mercoledì 29 febbraio 2012

Sergio Pennavaria-"Senza Lume a Casaccio nell’Oscurità”


Vieni che andiamo a sentire Pennavaria”… “E chi è?”… “Ma dai… è molto conosciuto!”.
Mi occupo di musica quotidianamente, qualsiasi musica, purché di qualità, secondo i miei canoni. Eppure non sapevo chi fosse Sergio Pennavaria, un cantautore siciliano da anni residente a Savona. Questa è una prima nota che dovrebbe fare riflettere sulla difficoltà che tutti i musicisti “nuovi” hanno, alla ricerca continua di visibilità, che non significa ossessione del successo, ma voglia/necessità di  vivere una vita secondo le proprie passioni e il proprio talento.
Ho ascoltato un paio di pezzi, in uno spazio grazioso ma ristretto, e sono rimasto colpito da molte cose: il personaggio, il suo modo di esprimersi, i suoi messaggi e … i suoi musicisti.
Esattamente una settimana dopo ci siamo trovati per un caffè e sono nati i presupposti per l’intervista a seguire.
E’ stata anche l’occasione per entrare in contatto pieno col mondo di Sergio, attraverso il suo album “Senza Lume a Casaccio nell’Oscurità”, contenitore musicale che prevede la partecipazione di ospiti illustri, come Carlo Aonzo o Claudio Bellato, per citarne un paio che conosco personalmente.
L’impatto con la musica di Sergio mi ha portato ad immediato paragone con “il cantautore” del passato, figura di forte impatto simbolico, punto di riferimento, vate da seguire dal punto di vista politico o spirituale. Una definizione, quella del cantautore, sempre molto più ricca del semplice “musicista che scrive e interpreta le proprie canzoni”.
Sergio Pennavaria è tutt’altra cosa, e credo che, come Zibba, faccia parte di un filone musicale innovativo e trascinate, che ha il pregio di non essere costruito a tavolino, ma al contrario pieno di spontaneità.
Sergio racconta la sua vita- e di cose da dire ne ha-, momenti di sofferenza e gioia contrassegnati e contaminati dalle arti più varie e dal coraggio della vita di strada, quando necessario.
E nel suo racconto musicale, Jakyll diventa Hide, e Sergio cade in trance da performance, interpretando fisicamente la lirica in atto in quel momento.
Una metrica  costruita solo per lui, probabilmente difficile per qualsiasi altro interprete  che non abbia vissuto sulla propria pelle le stesse esperienze di vita, si mischia a musica di prim’ordine, tra jazz, blues e colorite spruzzate etniche. Giova a Sergio la vicinanza di grandi musicisti, come Loris Lombardo, Alessandro Graziano, Boris Vitrano, Federico Fugassa e Mirco Rebaudo, ovvero il gruppo base che lo accompagna dal vivo, e che già da solo sarebbe uno spettacolo, ma è proprio questa una delle chiavi di lettura di questo artista e del suo album… avere idee e talento supportati dalla tecnica e dal gusto di una vera band.
Gli “episodi” di Pennavaria fanno sorridere, fanno piangere, fanno riflettere, portano a differenti stati d’animo che sono  quelli che Sergio ha provato, ad esempio, nel suo periodo di “lavoro da metropolitana”, quando dalla mattina alla sera, con chitarra e voce in perenne utilizzo, la durezza della strada veniva compensata dalle formative esperienze quotidiane. I giorni duri non sono finiti, anzi, eppure occorre trovare un senso e qualche tipo di motivazione che spinga a provarci sempre, senza abbattersi ne esaltarsi.
E ora, un passo successivo mi sembra d’obbligo…



L’INTERVISTA
Ti ho “incontrato” casualmente, nel corso della presentazione del tuo album, alla Ubik. Mi sono bastati dieci minuti per capire che avrei dovuto approfondire e dopo una settimana ho avuto l’opportunità di conoscerti, a Savona, la mia… nostra città. Sei siciliano, hai vissuto in Calabria, a Roma, in Inghilterra, ma… cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto questo mondo ligure, così diffidente, così chiuso, soprattutto per chi è abituato alla solarità del meridione?
Credo che la nostra interiorità resti sempre e comunque il viaggio più sorprendente ed appagante che intraprendiamo giornalmente, il luogo, il contesto per me sono stati sempre dettagli, scatole da regalo dove potermi intrufolare per scoprire la sorpresa. Poi vorrei sfatare questo falso mito del ligure chiuso, il ligure è come una porta che lascia uno spiraglio, credo che anche lì conti molto quanto  curiosi e pronti siamo per l’effetto sorpresa!
Ho trovato un positivo contrasto tra te e gli elementi che ti accompagnano: tu capace di inventare e di esprimerti con tutto il corpo, istrione, comico, improvvisatore, e loro molto più “nella parte”, artisti che potrebbero condurre un concerto con uno spartito davanti. Eppure la miscela mi è sembrata esplosiva. Come giudicheresti questo mix?
Premetto che ognuno dei musicisti con cui ho la fortuna di suonare è caratterialmente molto diverso dall’altro, con storie di vita alle spalle differenti e, come è giusto che sia, con un approccio alla musica e al palcoscenico emotivamente diverso. Sicuramente sono entrati nel rischioso gioco dell’improvvisazione, del colpo di scena, momenti che durante un concerto personalmente mi aiutano a non prendermi troppo sul serio, e loro hanno dato sempre dimostrazione di stare piacevolmente al gioco. Credo che prima di mandare grandi messaggi, nella musica ci si dovrebbe saper divertire, legati sempre ad una coerenza riguardo i contenuti e mantenendo un’onestà artistica.
La tua biografia suggerisce numerosi spunti e curiosità. Mi spieghi quanto ti senti a tuo agio nella definizione di “Cantattore”?
Per rispondere a questa domanda sono costretto a ricollegarmi al concetto precedentemente espresso riguardo la coerenza artistica. Da sempre, sin da bambino, ho utilizzato i linguaggi dell’arte (disegno, musica, scrittura successivamente pittura, scultura e teatro) come tramite per potermi raccontare, e dato che trovo l’arte un terreno fertile per poter coltivare la verità, vivo la mia esibizione come un qualsiasi lavoro in cui bisogna adoperare la forza fisica e avere quindi una discreta resistenza; io quando canto e suono, soffro e fatico e la mia faccia non cela questa sanguinante condizione, ed ecco la smorfia che inevitabilmente verrà ricondotta al teatro, che sì ho frequentato, ma lungi da me l’ attribuirmi la nobile qualifica d’attore.
Esistono figure di artisti dove la capacità di esprimersi attraverso arti differenti non presenta confini, e sono frequenti i casi di pittori-cantanti o musicisti-poeti e così via. Avverti nel tuo caso una linea di demarcazione tra il tuo essere poeta e il tuo agire da cantautore?
Non credo d’essere un poeta e ti ringrazio per l’istante fugace trascorso in cui mi hai fatto anche solo immaginare di poter esserlo. Credo d’essere più un cantautore, ma per il mero fatto di scrivere, musicare e cantare le parole che poi nell’insieme danno vita ad una canzone. Comunque credo che l’uno possa assolutamente coesistere con l’altro, vedi De Andrè, Ferrè, De Gregori, Fossati ed altri.
Ho ascoltato con interesse il tuo racconto sul tuo passato da “musicista di metropolitana”, che tu mi ha spiegato sia stato un lavoro a tempo pieno, quasi come timbrare un cartellino. Come ti ha formato un’esperienza del genere?
Mi ha dato la possibilità di non dover ergere, tra me e chi mi ascolta,  barriere, dislivelli, un punto di vista sicuramente più a misura d’uomo, una prospettiva ad un unico livello, niente palchi, pedane, troni, solo occhi negli occhi con la gente e tanti artisti (veri artisti) conosciuti percorrendo le varie stazioni della metropolitana Rebibbia di Roma. Esperienza che mi ha fatto capire la differenza che esiste tra uno che crede d’essere ed uno che è! Purtroppo  capita spesso di assistere alla miseria del divismo che purtroppo si manifesta  spesso  tramite stratificazioni culturali o meglio, di bassa cultura. Questi artisti conosciuti in strada e in metrò mi hanno insegnato senza dirmi nulla, ma semplicemente con le loro azioni, quanto possa valere una persona umile, e nel loro caso un artista umile che si esprime con gioia allo stesso modo davanti ad una, dieci, cento persone, e non aspetta un applauso come risposta a ciò che ha fatto, ma solo vedere una faccia contenta!    
Se dovessi indicare “il colpevole”… quello che ti ha portato realmente sulla via della musica, con chi dovresti prendertela?
Nessun colpevole o meglio, tanti,  visto che sono il quarto di cinque figli, tutti,  chi più chi meno cantiamo, ed in tre scriviamo canzoni. I miei genitori cantavano, quindi facendo un breve calcolo… 
Che cosa non funziona, secondo te, in questo mondo musicale? Perché musicisti come te, che probabilmente qualche anno fa avrebbero “sofferto il giusto” per avere visibilità, rischiano oggi di soffrire tutta la vita?
Troppa gara, ci fanno concepire la musica come strumento, o meglio arma, da utilizzare per competizioni che in realtà servono ad allontanare, rendere antagonisti chi si serve del veicolo di maggior aggregazione del mondo culturale, appunto la musica. Credo che sia un fatto prettamente di educazione mediatica e che in diverse amministrazioni comunali si tende spesso a spendere e spandere per la stella del momento e contrariamente si polemizzi troppo per pagare un rimborso spese a chi ancora sogna guardando le stelle, quelle vere però, quelle  che stanno in cielo. Comunque credo che ormai tutti sappiano che l’Italia non sia il massimo esempio per ciò che concerne la meritocrazia. Si è troppo abituati a comprendere (quando si comprende) con i tempi del web; ormai non interessano, e questo credo in tutto il mondo, analisi, riflessione e contemplazione, si dedicherebbe a queste forse troppo tempo prima di procedere e passare al giudizio e quindi alla scelta personale. Tanti, troppi venditori di fumo e tanti creduloni che comprano questo fumo credendo di trattenerlo in un pugno in eterno… prima o poi gli scapperà uno starnuto no?
Mi hai detto come alla fine di una performance tu sia quasi stravolto, persino irriconoscibile mentre canti e suoni. Che cosa significa per te esibirsi dal vivo?
Per me esibirmi significa alzare il volume ai miei pensieri, alle mie tensioni, ai miei entusiasmi. Significa come ti dicevo prima sanguinare, irrigidirmi per poi lasciarmi andare quasi in caduta libera. Per me significa semplicemente confessarmi!
Quando leggo la parola “cantautore”, la mia mente corre in automatico alle figure carismatiche degli anni ’70, a volte incomprensibili nel loro esercizio intellettuale quotidiano. Esistono però figure nuove- per restare in ambito cittadino, oltre a te apprezzo molto Zibba- che stanno disegnando un ruolo nuovo, dove esiste un personaggio, un messaggio esposto in modo originale e grande musica. Non pensi che questa sia un po’ l’evoluzione di quell’uomo solitario che si poneva di fronte al pubblico con la sola chitarra?
Credo che gli uomini solitari siano stati protagonisti di tutte le epoche e non solo degli anni ’70, e qualcuno capita di vederlo ancora oggi in giro. Non penso esistano differenze tra cantautori per quanto riguarda l’atto creativo, poiché il fine resterà sempre per tutti la necessità di raccontare. La differenza sarà solo stilistica e di quanto si voglia fare subentrare la politica nella musica. I cantautori degli anni ‘70 l’hanno fatto sicuramente più di noi o forse il loro messaggio è stato più esplicito.
Mi racconti un aneddoto, un incontro davvero significativo, magari anche negativo, che ha caratterizzato il tuo percorso di vita?
Credo che l’aneddoto più significativo che mi è capitato nella mia vita risalga ad un anno fa ed è stata la morte di mio padre. Credo abbia caratterizzato e segnato profondamente su diversi fronti la mia vita.
Sei giovane ma hai già percorso una bella fetta di strada. Esiste qualche rammarico per un’azione che non hai intrapreso per eccesso di cautela?
Per abitudine o per eredità vivo il rammarico come stimolo a far si che la qualità della mia vita possa seguire una corrente diversa, essendo assolutamente impreparato a cosa potrei andare in contro; sono un impulsivo e tutto quello che ho fatto o che non ho fatto è stato sempre elaborato nell’attimo, e passionalmente  sentito, voluto o non voluto, nel medesimo attimo.    
E ora sogna- almeno i sogni nessuno può rubarceli-. Cosa vorresti ti capitasse, musicalmente parlando, da oggi al 2015?
Suonare tanto da Nord a Sud e promuovere “Senza Lume A Casaccio Nell’Oscurità”, mio ultimo lavoro discografico, per farlo conoscere un po’ in giro e nel frattempo lavorare sul prossimo che sarà un progetto strettamente legato alla mia isola, la Sicilia. Avrò nel 2015 quarant’anni e forse avrò l’età giusta per essere sufficientemente credibile e confessare alla mia terra che in fondo non l’ho mai dimenticata. 



Un po’ di storia…
Sergio Pennavaria nasce a Siracusa il 21 febbraio del 1975. Cantautore e pittore consegue il diploma di laurea in Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria ottenendo la valutazione di 110 e la lode discutendo una tesi in storia dell’arte dal titolo “La maschera del volto”, focalizzando la propria attenzione sull’utilizzo della maschera in senso antropologico, pittorico, cinematografico e teatrale. Per l’occasione scrive una commedia brillante: “ Ring ” curandone regia, trucco, scenografia e partecipando come attore. Grazie ai genitori, entrambi cantanti, ancora bambino, i suoi ascolti musicali variano dalla musica italiana d’autore, passando da Elvis, Polanka sino ad i Beatles band amata dal padre. L’approccio alla musica, alla scrittura e quindi alla canzone avviene prestissimo, quando a 12 anni orienta il suo interesse all’ascolto dei cantautori degli anni 70. Infatti è proprio a questa età che inizia a strimpellare la chitarra della sorella e a 13 anni la prima canzone, ed un patto intimo e fedele con lo strumento di cui ancora oggi si serve per la composizione e la rappresentazione dei suoi brani. Nel 1993 in Sicilia con il brano Francesco, partecipa alle selezioni per il festival della canzone italiana di Sanremo, è il cantautore più giovane in gara e supera la fase regionale, ma non ha etichetta discografica e decide di abbandonare le selezioni. Le prime registrazioni risalgono allo stesso periodo, infatti registra quattro brani nello studio discografico “Le Ciminiere” di Catania. Dopo una serie di concerti con band locali, nel 1996 lascia la Sicilia trasferendosi a Reggio Calabria. Qui frequenta l’ambiente universitario della città, in particolar modo instaura dei rapporti artistici con alcuni studenti della facoltà di Architettura che gli danno la possibilità di inserirsi subito in certi contesti culturali. Dopo due anni decide di andare via e di dirigersi questa volta a Roma, dove per un intero anno farà l’artista di strada o meglio di “ metropolitana ”. Infatti vivrà questa esperienza giornalmente sulla linea Rebibbia. In questo periodo si esibirà pure in alcuni Pub della capitale. Alla fine dello stesso anno decide di andare a Londra, dove vivrà per quasi un anno. La metropoli inglese allarga gli orizzonti al giovane musicista che qui ha la possibilità di assistere a numerosi concerti e conoscere musicisti arrivati da ogni parte del mondo. Nel frattempo in lui inizia a fermentare la passione per il cinema ed il teatro. Ama in maniera particolare lo sceneggiatore, regista e musicista serbo Emir Kusturica. Grazie all’ opera cinematografica del regista ha modo di ascoltare per la prima volta il bosniaco Goran Bregovic il quale compone le colonne sonore di alcuni film del regista. Pennavaria si appassiona ai temi zigani e slavi meridionali, alla musica polifonica popolare dei Balcani.
Nel 1999 ritorna a Reggio, dove conosce il crotonese Giovanni Squillacioti, raffinato percussionista con cui un anno dopo daranno vita al progetto musicale dei Calìa. La band, con l’aggiunta della presenza scenica di Pennavaria, propone un connubio musicale che spazia dalla musica balcanica, a quella araba e del mediterraneo in genere. I Calìa hanno partecipato ad alcune rassegne musicali, a concerti in pub e piazze di alcuni comuni sparsi sul territorio calabrese e siciliano e, grazie ad una grande passione per il teatro di strada, nei vicoli di alcuni centri storici. Nel 2001 Pennavaria ritorna in Sicilia, a Catania, dove vivrà per due anni dedicandosi alla pittura. In questo periodo partecipa ad una serie di esposizioni pittoriche e scrive due racconti: “Il bosco incantato” ed “Il caso Giuly Anderson”. Questo è l’anno che lo vede pure presenziare in una mostra collettiva di design dal titolo “PROGETTO SEDIA”, tenutasi in uno spazio commerciale della città. L’artista presenta un’ opera ricavata con oggetti di riciclo. Un’ istallazione che mostra una colonna vertebrale sospesa su di una sedia senza fondo dal titolo “to be or not to be” che spiega il rapporto uomo-tecnologia ed un’ ipotetica mutazione genetica dell’uomo come conseguenza.  Nello stesso periodo con i Calìa partecipa ad una serie di concerti e ad una rassegna musicale sul tema letteratura –musica.  Frequenta un laboratorio teatrale curato da Gioacchino Palumbo, suo docente di storia dello spettacolo, ma soprattutto noto attore/regista teatrale catanese. Inizia quindi, la sua esperienza da attore soprattutto in alcuni cortometraggi : Sogno di un feticista(2003) di Valerio Conforti, Le avventure di pinocchio (2004) di Sergio Pennavaria e Valerio Conforti. Di questo corto scriverà la sceneggiatura, ne curerà la regia, il trucco e la colonna sonora. Franke Love (2004) di Orazio Sturniolo con cui si piazzeranno al secondo posto del festival nazionale del cinema Trash a Roma. Senza sguardo (2006) di Valerio Conforti, Ulisse ha avuto solo fortuna (2007) di Valerio Conforti di cui Pennavaria oltre a sdoppiarsi in due personaggi, il vecchio protagonista ed il giovane nazista,  scrive di questo corto la colonna sonora che poi eseguirà in collaborazione con il chitarrista Filippo Postorino. Springtime (2007) di Giacomo Triglia che partecipa al Film Festival di Torino. Poi il teatro: Ring(2004) con Sergio Pennavaria, Valerio Conforti, Christian Schirripa di Sergio Pennavaria, piece teatrale presentata in occasione della rassegna artistica “ Una Casa per l’Arte” svoltasi nel comune di San.Giovanni in Fiore (Cs). Titolo non pervenuto(2005) di Orazio Sturniolo, piece teatrale presentata in occasione di una conferenza per l’università di Messina sul tema “ La letteratura nel teatro”, di Antonin Artuad. Gente di Aspromonte(2004/06) tratto da un racconto di Corrado Alvaro con Americo Melchionda e Maria Milasi. Per quest’ultima commedia compone pure la colonna sonora. Nel 2004 ritorna a Reggio Calabria ed è in questo periodo che partecipa alle selezioni Premio Recanati per la canzone d’autore, ricevendo parole d’elogio da parte della giuria di qualità per il brano Alì Babà. Nel 2005 le collaborazioni con il chitarrista Filippo Postorino e la registrazione di un demo con sei tracce prodotto dall’amico Joe Mannarino che ne curerà pure la grafica della copertina. Conclude il percorso universitario. Nel 2007 si trasferisce in Liguria, a Savona. Tra i comuni di Varazze ed Andora insegnerà per circa due anni educazione artistica. Recitazione a Savona, per poi la sera svolgere l’attività di barman in un locale della città. Apre i concerti di alcune band liguri come A Brigà ed Il ponte di Zan, per il cantautore Zibba. Nell’estate del 2008 partecipa al festival M&T (Musica e Teatro)svoltosi nel comune di San Bartolomeo a mare (Im). Nel 2009 nasce un nuovo progetto, Senza Lume A Casaccio Nell'Oscurità, titolo di un recital scritto dall'artista contenente monologhi che man mano  che lo  spettacolo sui evolve fanno da premessa alle canzoni. Lo stesso titolo darà il nome all'album in uscito nel Novembre 2011. Vincitore del Su La Testa Contest 2011. Ad accompagnare in questo viaggio il cantattore (come qualcuno ha amato definirlo) i musicisti: Alessandro Graziano (violino, chitarre, cori), Boris Vitrano (chitarre), Federico Fugassa (basso elettrico e contrabbasso), Mirco Rebaudo (sax,clarino), Loris Lombardo (batteria, percussioni e colori).
Dicono di lui…
Sergio Pennavaria ha tutto il mestiere dell’artista di strada, del busker, sempre pronto ad offrire un numero ad effetto, sempre scanzonato e circense per intrattenere il gentile pubblico, salvo poi destabilizzarlo in un sol colpo con la mimica selvaggia e il sottile disincanto dei suoi testi.
Camaleontico nello stile, in lui è chiara l’impronta della musica tradizionale del Sud Italia, ma sono altrettanto evidenti le contaminazioni balcaniche e arabeggianti e le suggestioni che tende a creare attraverso la sintesi di elementi teatrali e pittorici. In polemica con la realtà che lo circonda, Pennavaria aggredisce i simboli dell’autorità e dell’omologazione,come nella metaforica Il mercato dell’obbrobrio, dove non ci sono bancarelle ma solo sguardi in terra e ogni cosa fa paura, o in Tropea, città che fa da sfondo alla tradizionale diffidenza e ottusità dell’ordine costituito verso la creatività e la cultura. Le sue canzoni sono spesso dei veri e propri inseguimenti, montagne russe, cascate di parole, scioglilingua che portano al capogiro, all’iperventilazione, tanto che un inaspettato blues o una ninna-nanna sembrano pause dovute prima di sfinirsi nella tarantella.
Con la nuova formazione il sound è diventato più raffinato, a tratti jazzato, ma Pennavaria mantiene la sua visceralità  i toni sarcastici e surreali, i precari equilibrismi del giocoliere.