Ho visto
per la prima volta la Locanda
delle Fate dal vivo
al ProgLiguria dello scorso gennaio. Ho potuto ascoltare solo
frammenti di un set di per sé già corto, per la necessità di comprimere molte
band in uno spazio temporale limitato. Per un uomo “antico” come me (purtroppo
o per fortuna, a seconda delle situazioni!) il nome del gruppo evoca ricordi lontanissimi,
quando la mia “rigidità” adolescenziale mi portava a considerare il prog
italiano diviso in fasce, non tanto di qualità, ma di conoscenza, situazione
che poi spesso determinava lo scellerato giudizio finale.
Poco
importante il pensiero di un sedicenne che conosceva una sola “Facoltà” da
seguire, quella di Ciao 2001(unica fonte di informazione), e che assisteva ai
concerti che capitavano nel raggio di 100 chilometri, quasi sempre stranieri,
ma di fatto mi sono perso per strada la “Locanda”(e chissà quanti altri
gruppi!), e alla luce di questo nuovo ascolto, The
missing fireflies, ho avuto la conferma che anche per me
esistono “lucciole mancanti”.
Il sunto del titolo dell’album è concentrato nelle seguenti righe che ho
preso in prestito dal sito ufficiale della band:
The missing fireflies (Le
lucciole mancanti) ovvero quei brani, finora inediti nella versione studio, che
non poterono trovare posto sul primo LP "Forse le lucciole non si amano
più" dato che per motivi tecnici su vinile non era e non è tuttora
possibile, superare i 25 minuti per lato pena un decadimento inaccettabile
della qualità sonora. Inoltre l'album contiene alcune tracce live tratte
da un concerto del 1977 al Teatro Alfieri di Asti.
Tutti i riferimenti alla storia, al presente e al
futuro della Locanda delle Fate sono fruibili al seguente link che indirizza al sito ufficiale:
... e nell’intervista a seguire, Luciano Boero,
bassista del gruppo e membro originale, condensa una storia di musica e vita
che parte da molto lontano.
Ho ascoltato con estremo interesse, più
volte, The missing fireflies, album che presenta brani mai
registrati, ma da sempre suonati dal vivo, e
una “seconda sezione” live, con la riproposizione di parte di
un concerto del 1977, tenutosi al Teatro Alfieri di
Asti.
Un ben conosciuto effetto domino mi ha portato a ricercare nei miei
“archivi” il loro
marchio prog, “Forse le Lucciole non si amano più”, e a questo
punto la comparazione è risultata semplice.
Da un po’
di tempo a questa parte non sono molto interessato alle collocazioni storiche,
ai giudizi sui percorsi, a terminare i pensieri sulla musica che ascolto
con un “ma… però…”. Sono invece molto concentrato sul …
lasciarmi travolgere( e capita spesso) dall’ascolto, fuggendo da posizioni
intellettualoidi, che danno un certo tono, ma impediscono di lasciarsi andare,
che in soldoni significa poter godere appieno di ciò che ci viene
regalato.
The missing fireflies è un fantastico album di musica progressiva.
Tale etichetta è necessaria per determinare il genere, e per evidenziare
che siamo al cospetto di prodotto di nicchia, purtroppo.
Ma questa musica settoriale ha ormai assunto la dignità della
“classica”, e credo che l’unico motivo per cui sia patrimonio di pochi è perché
non si hanno molti modi per portarla tra le braccia dei nostri giovani, che
quasi sempre… ignorano.
E’ sufficiente l’ascolto di “Crescendo”, una delle nuove
registrazioni, per capire cosa significhi realizzare musica che sappia
unire talento, tecnica e gusto, regalando momenti di pura emozione attraverso
la voce di Leonardo Sasso e i cambi di ritmo e le armonie che
riportano ai Gentle Giant e al Banco. Il
brano è ripetuto dal vivo, come già detto, e ciò permette la comparazione di
due epoche molto lontane, facendo emergere da un lato il
tentativo-riuscito- di effettuare una versione in studio molto “vintage”,
ed evidenziando al contempo una forza comunicativa incredibile, che rende il
brano- ma così tutto l’album- di estrema attualità e forza.
Dovendo scegliere un messaggio “centrale”, una “bigniamica”
considerazione riassuntiva, direi che The missing fireflies può
suscitare in un appassionato del prog anni ’70 la conferma- o la scoperta- di
una perla musicale caratterizzante del genere. Ma allo stesso modo è in grado
di stupire il “giovin curioso” che, grazie ad una buona dose di
sensibilità, abbandonerà i preconcetti tipici dell’età riuscendo così a farsi
avvolgere da suoni per lui inconsueti.
Ovviamente sto parlando di Musica!
Foto di Enrico Rolandi
L’INTERVISTA
Vi ho
lasciato sul palco di La Spezia e da lì inizio. Che giudizio ti senti di dare
del ProgLiguria del 21 gennaio scorso?
E' stato
un evento unico, un concentrato della miglior musica progressive italiana.
Peccato che l'affluenza del pubblico non sia stata pari agli sforzi compiuti
dell'organizzazione, motivata e complessivamente di ottimo livello, ai quali va
un grandissimo plauso per i fini di solidarietà perseguiti. Purtroppo
l'acustica del locale era scadente, faceva freddino, occorreva stare in piedi:
forse un ambiente più confortevole avrebbe giovato all'evento, per lo meno
avrebbe reso giustizia a coloro i quali erano intenzionati sobbarcarsi il
no-stop di 12 ore per farsi una scorpacciata della loro musica preferita. Il
prog ha dimostrato comunque di essere, per chi ancora non lo sapeva, un genere
di nicchia. Questo, va detto, non necessariamente é un difetto...bisognerà
però tenerne conto nell'organizzazione di eventi futuri.
Ho appena
ascoltato il vostro album, “The missing
fireflies” e sono rimasto colpito dalla “freschezza” di questa musica che,
nonostante sia in un buon momento di riscoperta, resta prodotto di nicchia. Che
giudizio ti senti di dare sulla musica progressiva e, più in generale, sulla
situazione attuale del mondo musicale?
La musica
progressive sta riscuotendo un rifiorito interesse, specialmente (e questo è
straordinario!)da parte di giovanissimi. Poi, ci sono neonate band (non faccio
nomi per non far torto a nessuno) che non hanno nulla da invidiare alle più
blasonate formazioni dei '70. Ciò non può che far piacere a chi ha a cuore la
buona musica. E' purtroppo, come hai detto, un fenomeno di nicchia: l’
"usa e getta" continua ad imperare; ma è un segnale positivo,
qualcosa sta cambiando.
Tra poco
partirete per l’oriente, in buona compagnia, ed è questo un fenomeno ripetitivo
per certi gruppi di casa nostra. Perché, secondo te, esiste tale entusiasmo da
quelle parti e si spendono fior di quattrini per un concerto, che spesso in
Italia non raccoglie pubblico nemmeno se è gratuito?
Ahi, qui
tocchi le dolenti note! Potrei rifugiarmi in un "nemo propheta...",
ma non è qualunquismo, credo veramente che un fondo di verità ci sia. Anche qui
da noi regna l'esterofilia, da sempre. La qualità non c'entra. Se ProgLiguria
fosse stato fatto a Tokio, probabilmente avrebbe fatto sold out. Oppure può
essere che il pubblico giapponese sia più maturo, meno legato alla musica di
plastica, non lo so... lo verificheremo a breve!
Quali
sono secondo te i reali stimoli che portano alle tante reunion di band “ferme”
da svariati lustri?
Beh, non
sicuramente il miraggio di facili guadagni! Il prog non paga, o perlomeno paga
poco. Credo prima di tutto la passione, l'amore per la buona musica, il
desiderio di sentire ancora quelle vibrazioni fantastiche che caratterizzavano
il prog degli anni '70. Per La Locanda delle Fate è stato così. Rifare dal vivo
certi passaggi musicali, o ascoltare la voce di Leo, è stato riprovare
brividi nella schiena, esattamente le stesse sensazioni che provavamo nella
cantina di corso Savona di Asti quando ci vennero per la prima volta, felici e
meravigliati di aver fatto qualcosa di grande, almeno per noi.
Cosa
significa per te performance live? Cosa riesci a stabilire con chi ti è di
fronte durante un concerto?
Per un
musicista il pubblico è fondamentale. Ti stimola, interagisci; non potresti mai
dare la stessa prestazione in una sala prove o in uno studio di registrazione.
Dovresti farti una flebo di adrenalina, per avere la stessa carica. Poi, noi
abbiamo Leo che, figlio d'arte (suo padre Ugo era un valente attore),riesce
magistralmente ad instaurare con il pubblico un legame diretto, non lasciando
mai cadere l'attenzione. Non ultimo, il piacere sottile di rimettersi in gioco.
Lì salti senza rete, se cadi ti fai male, ma se fai un bel salto la
gratificazione che senti dentro di te è infinita.
Ripensando
alla storia de “La Locanda delle Fate”, esiste qualcosa che cambieresti, se
potessi tornare indietro nel tempo?
Beh,
quando ci formammo nel 1971, non avevamo in mente di avere in tasca i numeri
per arrivare ad un discreto successo. Eravamo consci di essere
"forti", questo sì, suonavamo i pezzi più difficili, ci sfidavamo
continuamente. Forse avremmo dovuto pigiare un po' di più sull'acceleratore,
arrivare un po' prima a "Forse le Lucciole", in modo da prendere un
po' prima il treno su cui viaggiavano già Banco, PFM, Orme, ecc.
Qual è la
soddisfazione maggiore derivante dalla realizzazione e dall’uscita di “The
missing fireflies”?
Sentire
dei giudizi come la premessa alla tua seconda domanda! A parte gli scherzi,
condividevamo un po' il rincrescimento di non aver dato alla luce in studio
pezzi partoriti nei '70, delle stessa dignità degli altri di "Forse le
lucciole", come "Crescendo" e "La giostra".
Registrarli è stata dapprima un'emozione forte, seguita poi dalla soddisfazione
di essere riusciti nell'intento di rendere loro giustizia.
Fuor di
retorica, che consiglio ti sentiresti di dare a chi, in giovane età, toccato
dal sacro fuoco della passione musicale, decidesse di perseguire la strada
della musica, con l’intento di viverci?
Con
l'intento di viverci? Beh, sicuramente direi di non dedicarsi al Prog! E' un
genere troppo di nicchia per poterci campare. Gli consiglierei di seguire le
vie del Rock-Pop, cominciando magari a suonare dapprima con una buona cover-band,
tanto per farsi le ossa, poi tentando di passare in qualche band che faccia
pezzi originali, con un suo pubblico. Se poi, oltre che musicista, fosse anche
autore, allora decisamente quello sarebbe l'indirizzo giusto. L'industria
discografica ha sempre fame di pezzi buoni ed originali: difficilmente un
grande pezzo rimane nel cassetto.
Esiste un
gruppo guida che vi ha ispirato sin dagli inizi e che continua a essere una
fonte di influenza filosofico musicale?
Come
Locanda delle Fate cominciammo nel 1971 a fare le cover di gruppi come King
Crimson, Genesis, Gentle Giant, E.L.P., Jethro Tull, Chicago, Blood, Sweat
& Tears ed altri. Tutti ci ispirarono qualcosa, ma credo che i più
significativi siano stati i primi tre. Però, quando ci ritrovammo in cantina a
fare pezzi nostri ("Forse le lucciole.."), ci accorgemmo ben presto
che le nostre melodie accendevano in noi una magia particolare, molto più
grande di quella che poteva suscitare l'esecuzione di una cover, pur se bella o
impegnativa musicalmente.
Mi
racconti un aneddoto, positivo o negativo, ma significativo, che ha
caratterizzato la prima fase di vita della band?
Nel 1975,
quando ormai avevamo già registrato il demo di "Forse le lucciole..",
capitò che in zona capitasse il Banco. Andammo tutti al concerto poi ci
ritrovammo insieme, Locanda e Banco al completo, a casa di Leonardo per la
classica "rimpatriata" . Leo cucinava la carne alla griglia e faceva
il mangiafuoco: beveva petrolio e poi lo spruzzava via, incendiandolo con un
tizzone acceso. Furono loro, alcuni dei quali erano amici d'infanzia di Leo e
compagni nelle "Esperienze", ad ascoltare in anteprima il nostro
nastro con i provini dei pezzi di "Forse le lucciole". Furono sempre
loro, ed in particolare Francesco, ad incoraggiarci ad andare avanti. Quei
commenti autorevoli e positivi ci fecero capire che ce la potevamo fare.
Che cosa
è lecito aspettarsi dalla “Locanda” nell’imminente futuro?
Sicuramente
dei concerti live, poiché dopo la reunion abbiamo riscoperto il piacere di
salire su di un palco. Nel frattempo, in cantina, cercheremo di mettere giù
qualcosa di nuovo. Obbiettivo: dovrà essere un album di matrice prog che non
sfiguri nei confronti di "Forse le lucciole...". Abbiamo già
imbastite diverse idee. Sappiamo che è un obbiettivo molto sfidante, ma le
sfide ci piacciono.