Un po’ di
storia del rock, targata Italia anni ’70
On the
Road to YS
di Gianni
Leone
Ritrovo nel mio
archivio dopo tanti anni delle vecchie bobine… ci sono due brani registrati.
Uno è marcato “7/4”, l’altro “Senza titolo”.
Perché “On the Road to YS”? Perché parliamo di un viaggio. Il materiale presentato in
questo disco racconta una tappa importantissima, anzi fondamentale di quel
viaggio, che quattro ragazzi intrapresero molti anni fa. Era il 1971. Dopo mesi
e mesi di prove, un’estate ‘di fuoco’ trascorsa suonando nei locali di Rimini e
dintorni, e poi a settembre la partecipazione al Festival Pop al Palasport di
Novate Milanese, presente l’intera scena del progressive italiano oltre ai
Colosseum - davvero un evento grandioso, stranamente poco ricordato -, una
grigia mattina di ottobre il Balletto di Bronzo approdava a Milano. La Phonogram
(poi Polygram, oggi Universal) ci aveva convocato per registrare un provino. Ci
ritrovammo in una saletta minuscola all’ultimo piano di un palazzo storico in
piazza Cavour. Trasportammo tutti i nostri strumenti, Hammond compreso, fin
lassù. L’attrezzatura dello studio era davvero limitatissima: il registratore
era a sole quattro piste! A noi, però, quella situazione appariva come la
materializzazione di un sogno. Proprio lì accanto c’era lo studio grande,
quello in cui registravano gli artisti importanti. Demmo una sbirciata: c’era
un registratore a 8 piste (ridicolo, oggi), uno Steinway Grand Piano, un
Hammond B-3, perfino un mellotron M-400 e un minimoog, strumenti allora quasi
fantascientifici, specie per noi musicisti italiani. Poi tornammo nel nostro sgabuzzino
e cominciammo a registrare. I tempi erano piuttosto ridotti, per cui fu
necessario tornare anche il giorno successivo. Mettemmo su nastro due brani,
allora ancora senza titolo (poi sarebbero diventati “Introduzione” e “Secondo
incontro”) e con le parti vocali embrionali, del tutto dissimili da quelle
definitive.
All’epoca io amavo
cantare solo in inglese: avevo la convinzione che cantare in italiano mi
avrebbe automaticamente fatto sprofondare nella melma dei cantanti
melodici-tradizionali-commerciali, che disprezzavo oltremodo. Poi con gli anni
ho cambiato totalmente idea in merito, nel senso che, pur continuando a
disprezzare i canzonettari, ho rivalutato il suono della lingua italiana, anche
nel rock. C’era da sottolineare, inoltre, che allora non parlavo ancora
l’inglese, infatti la mia pronuncia era davvero improponibile per il mercato
estero. Ciò nonostante andavamo avanti così, sfrontatamente (com’era nel nostro
stile abituale d’altronde). I testi deliranti li aveva scritti - suggestionato
dalle mie fantasie dark - Raffaele Cascone a Napoli, a casa di Lino Vairetti
degli Osanna, immediatamente prima della nostra partenza per l’incandescente
estate riminese.
Passate alcune
settimane, arrivò il responso dalle ‘alte sfere’ della Phonogram: ci offrivano
un contratto! A rileggerlo oggi, era davvero un contratto-capestro, ma per noi
in quel momento rappresentava il massimo delle nostre aspirazioni. Rinunciammo,
per di più, alle nostre royalties per pagarci i poster in formato gigante (100
x 140 cm) e la copertina dell’album “YS”, apribile e riccamente illustrata nei
fogli interni. La tappa successiva fu andare in studio, stavolta quello grande,
per registrare, appunto, “YS”. Era il marzo del 1972. La Phonogram mi impose di
cantare in italiano ma io mi rifiutai, per cui pensammo di far cantare l’intero
album a una delle quattro coriste, una ragazza siciliana, Giusy Romeo (poi
diventata famosa come Giuni Russo). Il risultato però non ci convinse, per cui
alla fine mi vidi costretto a cantare inviperito e imbronciatissimo tutti i
brani e a fare un nuovo missaggio definitivo a metà maggio. A giugno “YS” uscì
sul mercato. Il resto della storia (forse) lo conoscete già.