domenica 17 agosto 2014

“Scendi, cazzo, dal mio palco!”


Scrivevo cinque anni fa...

Tra pochi giorni, esattamente il 15 agosto, saranno passati quarant'anni dall’inizio del festival di Woodstock. Oggi ho casualmente aperto il giornale e ho letto che non verrà fatta nessuna grande celebrazione dell’evento, perché Michael Lang, il promoter di allora, ancora sul pezzo, non ha trovato il denaro, non ha convinto gli sponsor a tirar fuori i quattrini necessari a riproporre una manifestazione commemorativa, sicuramente un buon businnes per Lang e soci, ma…
Il giornalista approfittava di questo elemento oggettivo per raccontarci le solite cose sul mito di Woodstock, sulla grande illusione, su ciò che poteva essere e invece non è stato.
Dalle sue parole emergeva una specie di “… finalmente!”

Non toccateci Woodstock, come Monterey, come Wight!

L’antefatto.
Era il 1996 ed ero in west Virginia.
Avevo un fine settimana libero, completamente solo, con una splendida Buick azzurrina a disposizione.
Che fare? Dalla cartina stradale saltò fuori il nome magico, Woodstock.
Mi misi in macchina e percorsi 150 km, con un’euforia inspiegabile, la stessa che avrei provato poi molte altre volte al cospetto dei miei eroi rockettari.
Arrivato sul posto chiesi e rimasi deluso. Ciò che io cercavo era in un altro stato, sulla costa east, ma l’eccitazione provata man mano che la meta si avvicinava è un ricordo ancora fresco.
Per me Woodstock non è messaggio politico, non è libertà, musica, droga, sole, pioggia, fango, filosofia, religione… non c’entrano i soldi, gli hippies, i capelli lunghi la trasgressione, l’amicizia, la fratellanza, l’odio…
Per me Woodstock è l’evento che ha segnato i miei quattordici anni, quando ero troppo piccolo per volare da solo, ma già sufficientemente maturo per capire l’importanza della musica nella mia vita presente e futura.
Come non pensare a Santana, Hendrix, Ten Years After, Crosby e company?
Ciò che quel festival ha rappresentato per me, e credo per molti altri della mia generazione, è una cosa talmente importante che sentire “trattati pseudo sociologici”, tesi a metterne in discussione anche solo i contorni, mi irrita, mi fa stare male, e mi obbliga a scrivere immediatamente il mio stato d’animo, anche ora che sono in vacanza.
Recentemente ho avuto la fortuna di vedere The Who e Johnny Winter e mentre si esibivano non potevo fare a meno di pensare che LORO erano stati a Woodstock!
Con quale pensiero posso sintetizzare IL FESTIVAL DI WOODSTOCK?
Scendi, cazzo, dal mio palco!
Così Pete Towshend degli Who rivolse il suo messaggio di pace e amore mod all’attivista yippie Abbie Hoffman.



Basta messaggi… vogliamo i nostri simboli!

Nessun commento:

Posta un commento