Fotografia di Augusto Croce
Ho scoperto Luciano Regoli alla Prog Exibition del novembre scorso a Roma, quando lo vidi sul palco con la Nuova Raccomandata con Ricevuta di Ritorno.
Band storica, appena ricostituita, e di nuovo sul campo con concerti e nuovo album.
Nell’intervista a seguire Regoli ci racconta un po’ della sua storia, tra passato e presente, tra la sua passione per la musica e quella per la pittura. Un bel quadretto, incoraggiante perché con lo sguardo rivolto al futuro e a tanta nuova musica.
Nel filmato a fine post presento uno stralcio dell’esibizione romana.
L'INTERVISTA
Parto da una osservazione personale che vorrei che tu commentassi. Nell’ambito di questo mio hobby (la musica, purtroppo non è il mio mestiere) ho l’occasione di sentire tutte le nuove proposte in “zona” prog, o comunque musica di impegno, e ho trovato una tendenza comune a molti. Non basta più unire la musica alle liriche, ma si sente l’esigenza di legare arti differenti, come il teatro, la pittura, l’immagine in senso ampio, cosa che accadeva anche negli anni ’70, ma era ad appannaggio di pochi. Tu, che sei anche ( o soprattutto ) un pittore, come giudichi questa necessità di giovani musicisti che, oltre a scegliere un filone che non li porterà mai il successo, sentono il bisogno di esplorare strade differenti e unirle in un album, utilizzato come riassunto delle loro idee?
Devo dire che ho poche notizie di operazioni come la mia che uniscono musica e pittura. Nel mio caso è stata una necessità interiore essendo io diviso dentro da una parte musicale e una di pittore. Ho cercato e credo di essere riuscito ad abbinare le due cose che sono l’una volatile, e l’altra solida anche se accomunate dall’ispirazione, come motore. Ho grande stima di artisti come Arthur Brown, Marilyn Manson, Alice Cooper, Pink Floyd che hanno sempre unito alla musica il senso del teatro. Ma musicisti/pittori sono sempre stati rari nella storia della musica rock, e sono felice che la mia operazione sia poi risultata efficace. Ho sempre ritenuto che i musicisti rock fossero un po’ settari nella loro cultura. Musica e basta. Il resto della cultura, letteratura, pittura, teatro, architettura, scultura, sempre appena sfiorati. Quindi non posso che approvare se, nelle nuove generazioni come tu dici, ci sono giovani band che cercano di unire strade differenti per esprimersi.
Ero presente a Roma, a novembre, e il tutto mi è parso un grande successo, se si considerano le presenze e l’entusiasmo palpabile. Manifestazione per nostalgici o riscoperta della musica di qualità? Ci sarà un seguito secondo te?
A Roma Prog Exhibition è stata veramente una grande sorpresa. Avevo invitato Claudio Simonetti e gli altri musicisti, ma non avevo ben specificato quanto importante era la serata. Davanti a tutto quell’entusiasmo, e al numero di persone intervenuto, sono rimasti colpiti e allibiti. Mettere insieme quattromila persone ad un concerto prog non credo sia facile oggi. Eppure il miracolo è accaduto, e questa è la prova della vitalità del genere. Nostalgia sicuramente, ma ho avvicinato giovani e giovanissimi entusiasti, e competenti, quindi credo che ci sarà un futuro, sia per questo tipo di manifestazioni, sia per il prog.
Vorrei per un attimo accomunarti ad un altro vocalist, e ti spiego il perché. Due giorni fa, a Genova, è iniziato un Festival Prog che vedeva come clou i Soft Machine. Il gruppo che ha aperto era “Il Tempio delle Clessidre” (ti consiglio il loro album omonimo, appena uscito e molto seguito) che è formato da quattro trentenni più un uomo… antico, Stefano “Lupo” Galifi, che col Museo Rosembach lasciò il segno con Zarathustra. Due dischi a distanza di una quarantina d’anni, come il tuo gruppo, la (Nuova) Raccomandata con Ricevuta di Ritorno, che da “Per… un Mondo di Cristallo( 1972) è passato a “Il Pittore Volante(2010). Forse siete gli unici due musicisti che hanno costruito un ponte tra passato e presente, fatto di un progetto musicale concreto. Quanta, e che tipo di acqua è passata sotto a quel bridge?
Personalmente sotto quel bridge, ci sono passate le cascate del Niagara. La mia vita è stata piena di accadimenti, sia per la mia carriera pittorica che mi ha portato in giro per il mondo come ritrattista delle grandi famiglie e sia come musicista. Questo però in maniera più sommessa e underground. Quando smisi di cantare nel 1974 lo feci perché il rock come lo concepivo io stava per finire (sarebbe poi un po’ ricominciato negli anni ’80 con i gruppi come Whitesnake, Rainbow, ecc). Da noi iniziavano i noiosissimi cantautori, politicizzati, e mi fu proposto di diventare uno di loro, ma l’aria non era più quella che amavo, e cambiai mestiere. Solo dopo tredici anni non ce la feci più ad ignorare la musica e quando mi sentii pittore completo, mi presi il lusso di riformare piccole band con giovani musicisti di rock-blues (just for fun!). Ma nel ’94 risposi ad un’inserzione su un giornale musicale, che cercava un cantante rock per un provino, e rimasi con i D.G.M. (una band di prog-metal) per sei anni facendo tre album che ebbero un discreto successo soprattutto all’estero. Poi divenni il produttore di una fantastica voce femminile (Cristina Cioni) e mi occupai di lei per qualche anno. Alla fine mi venne in mente la mia vecchia RRR e fu irresistibile l’idea di riformare la band e nacque “Il Pittore Volante”. Indirettamente riferendomi al mio percorso ti ho anche detto ciò che mi interessato musicalmente in tutti questi anni, che ho trovato abbastanza noiosi e con poco nerbo. È per questo che oggi si guarda solo al passato, e i gruppi dei ’70 sono visti come fari per la musica rock, e musicisti che dovrebbero essere in pensione vanno come schegge.
Cosa si prova a ritrovarsi su di un palco dopo tanto tempo, con persone con cui si è percorso un tragitto di vita significativo, e con alcuni elementi nuovi, giovani, diversi?
La sera del concerto a Prog Exhibition avevo preparato tutto nei minimi dettagli e non avevo tempo per emozionarmi. Anche perché avevamo fatto solo due prove dopo 38 anni. Ma i musicisti che avevo scelto sono stati dei grandi professionisti e il climax si è andato surriscaldando minuto dopo minuto. Ci guardavamo e sorridevamo, e quando siamo arrivati ad “Un palco di marionette”, l’ultimo brano, eravamo carichi di adrenalina. È stato fantastico.
Nella vostra biografia trovata in rete, si imputa il vostro scioglimento, nel 1973, al contrasto con la vostra casa discografica, impegnata nel tentativo, fallito, di inviarvi al Festival di Sanremo. Come andò veramente?
Andò così. Nella band di allora c’erano due anime, una jazz e una rock. Da questo conflitto nacque un bel disco ma anche le nostre acredini all’interno. Quando andammo in sala ad incidere il pezzo per Sanremo, alcuni di noi non erano d’accordo alla partecipazione (io per primo). A quei tempi andare a Sanremo era una vergogna per dei veri rockettari, e quindi a incisione finita (il brano dove sarà?) ci fu una rissa vera e propria, e in quel momento capimmo che non potevamo più andare da nessuna parte. Ci salutammo mestamente e con qualche rancore, in un’area di servizio dell’autostrada dopo un concerto, e tutto finì.
In questi giorni ho avuto la possibilità di ricordare gli anni ’70 con Armando Gallo( ricordi Ciao 2001?). Io ero adolescente( sono nato nel 1956), ma quei momenti sono rimasti dentro di me, incancellabili. Che cosa voleva dire essere un musicista italiano, progressivo (ma a quei tempi certe etichette non le conoscevamo) nei seventies? Che atmosfera si respirava?
Il “progressive rock” all’epoca non esisteva. Era il “pop italiano”. Ci travolse all’improvviso. Chi come me veniva dal beat e poi dai gruppi della “zona grigia” poco prima del progressive, parlo della “zona” che dette i Folks, il Ritratto di Dorian Gray, le Rivelazioni, la Crisalide, il Punto, i New Trolls, ecc, fu travolto da un’improvvisa notorietà quando formammo gruppi subito dopo come RRR, Banco del Mutuo Soccorso, Quelle strane cose che, Reale accademia di musica, ecc. Cioè musicisti della “zona grigia” che tanta fatica facevano un anno prima ad essere presi in considerazione, si ritrovarono tutti con un contratto discografico notevole (RCA, Fonit Cetra, ecc.) e con i riflettori puntati. Ora tutti ci volevano e cominciò una stagione straordinaria da vere rockstar, all’italiana. La Fonit ci coccolava, e ci pagava biglietti aerei e alberghi lussuosi per partecipare a festival come quello di Palermo o Villa Pamphili, e potevamo rimanere in sala di incisione per mesi, e chiedere ciò che volevamo. Noi esigemmo un’orchestra di 40 elementi. Cose da pazzi, a pensarci oggi. Mocciosi di 16, 17, 18 anni, che vivevano un momento magico. Tutto qui.
Ancora una cosa su Roma. Mi è piaciuta molta l’interazione con gli ospiti stranieri. Non mi è sembrata forzata, non mi è apparsa come un ‘operazione commerciale (anche se ovviamente un po’ lo era), perché sul palco sembrava ci fosse un gruppo amalgamato, e anche gli stranieri sembravano coinvolti. Van Leer, nonostante il suo aspetto … “allegro”, è un grandissimo musicista, e assieme avete regalato un mix di fantasia e competenza tecnica. Tu come hai vissuto quella serata?
Emozioni no, ma apprensione ce n’era tanta. Pensa che Thijs l’ho incontrato per caso nella hall dell’albergo dove alloggiava, e dopo una breve presentazione eravamo già fratelli. Mi ha preso, a me e la mia compagna, ci ha imbarcato sulla Limousine e tutta la mattina gli ho fatto da cicerone a Roma, mangiando al caldo sole di Piazza Navona. Era in visibilio. Solo che non aveva studiato la sua parte del Palco di Marionette. Quindi l’ho costretto nel pomeriggio a provare in camera sua con alcuni musicisti della NRRR, altrimenti sarebbe salito sul palco a digiuno. È un personaggio incredibilmente simpatico e umano, siamo diventati grandi amici, e ho la sua disponibilità incondizionata come ospite , nei futuri concerti. Questo ci ha regalato Prog Exhibition, uno scambio di divertimento e amicizia.
Con cosa, con chi ti sei formato musicalmente parlando? Quali erano i tuoi esempi, i tuoi miti del momento?
Led Zeppelin, Free, Arthur Brown, Deep Purple. Sarai stupito di vedere in prima linea, prima dei progressivi Jethro Tull, Gentle Giant, Van der Graaf, che pure adoravo, l’hard rock. Ma in verità io sono un hard rock singer, prima che progressivo. Mi piace il suono potente, il potere delle chitarre distorte, e gli urli dei vocalist veri, pieni di passione come Robert Plant e Ian Gillan dei tempi migliori. Ma la vera influenza è stata la vulcanica teatralità e vocalità di Arthur Brown. Quel suo mondo tenebroso e scuro in musica si è unito al mondo scuro e tenebroso di Caravaggio in pittura, e i due hanno formato il mio Universo Artistico.
Ci sarà ancora uno spazio concreto per questa “nostra” musica, così difficile, in un tempo in cui pare che tutti abbiano bisogno di easylistening?
Il “progressive” rimarrà sempre una musica per una élite di persone e avrà sempre nuovi adepti, ma sempre in quella “nicchia”, che rimane una delle espressioni migliori della musica del ‘900.
Cosa potrebbe accadere a Luciano Regoli e alla NRRR nell’imminente futuro… diciamo cinque anni?
Sta già accadendo che la NRRR avrà un futuro perché sto lavorando ad un secondo album dove ci saranno quattro nuove composizioni molto attinenti al sound del Pittore Volante, e due rifacimenti dai Samadhi (L’ultima spiaggia) e dall’album della RRR “Per… un mondo di cristallo” (Un palco di marionette) in maniera molto rock, e un omaggio ad Arthur Brown con il grande hit “Fire” del 1968. Come vedi alla mia età mi prendo quelle libertà di cui ho ancora bisogno.