Il trio “Tagliapietra, Pagliuca & Marton è on the road.
Dopo il debutto del Tour a Vicenza, lo scorso 25 febbraio, ecco le prossime date:
9 aprile Auditorium Al Porto Antico di Genova
14 aprile Teatro Toniolo di Mestre VE
16 aprile Cinema Teatro Politeama di Varese
Ho avuto occasione di vederli in anteprima a Roma, nella “Prog Exibition” di inizio novembre, ma rispetto a quella occasione è cambiato il drummer. Parlo di lui oggi perché lo conosco personalmente. Manuel Smaniotto, questo il suo nome, mi ha raccontato un po’ della sua storia, come in precedenza avevano fatto Aldo Tagliapietra e Tony Pagliuca:
Anche di Tolo Marton avevo scritto, anche se non sono ancora riuscito a sottoporlo alle mie solite domande:
Ma perché conosco Smaniotto? Manuel è un giovane batterista veneto, che a un certo punto della sua giovane vita è stato sottoposto a un provino particolare da parte del “Lincoln Quartet”, una delle migliori cover band italiane dei Jethro Tull.
Particolare perché, mi raccontò Lincoln Veronese, Manuel non aveva mai suonato “Tull”, ne musica prog, un po’ differente dallo standard conosciuto, e sin dall’inizio si era dimostrato “nella parte”.
Predisposizione naturale, forse.
Qualche anno fa ho assistito ad un concerto ligure, a Noli per la precisione, del LQ, e ho quindi visto direttamente all’opera Smaniotto, che assieme a Giacomo Lelli, Jacopo Gobbato e Lincoln Veronese diede saggio del suo talento.
Col passare del tempo, grazie alla collaborazione del LQ con Clive Bunker, indimenticato primo batterista dei Jethro, Manuel ha affinato la sua tecnica, e nell’intervista a seguire delinea il suo percorso e sviluppo personale, che lo ha portato all’interessamento da parte di Aldo Tagliapietra.
Un grande “in bocca al lupo” a tutta la band e a Manuel Smaniotto, il più giovane, affinché questo bell’inizio di carriera possa trasformarsi in un sogno che si realizza.
Una delle mie frasi preferite, apparentemente un luogo comune, ma per me una profonda verità, è quella che fornisce una possibile definizione di felicità, che tradotta in poche parole si potrebbe sintetizzare in “far coincidere il proprio lavoro con la propria passione”. Provaci Manuel!
L’INTERVISTA
Partiamo dal fondo e cioè dal presente. Hai appena debuttato come batterista con il trio Tagliapietra-Pagliuca e Marton, visto alla”Prog Exibition “ di Roma, a novembre. Come sei arrivato a questo importante successo professionale?
Questo risultato è arrivato in maniera abbastanza inaspettata, nel senso che per quanto riguarda la musica prog non ho mai cercato di raggiungere grossi obiettivi in quanto credo di possedere capacità tecniche normali. Questo genere musicale l’ho sempre suonato per passione nei Lincoln Quartet e quando Aldo ha avuto il mio numero e mi ha contattato per un provino ero sorpreso, ma allo stesso tempo determinato a mettermi in gioco e fare del mio meglio.
Nonostante la tua abitudine ad esibirti con Clive Bunker, musicista tra i più importanti della storia del rock, suonare con Tagliapietra, Pagliuca e Marton mi pare già un traguardo di un certo livello, non alla portata di tutti i giovani musicisti. Cosa si prova ad essere seduto al posto di Michi Dei Rossi, all’interno di una band che ha fatto la storia del prog di casa nostra?
Questa è una domanda che mi hanno fatti in tanti. Prima di questa esperienza delle Orme conoscevo solamente i classici, ma avevo ben chiara la personalità e la tecnica di Michi Dei Rossi che emergeva soprattutto nei live, quindi non sarebbe stato facile per nessuno sedersi al suo posto, ma devo dire che mi sono approcciato a questa esperienza con una dose di incoscienza che sicuramente mi ha aiutato a sentire meno alcune responsabilità.
Mi racconti qualcosa del tuo iter professionale?
Fin da bambino sono sempre stato attratto dalla batteria, ma ho iniziato seriamente a suonare nel 2000 quando rimasi letteralmente folgorato da un live di Ian Paice. Da quel momento ho suonato in varie cover bands e nel 2007 ho fondato un gruppo tributo ad Elisa con mia sorella Silvia (attuale corista di Elisa) collaborando con musicisti quali, Max Gelsi e Andrea Fontana (rispettivamente basso e batteria di Elisa). Inoltre ho avuto l’onore di duettare alla batteria con Clive Bunker (Jethro Tull) e accompagnare Goran Kuzminc (cantautore). Nell’ultimo anno ho fatto parte di vari progetti originali quali “Inedito” (pop italiano) e i “Danka” arrivati nel dicembre 2010 alle ultime fasi delle selezioni di San Remo 2011 svoltesi a Roma.
Torniamo un attimo a Bunker. So del tempo trascorso assieme, in occasione dei concerti col Lincoln Quartet. Immagino che siano stati momenti in cui hai cercato di “rubare” il più possibile, approfittando dell’esperienza non comune di Clive. Sapresti raccontare concretamente che cosa guadagna un giovane dalla vicinanza di personaggi simili?
Avere la possibilità per un giovane musicista di trascorrere del tempo un personaggio come Clive Bunker è senza dubbio una fortuna immensa. Da lui durante le prove, nei sound-check e nei camerini, ho appreso tante piccole cose che poi, al momento opportuno, mi danno sicurezza e che hanno contribuito a formare il mio stile. Devo tanto del mio modo di suonare a Clive sia dal punto di vista tecnico, ma soprattutto nell’approccio ai live riuscendo a trasformare la paura in energia.
Quando ti ascoltai qualche anno fa a Noli, mi raccontasti di avere altri progetti paralleli. C’è solo la musica nella tua vita professionale?
Fino a questo momento oltre alla musica che riempie buona parte della mia giornata ho sempre avuto un altro lavoro, la mattina, che mi ha permesso di avere una sicurezza economica e quindi di suonare solamente in progetti di alta qualità. Visti gli ultimi sviluppi però, sto valutando l’idea di concentrarmi a pieno in quella che è stata fin da sempre la mia più grande passione e aspirazione ovvero fare il musicista.
Ho sempre in macchina un CD che Lincoln mi regalò, che è, o era la sua visione della nostra terra. Una canzone mi colpì particolarmente ed è quella dedicata a Venezia, la vostra città, “raccontata” con amore non comune. La sensibilità tipica di un musicista permette di rendere vivo per sempre un momento di riflessione, magari attraverso un testo o una musica, o entrambe le cose. Il batterista di un gruppo, nell’immaginario comune, dà un contributo diverso, dal punto di vista della composizione ( anche se la lettura dell’autobiografia di Bill Bruford farebbe cambiare idea a parecchie persone). Quanto sei interessato … quanto vuoi … quanto riesci a creare/registrare momenti personali che resteranno fissati “per sempre”?
Beh, magari senza rendermi conto ogni volta che mi trovo sul palco o in studio con altri musicisti sto fissando ed esprimendo delle emozioni attraverso il mio strumento che, nonostante sia essenzialmente ritmico, riesce comunque a comunicare se suonato con il cuore. Diciamo che ogni volta in cui mi sono trovato coinvolto nel creare e nell’arrangiare ho sempre partecipato in maniera molto attiva a tutte le fasi della produzione di un idea e questo è un aspetto della musica amo particolarmente.
Se non ricordo male, non avevi mai fatto musica prog quando provasti per il Lincoln Quartet, e riuscisti da subito ad entrare nella parte, non certo semplice. Tra la musica dei Jethro e quella di Elisa c’è un abisso, senza voler dare giudizi di qualità. Qual è la situazione in cui riesci a trovare piena soddisfazione?
Infatti prima di incontrare il Lincoln Quartet non mi ero mai avvicinato al prog ma non mi sono mai lasciato spaventare dall’idea di affrontare generi nuovi. Ho sempre amato ascoltare e suonare vari stili musicali e oggi posso dire che trovo tanta soddisfazione sia nell’esecuzione di parti complesse e impegnative tipiche del prog che nel portamento di un 4/4 dov’è richiesta la massima precisione nel tempo e nelle dinamiche, caratteristiche peculiari del pop.
Mi dici il nome di un album del passato che hai conosciuto solo dopo il tuo avvicinamento al prog, che ami particolarmente?
Aqualung è sicuramente uno degli album che amo di più e anche se non può essere definito puramente prog è stato comunque importante per farmi avvicinare alle sonorità rock-progressive anni ‘70.
E… il nome di un batterista che ti appare come inarrivabile?
Sono vari i batteristi che ammiro e dai quali prendo ispirazione, ma Steeve Gadd ritengo sia un importante punto di riferimento per la sua personalità e la classe nel portare il tempo.
Cosa vorresti ti accadesse, musicalmente parlando, nei prossimi 5 anni?
Per i prossimi 5 anni mi auguro di crescere come professionista in tutti gli ambiti musicali, ma soprattutto di dare continuità al progetto TPM.