E’ davvero fastidioso, nel quotidiano, sentire parlare, a sproposito,
di argomenti che non si posseggono: “parlare
tanto per parlare, parlarsi addosso e ascoltare con compiacimento la propria
voce, o leggere ciò che è uscito dalla propria penna. Questa premessa per
dire che, cercando di rientrare nella categoria di quelli che cadono solo saltuariamente nell’errore appena
citato, sono in difficoltà nel
parlare del lavoro del mio amico Claudio Milano.
Non l’avrei fatto nemmeno tempo fa, se non mi avesse lui stesso chiesto di
esprimermi su “Il gioco del Silenzio”,
del suo progetto Nichelodeon:
Le difficoltà sono legate alla complessità delle proposte di Claudio,
con linee guida che sono parallele alle mie negli intenti, ma solo
occasionalmente toccano terreno comune, come quando, ad esempio, scambiamo
ricordi e materiale relativo al condiviso amore per Hammill. E’ questione di
cultura specifica, di esperienze e storie personali, per cui se è vero che
parliamo di musica, e quindi posso dire la mia a prescindere, è altrettanto
vero che l’arte di Claudio Milano richiederebbe analisi approfondite da parte
di esperti che… spogliandosi della loro “patente”, potessero unire la qualità
intrinseca del musicista al feeling derivante dal puro ascolto. Ne esistono?
Claudio Milano è l’arte fatta persona. Milano è anche sperimentazione spinta
all’estremo, e ciò che lui racconta nell’intervista a seguire ha dell’incredibile,
e stabilisce distanze infinite rispetto al tradizionale modo di “costruire”
musica. Il sacrificio non è quello legato alle ore di registrazione in uno
studio, ma è l’ immedesimarsi nella parte, studiarla per mesi, creare le
condizioni per cui tutto possa svolgersi secondo i canoni stabiliti, lavorando
giorno e notte, anche nel sonno.
Una sorta di metamorfosi alla De Niro in occasione del suo “Racing Bull”, trasformazioni personali
che cambiano la vita, mentre il -malato- mondo della musica si interroga
preoccupato su chi condurrà il prossimo Festival di Sanremo, tra dieci mesi.
Nel comunicato stampa a fine post sono oggettivamente rappresentate le
proposte di Claudio Milano, due CD diversi tra loro, ma decisamente
“sperimentali” e non facilmente assimilabili. Occorre essere preparati
adeguatamente, sapere realmente di cosa si tratta, il perché si sia arrivati a
quel punto, che cosa ha fatto scattare la scintilla, quali sono gli intenti, chi
sono i protagonisti. Non è musica di impatto immediato, ma il know out, da cui
non si può prescindere in questi casi, è alla base dell’ascolto. Ammesso che io
possa essere un rappresentativo e significativo test di prova, oserei dire che
possono esistere due differenti risultati da ascolto, il primo “ignorando”, ed
il secondo “conoscendo”, e la differenza tra l’avere un guida e il non averla,
in questo caso può fare la differenza.
Le descrizioni che Claudio fornisce a seguire sono quindi decisive per
entrare in sintonia con lavori articolati, intrisi di test fisici e spirituali
le cui risultanti sono una miscela di sensazioni da viaggio temporale, le cui
coordinate si possono trovare solo utilizzando i sensi a nostra disposizione,
perdendo a volte la coscienza della realtà- gran bella cosa- cercando dentro di
sé qualche dejà vu spirituale.
Da leggere, tutto, con estrema attenzione.
L’INTERVISTA
Mi racconti
qualcosa di specifico sui due progetti, idee, tempo di realizzazione, obiettivi
e … giudizio finale.
Adython è un
progetto dalla gestazione assai lunga. Il concept è nato da KasjaNoova, artista
belga multimediale che mi ha contatto diversi anni fa su Myspace e mi ha
chiesto se potevo essere interessato a tradurre in Italiano e interpretare un
misterioso testo con dei deliri della Pizia. Solo qualche anno dopo ho scoperto
che il testo non era tratto da alcuna trascrizione greca originale ma era stato
scritto dalla stessa Erna in ipnosi autoindotta. La stessa richiesta fatta a
me, era stata rivolta a decine di artisti provenienti da tutto il mondo e il
fine era quello di realizzare un doppio album e una performance ispirati al
progetto. La performance è stata realizzata con un buon riscontro al Mukha
Museum of Contemporary Arts in Antwerp, ma l'album non è mai stato pubblicato a
causa di controversie con l'etichetta Avachorda. Intanto io avevo realizzato la
mia versione con Attila Faravelli e sentivo che si trattava di qualcosa di
vitale, che volevo fosse pubblicata e presto.
Sono stato
io stesso allora a proporre a Erna (KasjaNoova) di sviluppare il concept con un
ulteriore testo e una nuova traccia, alla quale hanno voluto contribuire
Alfonso Santimone e Stefano Ferrian che si è proposto anche di fare uscire il
disco per la sua dEN records.
Come i testi
sono stati scritti con l'ausilio dell'ipnosi, anch'io mi sono sottoposto prima
delle incisioni ad un profondo e dolorosissimo processo di ipnosi
transizionale, accompagnato all'uso di massicce dosi di benzodiazepine sotto
stretta osservazione medica. Prima della incisione con Attila ad esempio, dopo
aver studiato a lungo le condizioni in cui vivevano gli oracoli nell'antica
Grecia, mi sono costretto ad un processo di immedesimazione durato giorni,
costringendomi al buio, con poca acqua e pane, all'ascolto di soundscapes
tratti da suoni della terra, delle maree, dei vulcani. Ho tagliato ogni
contatto col mondo e mi sono concesso di parlare solo attraverso versi, suoni
gutturali, mugugni, sforzandomi di pensare al vuoto in un cilindro metallico.
Di notte mi sono sottoposto all'ascolto passivo di musica atonale o
dodecafonica prevalentemente per voci, archi, organo, elettronica e una volta
in studio, completamente dissociato, ho creato con Attila le condizioni
ambientali e scenografiche per entrare nel ruolo alla perfezione, circondato da
grossi amplificatori ricoperti di sacchi e teli in plastica, ciotole ricolme di
conchiglie, sassolini, semi e cereali che entravano in risonanza con le
vibrazioni del suono della voce e dei laptop che provenivano dagli
amplificatori, schizzando ovunque per la stanza. In contemporanea registravamo
rumori provenienti dalla strada con un sistema di microfonazione e interagivamo
con essi. E' stata un'esperienza catartica.
L'obiettivo
era quello di creare un ponte tra il teatro vocale estremo di Artaud/Bene/Grotowski, con le più recenti ricerche in campo
elettronico, dall'estetica glitch a quella dei laptop, al muro del suono di
alcune avanguardie noise nordeuropee. Una musica trascendente, capace di
pescare dall'interno e affacciarsi al mondo senza alcuna forma di pudore.
Il giudizio che do al lavoro è “emozionante e
perfettamente compiuto”.
Aurelia Aurita del RADIATA 5tet è invece un progetto nato
dall'incontro tra Stefano Ferrian, polistrumentista e produttore
dall'atteggiamento musicale irruento e iconoclasta e la violoncellista
argentina Cecilia Quinteros, musicista provvista di un lirismo e una suadenza
nell'approccio al suono del strumento autenticamente invidiabili. A loro si è
avvicinato Luca Pissavini, già nei NichelOdeon e ormai uno dei più assidui
frequentatori dell'avanguardia jazz noise italiana. Luca è impegnato
attualmente in decine di progetti, ma ha vissuto Aurelia Aurita con
particolare interesse perchè in esso ha potuto portare appieno la sua poetica
radicale, trasmettendo energia e invenzione timbrica e prestando al combo le
sue liriche, sagaci e giocose quanto lui è. Io alla voce e Vito Emanuele
Galante alla tromba e alla direzione, siamo stati invitati in ruoli diversi.
Vito certamente ha avuto la capacità di mitigare certi eccessi, conducendo
geometrie radicali ma ben dosate, io di contro ho avuto il ruolo di porre
l'accento sul tema del dialogo, perché il mio lavoro partiva principalmente
dalla declamazione teatrale della parola cantata. In qualche caso il mio
compito è stato quello di funzionare da collante, come in Bile dal Po, Spiralia
e (C)Tenophores, che sono gli episodi che preferisco, in qualche altro
caso, raro per fortuna, la mia voce suona “troppo fuori” dal resto che
costituisce delle linee sonore pollockiane, a dispetto del mio canto che nel
cercare una dimensione espressionista, romantica o isterica chiede agli altri
qualcosa che gli altri in quel momento non erano in grado di dare, risultando
stucchevole. In breve, è un progetto di istant composing, con qualche
canovaccio e interventi di conduzione istantanea, in cui si avverte l'isterica
giocosità e l'entusiasmo infantile tipico del free jazz noise odierno (Unza!,
Improvvisatore Involontario, El Gallo Rojo, la Amirani records di Gianni Mimmo,
Setola di Maiale di Stefano Giust), dove spesso il “senso” della conversazione
si avverte più che dalla comprensione dei singoli contributi (una volta c'erano
i soli dei jazzisti), dall'energia che la conversazione intera riesce a
trasmettere. Come una conversazione ad alta voce tra bimbi ubriachi di adrenalina
alla fine della quale anche i genitori si sentono felici di “sentire” la loro
gioia.
Un disco con picchi in ambo i sensi.
Non avevo mai
sentito parlare di KasjaNoova. Come è nata la vostra collaborazione?
Come ho
scritto prima, grazie a Myspace. Erna, oltre che musicista è performer,
poetessa, artista visiva, realizza degli oggetti in creta e gioielli. Questo il
suo sito:
E'una donna,
affascinante e misteriosa, bellissima, capace di catalizzare attorno a sé
alcune delle energie creative più vitali del suo paese.
Conoscevo in parte la
filosofia che muove lo “psicodramma”, ma non lo avevo mai visto realizzato
attraverso la musica. Come siete arrivati a questa elaborazione e… chi gioca il
ruolo di psicoterapeuta?
A questa
elaborazione io ci sono arrivato molti anni fa perché lavoro nel contesto delle
artiterapie da una decina d'anni. Avevo già applicato questa tecnica ad una
messa in scena di una mia opera teatral-musicale presentata all'Accademia di
Belle Arti di Brera nel 2000, come tesi. Con Adython, come detto ho
fatto ricorso a autoinduzione ipnotica e sono stato seguito da una psicologa e
da una psichiatra. Il percorso di studi con Carola Caruso fondato sulle
tecniche di autopercezione sonora e organica tipica del Metodo Funzionale di
Gisela Rohmert e la mia vicinanza alle tecniche di meditazione del buddismo
mahayana hanno fatto il resto.
Nella tua
musica e in quella dei musicisti con cui collabori, o che collaborano con te,
ricorre spesso la figura di Demetrio Stratos. E’ ancora l’unico punto di
riferimento per chi fa della propria voce uno strumento su cui e con cui sperimentare?
Assolutamente
no, scherzi? E' solo questione di ignoranza. Stratos non è stato neanche l'iniziatore
di un certo tipo di percorso, prima di lui ci sono stati Yma Sumac, Tim
Buckley, Cathy Berberian, Yoko Ono. Ogni campo della sua ricerca è stato
portato poi a soluzioni ben più estreme dal suo maestro Tran Quang Hai, da
Renato Miritiello (Renè Mirì), Patrick Fassiotti, Oskar Boldre, Albert Kuvezin,
Sainkho Namtchylak, Nusrat Fateh Ali Khan, Giuni Russo (si, proprio lei, andate
ad ascoltarvi “Una vipera sarò”, il finale inaudito e tecnicamente inspiegabile
di “L'Addio”, “Crisi Metropolitana”, “L'Oracolo di Delfi”, “Sakura”, “Nada Me
Turbe” e capirete di cosa sto parlando) e da decine di voci “illuminate”. Nel
frattempo molta altra gente ha sviluppato poetiche altrettanto interessanti,
Meredith Monk, Joan La Barbara, Diamanda Galas, Dagmar Krause, Catherine
Janiaux, Viviane Houle, Phil Minton, Arrington De Dionyso, i sopranisti Aris
Christofellis, Angelo Manzotti e Radu Marian, Iva Bittova, la ricerca timbrica
estrema di Peter Hammill e Mike Patton (ma anche Geoff Tate), Lauren Newton,
Bobby Mc Ferrin e i suoi diretti italiani Albert Hera e Boris Savoldelli, John
De Leo, Romina Daniele, Antonella Ruggiero. Questi solo per fare alcuni nomi e
la quasi totalità di costoro non sanno o non hanno saputo neanche
dell'esistenza del maestro di Alessandria D'Egitto. Questo nulla toglie alla
genialità di Stratos, ma è davvero una vergogna che in Italia di tutto questo
marasma che si è mosso attorno all'idea di “voce strumento” (termine
discutibilissimo perché uno strumento può suonare magnificamente anche solo su
un paio di ottave, senza virtuosismi o emissioni inconsuete e basti pensare a
Tom Waits, David Sylvian, Mina, Sinead O'Connor, David Bowie, Antony, Nina
Simone, Chet Baker, Billie Holiday e quante altre centinaia di meravigliosi
strumenti-voce?), si sia salvato un solo nome dagli anni '50 ad oggi. Ci credo
poi che appena uno fa un passaggio d'ottava viene paragonato a lui e quindi
ecco che Edda, il primo Piero Pelù, Renga, Giuliano Sangiorgi sono tutti
“discepoli di Stratos”, a questo punto sarebbe il caso di metterci in mezzo
pure Al Bano.....
No Athos, io
ho davvero poco a che vedere con lui. Io sono un bass-baritone, lui era un
tenore, lui puntava tantissimo sulla perfezione tecnica, cosa che a me
interessa molto relativamente, così come il concetto di tecnica come fine
(indagato scientificamente) e non come mezzo. Demetrio aveva una irruenza tutta
rock, era un gigante, io esibisco la mia vulnerabilità, con sfacciataggine.
Stratos ha indagato l'uso delle diplofonie, delle trifonie e del kargyraa con
rigore, io ho appena sfiorato l'argomento perché sono molto più preso dalla
ricerca dei canali di risonanza dei registri da mezzosoprano, soprano e suoni
di fischio, da lui usati con grande parsimonia. A me interessa una teatralità
molto espressionista, viscerale, profondamente implosiva che esplode in
violenza quanto in momenti puramente meditativi, lui era energia rock allo
stato puro. A me interessa l'estremizzazione delle dinamiche e l'estrema
duttilità vocale e lui puntava tutto su una potenza devastante. Stratos era un
terrorista musicale, un guerriero, io sono un buon paziente per un reparto
psichiatrico della mutua, ma non per questo non apprezzo il mio percorso.
“Il rumore della poesia, la poesia del rumore”,
una sorta di ossimoro che si presta a varie interpretazioni. Qual è la tua?
Ha a che
vedere con il valore che attribuisco al dionisiaco nel mio percorso. Vorrei
citare Patti Smith “cerco il
piacere, cerco i nervi sotto la tua pelle. L'arco stretto; gli strati; la
vecchia pergamena. Noi adoriamo l'imperfezione, la pancia, la pancia, il neo
sulla pancia di una squisita puttana”. Mi interessa ben poco la bellezza canonica, al limite
rimango estasiato dall'ingenuità che alcune persone conservano, la semplicità
assoluta, di cristallina bellezza di alcuni
haiku giapponesi. Il lato oscuro delle cose, quello che non si vuole
vedere, è sincero quanto almeno lo è l'ingenuità preservata e il rumore sa
essere molto più sincero e poetico di molto suono grondante sovrastrutture.
Allo stesso modo l'ingenuità preservata che è propria della poesia vera può
fare scalpore e richiamare nell'uomo un unico desiderio, quello della
violazione, perché l'essere umano è peggio di un virus, ha fame di possesso. Io
ho bisogno di risvegliare quanto di più puro ho dentro, partendo dall'incoscienza
giocosa che sa guardare il sole per ore con stupore come lo sguardo di un
bambino autistico o di un mistico in preda ad estasi, senza farsi male.
Esiste un
punto di incontro tra “Adython” e “The Radiata 5tet”?
Labile, le
poetiche sono assai diverse.
Quando penso a
Claudio Milano mi viene immediatamente in mente musica di estremo impegno, di
difficoltà realizzativa e di non certo semplice fruizione. Sai che non amo
molto le etichette, ma… prova ad autocollocarti in un dei tanti settori musicali
esistenti.
Musica per
bambini malati e curiosi.
VIDEO links:
http://www.youtube.com/watch?v=GKqSICIprzs (con Attila Faravelli)
http://www.youtube.com/watch?v=0MxVrTMwemI (con Arrington De Dionyso)
PER L'ACQUISTO:
AUDIO links:
http://soundcloud.com/the-radiata-5tet (Aurelia Aurita)
Comunicato stampa
dEN Records, la nuova etichetta di Stefano Ferrian, è felice di annunciare l'uscita di ben 2 nuovi CD con membri di NichelOdeon (Claudio Milano e Luca Pissavini), disponibili dal 27 Gennaio sul sito www.denrecords.eu:
dEN004 Claudio Milano, Erna Franssens aka Kasjanoova "Adython" _ Grandiosa collaborazione tra le piroette vocali di Claudio Milano, attualmente uno dei più interessanti e dotati cantanti italiani, sui testi di Erna Franssens nota anche come Kasjanoova. Il progetto vanta la collaborazione di Attila Faravelli, Alfonso Santimone, fresco del premio InSound come miglior musicista elettronico, e Stefano Ferrian. Il risultato è molto particolare grazie al trattamento istantaneo del suono effettuato da Faravelli sulla traccia "L'Oracolo di Delfi" e Santimone su "Adython". Dark Avantgarde per i fan di Arrington De Dionyso degli Old Time Relijun che ha anche scritto una presentazione del progetto presente all'interno del libretto.
dEN003 The Radiata 5tet "Aurelia Aurita" _ interessantissimo quintetto nato dalla collaborazione tra Stefano Ferrian e Cecilia Quinteros, violoncellista di Buenos Aires. Ai due si uniscono Claudio Milano e Luca Pissavini, entrambi vincitori dell'Omaggio a Demetrio Stratos con NichelOdeon, e Vito Emanuele Galante alla Tromba. Un progetto in bilico tra avantgarde, improvvisazione ed esperimenti in conduzione istantanea.
http://soundcloud.com/claudio-milano