Martedì 15 luglio ho
partecipato ad un concerto indimenticabile.
Johnny Winter, uno
degli eroi di Woodstock, era a Savona, Fortezza del Priamar.
Qualche nota
biografica.
Nato e cresciuto a
Beaumont (Texas) la città famosa per la “corsa all’oro”, ascolta molto la radio
locale diventando un cultore del Rock & Roll, del Blues rurale e Cajun. Le
tensioni sono molto forti nella città che aveva ospitato la più grave rivolta
razziale nella storia del Texas, con l’esecuzione effettiva della legge
marziale; ma Johnny è ben accetto nella comunità nera perché ritenuto sincero e
genuinamente posseduto dal Blues. Nel 1962 riesce a salire sul palco di B.B.
King e suonare la sua chitarra, ricevendo grandi ovazioni dal pubblico. Forma
un power trio con il batterista Uncle John Turner e il bassista Tommy Shannon
(in seguito solida colonna dei Double Trouble di Stevie Ray Vaughan), che lo
assecondava nelle sue sfuriate selvagge eppure così legate alla tradizione.
Autenticamente devoto al Delta Blues, nelle sue vene scorre il Country Blues di
Robert Johnson che mescola costantemente al British Blues–Rock e il Rock
dell’America del Sud a la Allman Brothers. Durante gli anni ’70 e ’80 il chitarrista
e cantante albino, scheletrico e dedito alle droghe, si apprestava a rilanciare
la carriera dei suoi idoli Muddy Waters e John Lee Hooker. Ha il grande merito
di aver introdotto il gigante Blues Muddy Waters alle nuove generazioni di
ascoltatori producendo e suonando la chitarra in parecchi suoi album. Le
collaborazioni sono state di un tale successo che Waters si è spesso riferito a
Johnny come al suo figlio adottivo. Winter ha lavorato con la Columbia più di
un decennio pubblicando album memorabili quali “Johnny Winter And” (1970),
“Still Alive and Well” (1973) e “John Dawson Winter III” (1974). La sua recente
nomination al Grammy con il disco della Virgin/EMI “I’m A Bluesman”, ha esteso
ancora la sua già grande reputazione raccontando questa volta la sua stessa
storia.
Il concerto...
Mai come in questa
occasione il titolo della rubrica, “Io C’ero”, fu azzeccato. E’ qualcosa di più
che l’amore per il blues a farmi avvicinare a questo concerto. Ricordo
perfettamente quando, da adolescente, la copertina di Ciao 2001 proponeva la
foto di Johnny Winter, musicista albino che, attraverso i lunghi capelli
bianchi colpiva la fantasia di noi ragazzi, affascinati dai personaggi, non
solo dalla musica.
E poi, trovarsi
davanti un musicista che ha suonato a Woodstock non è roba per tutti.
Ma io c’ero!
Ancora una
premessa… piacevole.
Mi ritrovo alla
fortezza del Priamar a una settimana di distanza dal concerto di Sheryl Crow e
devo evidenziare un’enorme differenza di comportamento della security.
Non so se dipenda
dall’organizzazione differente, o sia volontà dell’artista, ma qui sembra sia
permesso tutto ciò che era noiosamente vietato qualche giorno prima.
È possibile
fotografare, è possibile filmare e, ad un certo punto della serata, è possibile
persino superare la barriera che divide il palco dalle prime sedie.
Tutto ciò provoca
un “travaso “umano che aumenta sino a riempire a “tappo” lo spazio da “keep
out”.
La gente ha voglia
di ballare, di muoversi, di avere un contatto diretto con Johnny, e alcuni si
fanno fotografare dal basso, riempiendo l’inquadratura col chitarrista in piena
performance.
Un ragazzo più…
agitato, riesce persino a guadagnare il palco e ad abbracciare il chitarrista,
che continua, noncurante della dimostrazione di affetto, e in questo caso gli
addetti alla sicurezza intervengono, ma senza eccessiva rigidità.
Non c’è il pienone
al Priamar, ed è un vero peccato che certe occasioni vengano buttate al vento.
Meriterebbe spazio adeguato perché non
parlo di un comprimario del blues e, sul palco lui dimostra il suo valore.
Uomo di spettacolo, capace di
coinvolgere un pubblico ancora freddo, dirige una band molto giovane (il
chitarrista sembra un bimbo) che spazia dal blues al funky, passando per il R
& B.
Dimostra in diverse occasioni di
sapere di essere a Savona (non è scontato per chi viaggia e suona in
continuazione) e di amare l’Italia.
Qualcuno dal pubblico (il solito
esagitato che avrà poi il coraggio di salire on stage) gli grida: ”Boom Boom
Boom”, vecchio cavallo di battaglia del padre, e lui risponde: ”Certo, 10
volte, 11 volte…” lasciando intendere ironicamente che non è previsto.
Ma alla fine “Boom...” arriverà, col
pubblico pronto a battere le mani ritmicamente, accontentando il volere di
Hooker.
Molto bravi e gente soddisfatta.
John si dirige verso il banco del
merchandise, per firmare personalmente i suoi CD, mentre sul palco viene
sistemata la sedia per Winter.
Quattro musicisti che attaccano con
grande vigore, con un bravo chitarrista che suonerà solo in due occasioni,
inizio e fine concerto.
Al termine del primo brano viene annunciato,
con estrema enfasi, l’arrivo di Johnny Winter.
È una grande emozione per me.
Arriva traballante, camminando con
grande fatica.
È pelle e ossa, e sotto al suo
cappello nero l’antica chioma non sembra aver perso il suo fascino.
Pare sia quasi cieco e pieno di
problemi fisici, ma… è sul palco.
Spesso ho immaginato di poter
realizzare i miei sogni, con una bacchetta magica, e il dubbio è sempre stato…”calciatore
o musicista?” Vedere un uomo avanti con l’età, pieno di acciacchi seri, dopo
una vita condotta al limite, e soprattutto con tali fantastici risultati, mi fa
pensare che questo sia un grande mestiere”, capace di dare energia a chi lo
pratica e soddisfazione a chi lo “subisce”.
Lo spettacolo inizia ed è
un’evoluzione continua che porta da un primo atteggiamento distaccato di Winter
(ma forse non è la parola giusta), sino ad una situazione di fluidità e
interattività tra noi presenti e un uomo che, nonostante calchi la scena da più
lustri, trova ancora il contenuto entusiasmo per fornire un grande spettacolo.
Le sue dita volano sulla sua
particolare (bruttina ma efficace) chitarra e la velocità sulla tastiera
provoca valanghe di note che nascondono qualche errore veniale.
Anche la voce perde ogni tanto la
tonalità, ma mi pare mantenga una certa potenza e la timbrica di un tempo.
I suoi famosi riff si susseguono mentre
il suo blues pervade l’anima dei presenti.
Arriva anche il momento del tributo ad
Hendrix e ancora una volta Woodstock ritorna tra di noi.
Ad un certo punto ha tutti ai suoi
piedi, a pochi passi da lui.
È un’immagine molto bella, un segno
che va oltre l’esibizionismo, debolezza umana, ma l’immagine diventa un’icona,
col vecchio musicista idolatrato dai suoi sostenitori.
Certo, è un pubblico ben disposto,
presente per amore del blues e di chi ne è stato protagonista attivo, ma la
scena è da album dei ricordi.
Si arriva alla fine, lui si alza a fatica
e si allontana salutando.
Ho pensato all’impossibilità di un
bis, viste le difficoltà nel camminare.
Ma Johnny è nuovamente tra noi e ci
sciorina la tecnica di cui è forse il massimo esponente: la slide guitar.
Lo ammiro da pochi metri, provando sentimenti
differenti: ammirazione per la grande abilità, stupore per la capacità di
trasmettere emozioni, tenerezza immaginando alle difficoltà in cui si trova,
felicità di poter dire, “anche io c’ero!”. Indimenticabile!
Ho visto lo speciale sul tg regionale..ed ho pensato Athos sarà li in mezzo a registrare..infatti...cvd..
RispondiEliminaPeccato che a Zena certi concerti non li facciano pazienza..
Ciao Pino