E’ difficile da spiegare… mi ritrovo davanti ad un tunnel, un condotto che porta ad una
zona di lavoro, una delle tante che all’interno delle nostre città testimoniano
la continua evoluzione, e… lo oltrepasso, torno indietro, e mando qualche
messaggio; lo fotografo, lo registro e torno sui miei passi, in uno stato d’animo
dalla vasta gamma, compreso tra il triste ed il sereno.
Un appuntamento di pseudo lavoro mi ha portato in via Canevari, e appena il mio
interlocutore fornisce le indicazioni per raggiungerlo mi illumino.
Un quarto d’ora di colloquio e mi ritrovo in strada, la attraverso e sono al
cospetto di un film, quello che racconta di una vita passata in un attimo.
Era destino che in questi giorni bazzicassi questi luoghi.
Dovevo rilasciare una intervista utile a creare un video/documento da utilizzare
per un’occasione importante, la celebrazione di una data e di un avvenimento
che per quelli come me ha enorme significato.
Il prossimo 6 ottobre,
Genova ricorderà il passaggio dei Genesis in Italia, arrivati per la
prima volta quarant’anni fa, nel 1972.
Il giorno preciso dei ricordi sotto alla lanterna è il 22
agosto, data in cui Peter Gabriel e compagni arrivarono al Teatro Alcione, ed era proprio sulle
rovine del teatro che avevamo programmato la mia testimonianza, ma poi un
imprevisto…
Ma come dicevo era destino, e il mio burattinaio mi riporta
verso il tunnel, simbolo della mia adolescenza.
Il Teatro Alcione sarà forse ricordato per molte altre cose,
non sono di Genova e non ho seguito nel tempo le vicende cittadine, ma per me
ha un significato molto preciso: la mia prima musica dal vivo, i Van Der Graaf, i Gentle Giant, i Soft Machine… non i Genesis, perché chissà dove mi portarono quel mese di agosto i miei
genitori! Ma non li persi a Torino, due anni dopo, nell’unico concerto italiano
del loro tour.
E ora mi trovo nel tunnel, e di colpo la mia testa si riempie
di capelli, mi ritrovo addosso una candida tunica indiana, la mia borsa di
pelle fatta a mano, rigorosamente a tracolla, i pantaloni a zampa di elefante e una valanga
di patchouli … farsi riconoscere da lontano è fondamentale. Siamo in tanti in
coda, è pomeriggio - di sera non potrei certo uscire - e ci raccontiamo da veri
esperti le ultime vicende catturate da CIAO
2001.
Vado avanti e indietro nel tunnel e sorrido, mi rivedo
bambino, incosciente, incapace di intravedere tracce di futuro.
Ma la musica di quei giorni mi ha accompagnato sino ad oggi,
un filo sottile ma impossibile da lacerare, una fune a cui mi sono sempre
aggrappato per trovare momenti di sano e intenso piacere.
La fotografia del tunnel resterà per sempre con me, e non
potendo vedere cosa c’è oltre, con un po’ di impegno potrò sempre pensare che alla
fine di quel cunicolo si trova comodamente seduto un manipolo di ragazzetti che
riescono ad infiammarsi per una musica nuova, sino a quel momento mai sentita.
E tra quei giovani ci sono anche io.
Tra qualche giorno incontrerò Steve Hackett e probabilmente avrò la chance di parlare con lui,
anche se difficilmente ricorderà qualcosa dell’Alcione, ma sono certo che sarà
l’occasione per ritrovare tanti di quei visi incontrati sotto a un tunnel di
cemento, persi rapidamente e ritrovati dopo svariati lustri.
E mentre mi guardo attorno, immaginando i percorsi di un
tempo, dalla stazione di Brignole al Teatro, dopo aver pregato in tutte le
lingue conosciute per ottenere il permesso di un viaggio in treno
Savona-Genova, trovo difficile giustificare l’insensibilità dei passanti che
tirano dritto senza accorgersi di niente, senza dare assistenza morale ad un
uomo maturo in preda ad un turbinio di emozioni… ora ne avrei davvero bisogno!