Scrivevo
cinque anni fa...
Tra
pochi giorni, esattamente il 15 agosto, saranno passati quarant'anni
dall’inizio del festival di Woodstock.
Oggi
ho casualmente aperto il giornale e ho letto che non verrà fatta
nessuna grande celebrazione dell’evento, perché Michael
Lang,
il promoter di allora, ancora sul pezzo, non ha trovato il denaro,
non ha convinto gli sponsor a tirar fuori i quattrini necessari a
riproporre una manifestazione commemorativa, sicuramente un buon
businnes per Lang e soci, ma…
Il
giornalista approfittava di questo elemento oggettivo per raccontarci
le solite cose sul mito di Woodstock, sulla grande illusione, su ciò
che poteva essere e invece non è stato.
Dalle
sue parole emergeva una specie di “… finalmente!”
Non
toccateci Woodstock,
come Monterey,
come Wight!
L’antefatto.
Era
il 1996 ed ero in west Virginia.
Avevo
un fine settimana libero, completamente solo, con una splendida Buick
azzurrina a disposizione.
Che
fare? Dalla cartina stradale saltò fuori il nome magico, Woodstock.
Mi
misi in macchina e percorsi 150 km, con un’euforia inspiegabile, la
stessa che avrei provato poi molte altre volte al cospetto dei miei
eroi rockettari.
Arrivato
sul posto chiesi e rimasi deluso. Ciò che io cercavo era in un altro
stato, sulla costa east, ma l’eccitazione provata man mano che la
meta si avvicinava è un ricordo ancora fresco.
Per
me Woodstock non è messaggio politico, non è libertà, musica,
droga, sole, pioggia, fango, filosofia, religione… non c’entrano
i soldi, gli hippies, i capelli lunghi la trasgressione, l’amicizia,
la fratellanza, l’odio…
Per
me Woodstock è l’evento che ha segnato i miei quattordici anni,
quando ero troppo piccolo per volare da solo, ma già
sufficientemente maturo per capire l’importanza della musica nella
mia vita presente e futura.
Come
non pensare a Santana,
Hendrix,
Ten
Years After,
Crosby
e
company?
Ciò
che quel festival ha rappresentato per me, e credo per molti altri
della mia generazione, è una cosa talmente importante che sentire
“trattati pseudo sociologici”, tesi a metterne in discussione
anche solo i contorni, mi irrita, mi fa stare male, e mi obbliga a
scrivere immediatamente il mio stato d’animo, anche ora che sono in
vacanza.
Recentemente
ho avuto la fortuna di vedere The
Who e
Johnny
Winter e
mentre si esibivano non potevo fare a meno di pensare che LORO
erano
stati a Woodstock!
Con
quale pensiero posso sintetizzare IL
FESTIVAL DI WOODSTOCK?
“Scendi,
cazzo, dal mio palco!”
Così
Pete
Towshend degli
Who rivolse il suo messaggio di pace e amore mod all’attivista
yippie Abbie
Hoffman.
Basta
messaggi… vogliamo i nostri simboli!
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