis, nel ’74, e la cosa che colpì di più noi
adolescenti fu l’aspetto teatrale di Gabriel, che potevamo solo immaginare
guardando le pagine di Ciao 2001. Quanto è importante per voi la scenografia in
uno spettacolo live?
I nostri spettacoli hanno la musica al centro
dell’attenzione e i limitati mezzi che abbiamo a disposizione, essendo così
spesso “on the road”, non ci permettono di avere scenografie all’altezza
dell’offerta musicale, per cui diciamo che ci affidiamo al nostro modo naturale
di stare sul palco e al farci trasportare dalla musica che amiamo, senza
scenografie, ma con tanta passione e questo viene trasmesso al pubblico che
sempre numeroso e fedele ci torna a vedere ogni volta.
Dopo oltre dieci anni
di esistenza, come giudicate la vostra evoluzione
e quella della vostra musica?
Nonostante l’amore per i Genesis, è la nostra
musica che ovviamente più ci sta a cuore, e negli spettacoli che facciamo diamo
sempre un assaggio del nostro repertorio. Direi a questo proposito che le
nostre canzoni forse si sono portate verso uno stile un po’ più semplice
rispetto al passato anche se la ricercatezza di sonorità mai scontate e melodie
poco particolari è sempre un aspetto molto importante durante la composizione
delle musiche, fatto che mi riguarda in prima persona.
Che tipo di equilibrio
ricercate nella proposizione di brani in parte vostri e in parti dei Genesis?
Dipende dalle occasioni, laddove siamo poco
conosciuti come The Watch suoniamo quasi esclusivamente Genesis, mentre nei
luoghi dove conoscono i nostri dischi suoniamo qualche brano originale in più...
è la gente che ce lo chiede e noi siamo ben felici di accontentarli.
I vostri tour esteri
sono molto frequenti e pare che uscire fuori dai nostri confini dia maggiori
possibilità di espressione - e di lavoro -. Che cosa accade realmente… quali le
differenze, secondo la vostra esperienza?
Forse in Italia c’è più attenzione a quello che
viene da fuori che dall’Italia. All’estero oltre ad un organizzazione forse
migliore c’è anche più apertura, credo, a quello che vien da fuori, anche se
essere italiani talvolta nei paesi del nord non è troppo un vantaggio e bisogna
sempre dimostrare di essere persone professionali, forse contro un modello di
pensiero diffuso che vede, a ragione o meno, gli italiani come dei poco
affidabili quando si parla di lavoro... quindi doppio sforzo per noi, ma poi
credo il nostro show appiani tutte le prevenzioni.
Nel rifacimento di un
brano conosciuto, ricercate la congruenza perfetta o preferite mettere qualcosa
di personale?
Non siamo una cover band e non ci interessa
riproporre i brani come carta carbone, abbiamo competenze musicali che
ovviamente usiamo in questo senso.
Che cosa amate della
dimensione live e cosa della fase studio?
Il live è divertente ma molto stancante per il
corpo, lo studio molto più lento e stancante per la mente, ma può essere
esaltante ancor più se le cose vengono come dovrebbero... eheh.
Che giudizio date delle
possibilità offerte dalla rete, in funzione del vostro lavoro? Potete fare un
bilancio tra aspetti positivi e negativi?
La rete è eccezionale ed è grazie alla rete che
abbiamo potuto far sempre tutto da soli, senza agenzie che spesso non sono
interessate alla musica prog, quindi bilancio super positivo, viva la rete e
non solo per questo aspetto musicale.
Quando ascolto la
musica progressiva - quella di un tempo ma anche di nuova realizzazione - mi
chiedo come tanta bellezza possa essere surclassata dalla banalità di musiche
di cui milioni di persone si nutrono. Esiste secondo voi un modo efficace per
educare i nostri giovani ad una musica - prog o non prog - di qualità?
Io ho avuto l’esperienza di mio figlio, è
cresciuto col prog in modo naturale senza nessuna forzatura da parte mia ed ora,
oltre ad essere super fan dei The Watch, ovviamente compra o scarica i dischi
dei Genesis, ELP, Pink Floyd, fino ai Porcupine
tree… è questione di abitudine ed un pizzico di cultura e pazienza per
approcciarsi alla musica con interesse... credo sia tutto naturalmente già
presente nell’uomo.
Aprite la scatola dei
desideri: cosa vorreste ved realizzato da qui al 2015?
Un altro disco The Watch dopo quello del 2013,
e ancora una tourneè ricca ed esaltante come le ultime due e quelle, spero, di 2013 e 2014
hehe.
"TIMELESS"
Tracce:
1. The Watch (1:47)
2. Thunder has Spoken (4:48)
3. One day (4:09)
4. In the Wilderness (4:05)
5. Soaring On (4:23)
6. Let us now Make Love (4:39)
7. Scene of the Crime (5:13)
8. End of the Road (6:21)
9. Exit (0:57)
10. Stagnation [bonus track] (8:34)
Formazione:
Simone Rossetti - voce
Giorgio Gabriel - chitarre
Guglielmo Mariotti - basso
Valerio De Vittorio - tastiere
Marco Fabbri – batteria
SITO: