Recensione di un volo interiore tra
rock, poesia e verità sonora
Ci sono dischi che si ascoltano, altri che si vivono. ICARO, il nuovo lavoro di Alessio Trapella, appartiene alla seconda
categoria. Un progetto ambizioso e stratificato, che nasce da una riflessione
profonda sul tema della dipendenza e si trasforma in un racconto universale,
poetico e visionario. Trapella sceglie di non descrivere, ma di evocare. E lo
fa con una narrazione musicale che mescola rock progressivo, sensibilità
classica e una voce capace di guidare l’ascoltatore in un viaggio interiore.
Il titolo richiama il mito greco, ma qui Icaro non vola con
ali di cera: il suo slancio è alimentato da un razzo, simbolo di una fuga
moderna, di un’ascesa che è anche isolamento. L’album si muove su questa
tensione: il desiderio di elevarsi e il rischio di perdersi. Ogni brano è una
tappa di questo percorso, dove la musica diventa specchio e strumento di
introspezione.
Avevo già avuto modo di recensire l’esordio solista di
Trapella nel 2023, La ricerca dell’imperfezione, e già allora era chiaro
che ci trovavamo di fronte a un artista con una visione precisa e non
convenzionale. ICARO ne è la naturale evoluzione: più maturo, più
profondo, più rischioso. Ma anche più libero.
Trapella, musicista e produttore polesano, ha alle spalle una
formazione accademica solida (Contrabbasso e Composizione al Conservatorio di
Adria) e collaborazioni di prestigio con Riccardo Muti, Aldo
Tagliapietra, UT New Trolls e Le Orme. Ma è nel suo percorso
solista che emerge la sua vera voce artistica: libera, intransigente, capace di
unire rigore e sperimentazione.
In ICARO, la produzione è curata in ogni dettaglio,
con un approccio quasi artigianale. La copertina, ad esempio, è una scultura in
gesso realizzata da Bruno Martinuzzi, fotografata per diventare
immagine. Niente scorciatoie digitali, niente artifici: tutto è tangibile,
vissuto, reale.
Musicalmente, l’album si muove tra ballad intimistiche e
momenti più strutturati, con spruzzate di jazz, richiami classici e una base
melodica che sostiene testi importanti. Trapella non cerca la prova di tecnica,
né la seduzione immediata: la sua musica non nasce per far ballare, ma per far
pensare. E se emoziona — come spesso accade — lo fa senza forzature.
Il brano “Il gesto”, inizialmente pensato come titolo
dell’album, è il nucleo tematico da cui tutto si sviluppa. Da lì, la storia di
chi si allontana dagli affetti, dalla terra, dalla realtà, prende forma
attraverso metafore e immagini che ogni ascoltatore può reinterpretare secondo
la propria esperienza.
La scelta dei collaboratori è altrettanto significativa: Luca
Chiari e Filippo Dallamagnana portano personalità e audacia,
rispondendo al “guizzo” creativo di Trapella con libertà e competenza. Il
risultato è un disco che non si limita a raccontare, ma invita a guardare oltre, oltre i gesti quotidiani, oltre le maschere, oltre il rumore.
ICARO è un’opera che non si consuma in un ascolto. Richiede tempo, attenzione,
predisposizione. Ma chi accetta la sfida, scopre un mondo sonoro coerente,
profondo, capace di lasciare il segno.
Ma al di là dei miei pensieri risulterà probabilmente icastico ciò che emerge dall’intervista che ho realizzato con l’autore…
Per iniziare, ci racconti in sintesi il tuo percorso musicale? Quali tappe lo hanno definito e trasformato nel tempo?
Ho iniziato da bambino studiando tromba con il Maestro della banda paesana. Poi con l’esplosione dei “karaoke”, verso i 16 anni mi sono messo a cantare e sono stato reclutato nella mia prima band. Di lì a poco il bassista mollò tutto e fu da quel momento che il legame basso-voce divenne indissolubile! A seguire gli studi accademici di contrabbasso e composizione e il periodo “classico” fino al 2012 dove ho militato nell’orchestra giovanile L. Cherubini diretta dal Maestro Riccardo Muti. Da lì in poi sono ritornato sulla strada del rock lavorando con Aldo Tagliapietra, UT New Trolls e poi Le Orme. Dal 2022 ho intrapreso un percorso solista sia artistico che di produzione.
ICARO è un progetto ambizioso e visionario. Qual è stata la scintilla iniziale che ti ha spinto a crearlo?
Tutto è nato da una conversazione con un carissimo amico. Mi spiegava come le persone riescano a celare in maniera incredibile le loro dipendenze e come gli abusi diventino dei gesti quotidiani. Da qui nasce “Il gesto” che inizialmente doveva essere il titolo dell’album. Poi andando più a fondo ho preso in considerazione l’idea di raccontare l’intera storia di queste persone che purtroppo si allontanano sempre di più dalla famiglia, dagli affetti e “dalla terra”. Infine, per far sì che ogni ascoltatore facesse propria questa storia, in base alle proprie esperienze, e anche per rendere i testi meno espliciti e più poetici, ho accostato il tutto ad un moderno Icaro che riesce a volare non con un paio di ali ma con un razzo.
Hai collaborato con artisti e professionisti di altissimo livello. Come scegli i tuoi compagni di viaggio creativi?
I musicisti che collaborano con me devono sapere cogliere il guizzo che do loro mentre siamo al lavoro su nuovo materiale, meglio ancora se osano e mantengono la propria personalità. Tutto questo al netto di preparazione e professionalità. Luca Chiari e Filippo Dallamagnana ne sono un chiaro esempio!
La tua biografia racconta un percorso ricco e trasversale. Qual è stato il momento più trasformativo della tua carriera, finora?
Il vero cambiamento è arrivato dopo aver lasciato Le Orme, quando nel 2021 ho deciso di prendere la mia strada. Prima di allora credo di essere stato un bravo musicista ma questo non aveva molto a che fare con la mia parte artistica perché comunque, sia in orchestra che con le band sopra citate, per la maggior parte eseguivo e non creavo. Mettendomi in gioco con le mie composizioni e anche come produttore tutta la mia visione della musica è cambiata completamente!
ICARO è anche un’esperienza immersiva. Che ruolo ha la
tecnologia nel tuo modo di fare arte?
Diciamo che ha un ruolo abbastanza limitato, cerco più che altro di utilizzare strumenti tangibili. La copertina ad esempio: ho fatto fare un’opera in gesso dallo scultore Bruno Martinuzzi e l’ho fatta fotografare. Sarebbe stato più facile e forse più accattivante fare una bella copertina fantasy con l’AI ma non è il mio stile. Dietro alle cose che faccio c’è molta ricerca. Certo se poi parliamo di macchine per registrare, ad esempio, utilizzo un moderno computer ma a parte le molteplici sovraincisioni dietro non c’è nulla che non si potesse fare 50 anni fa, tecnologicamente parlando.
C’è un messaggio che speri arrivi al pubblico dopo aver vissuto ICARO?
Ci isoliamo sempre di più dentro noi stessi e in questo modo non ci rendiamo conto che molte persone a noi vicine ci chiedono aiuto. Ecco il messaggio è sicuramente guardare oltre i gesti quotidiani e provare a cogliere questa richiesta di aiuto.
Come si bilancia la tua identità di compositore, performer e regista in un progetto così complesso?
La parte compositiva è un lampo che arriva e va fotografato quindi si consuma in breve tempo. Anche il fatto di incidere le mie composizioni, sia strumentalmente che vocalmente, in realtà è solo gioia. Il restante 99% viene divorato dalla fase di produzione che seguo nella sua totalità! Sono una persona molto intransigente e questo mi porta a fare la maggior parte del lavoro da solo, a volte commettendo errori certo, ma la maggior parte delle volte che mi sono affidato ad altri non sono riuscito ad avere quello che volevo. Forse non erano le persone giuste…
Hai vissuto e lavorato in contesti internazionali. Quanto ha influenzato il tuo linguaggio artistico?
Se parliamo di linguaggio artistico sicuramente lavorare con Gianni Belleno e Maurizio Salvi degli UT è stata l’esperienza più significativa. Ho attinto molto riguardo la composizione e l’armonizzazione dei cori. Il resto del mio modo di fare musica viene dai miei ascolti più o meno lontani nel tempo.
Qual è il tuo rapporto con il pubblico? Preferisci provocare, emozionare o far riflettere?
Direi un mix fra provocare e riflettere. Emozionare lo spero
ma non è un obbiettivo prefissato diciamo.
Punto molto sull’importanza dei testi e la tematica del brano. Essendo più schietti: la mia musica non nasce per far ballare (ma se succede ben venga) e ancora meno per dare prova di tecnica.
Guardando al futuro: cosa sogni per Alessio Trapella e per ICARO nei prossimi anni?
Come ti dicevo è solo da qualche anno che ho voltato pagina e
mi sono messo a produrre la mia musica. Per ora questo mi basta e mi appaga, ma
certamente se un messaggio importante come quello di ICARO potesse arrivare a
tantissime persone grazie alla mia musica questo sarebbe un trionfo.


