mercoledì 13 novembre 2024

YES-"Fragile": Sì, sì, è il nostro mondo a essere Fragile!


Fragile è il quarto disco degli Yes, pubblicato il 12 novembre del 1971 dalla Atlantic Records. È un album che ha consolidato la reputazione degli Yes come pionieri del rock progressivo, caratterizzato da una combinazione unica di virtuosismo strumentale, composizioni complesse e un'ampia gamma di influenze musicali.

L'album si apre con il celebre brano "Roundabout", un'iconica traccia che rappresenta appieno l'estetica musicale degli Yes. La canzone è un vero e proprio viaggio sonoro, con cambi di tempo intricati, soli di chitarra mozzafiato di Steve Howe, un basso pulsante di Chris Squire e la maestria tastieristica di Rick Wakeman. La voce di Jon Anderson, con il suo timbro unico, si inserisce perfettamente nel contesto, aggiungendo un tocco di magia all'ensemble sonoro complesso e articolato.

"Fragile" contiene anche altre gemme, come "Long Distance Runaround" e "Heart of the Sunrise". La prima è una canzone orecchiabile con un ritmo vivace e melodie accattivanti, mentre la seconda è un'epica traccia di oltre dieci minuti che sfoggia la profondità e la grandezza del sound degli Yes. La sezione strumentale centrale di "Heart of the Sunrise" è notevole, e mette in evidenza le abilità tecniche dei membri della band in un crescendo di energia.

Oltre alle tracce principali, "Fragile" contiene anche delle composizioni strumentali brevi ma significative come "We Have Heaven" e "Mood for a Day", che sottolineano la versatilità degli Yes e la loro capacità di creare brani che vanno oltre le convenzioni del rock tradizionale.

In generale, "Fragile" è un album che ha influenzato numerosi musicisti e ha contribuito a definire il suono del rock progressivo. È un lavoro ricco di dettagli musicali, con ogni membro della band che brilla nel proprio ruolo, creando un insieme coeso e complesso. Le composizioni sono sofisticate e tecnicamente impressionanti, con un uso magistrale dei cambi di tempo e delle dinamiche.

"Fragile" è un album essenziale per gli appassionati di rock progressivo e rappresenta un punto di riferimento nel panorama musicale degli anni '70. La sua influenza e il suo impatto durano ancora oggi, rendendolo un'opera imprescindibile per chiunque voglia esplorare il genere.



Tracce (cliccare sul titolo per ascoltare)


Roundabout (Jon Anderson/Steve Howe) - 8:33

Cans And Brahms (Rick Wakeman)- 1:38

We Have Heaven (Jon Anderson) - 1:40

South Side Of The Sky (Jon Anderson/Chris Squire) - 7:58

Five Per Cent For Nothing (Bill Bruford) - 0:35

Long Distance Runaround (Jon Anderson) - 3:30

The Fish (Schindleria Praematurus) (Chris Squire) - 2:39

Mood For A Day (Steve Howe) - 3:00

Heart Of The Sunrise (Jon Anderson/Chris Squire/Bill Bruford) - 11:27

Il brano Heart Of The Sunrise dura 10:37. Al minuto 10:42, dopo 5 secondi di silenzio, come traccia fantasma si può ascoltare un reprise del brano We Have Heaven. 


Formazione

Jon Anderson: voce

Chris Squire: basso, seconde voci, chitarra elettrica

Steve Howe: chitarra elettrica, chitarra acustica, seconde voci

Rick Wakeman: organo Hammond, pianoforte, Fender Rhodes, clavicembalo, mellotron, sintetizzatore

Bill Bruford: batteria, percussioni


Argomento importante la copertina: per illustrarla utilizzo il commento di Alessandro Pinton che così descrive la descrive (https://legendarycover.it/fragile-yes/)...


Sì, sì, è il nostro mondo a essere Fragile.

La quarta copertina degli Yes è merito di Roger Dean che immagina un bambino mentre sogna il suo pianeta che si rompe come un pezzo di porcellana.

É la prima visione di Dean per la band inglese. Dall’attività onirica del bimbo esce una sfera sospesa in un cielo vaporoso, in movimento, sul punto di esplodere.

E non ci sono dubbi che sia la “nostra” sfera, anche se la forma delle terre non sembra la stessa, perché quale altro pianeta è così Fragile da sgretolarsi come un biscotto?

La linea bianca è una crepa che spacca la Terra in due, una crepa perché Dean percepisce qualcosa di fragile anche nei cinque ragazzi che, insieme, sono la band progressive rock Yes nella sua formazione storica, cinque ragazzi che nel 1971 si conoscono da poche settimane.

Una gigantesca barca alata è sul punto di salpare con molte persone o molti oggetti, come un grosso insetto per un attimo posato a terra prima di spiccare il volo. Chiunque desideri scappare da lì è pregato di salire a bordo. Ultima chiamata.

Nel sogno, il bambino sta usando l’arca per andarsene via prima che tutto sparisca, come avviene nella back cover.

Il bambino non è reale, ma la Terra lo è fin troppo, ed è Fragile, concreta, delicata.

Nel primo disegno di Roger Dean per gli Yes la Terra è paradossale e sproporzionata, con alberi troppo enormi per essere veri e rocce che spuntano dall’oceano come piloni di un pontile sommerso dall’alta marea.

Nella back cover il mondo diventa una palla mangiucchiata dalle termiti, i pezzi si staccano e si disperdono nello spazio.

La nave con i sopravvissuti guarda la scena dall’alto e vediamo che è a forma di pesce, con un lungo tappeto d’accesso e una sorta di paracadute che le permette di restare sospesa nel vuoto.

La fantasia di Roger Dean è meravigliosa e la Terra è Fragile, e del resto sono gli anni ’70, e negli anni ’70 le città stanno esplodendo e i gruppi rock sensibilizzano il loro pubblico, consapevoli del loro potere nei confronti dei fan.

Allora con Fragile gli Yes lanciano il loro grido d’allarme il 12 novembre 1971, per il loro quarto album, come i Led Zeppelin avevano lanciato il loro messaggio l’8 novembre 1971, appena quattro giorni prima, sempre per la copertina del loro quarto lavoro ma in modo molto, molto più subliminale.

Curioso.

Curioso come il rock stia urlando che qualcosa non va nella Terra quando il decennio è appena iniziato ma già sta correndo incontro al consumismo, inglobandolo.

Ma sì, tanto nel nostro pianeta le risorse sono inesauribili. Tanto c’è tempo per rimediare. Certo.

Non deve pensarla così il bambino che fa il sogno da cui nasce questa copertina ma ovviamente nel passato la copertina era un mondo a sé stante, usciva dalla musica e si tuffava nell’album, non lo conteneva soltanto ma sembrava sintesi perfetta di un messaggio, soprattutto nei quartieri rock e dintorni.

Negli anni ’70 questo gioco raggiunge livelli pazzeschi e una copertina non solo è inutile a contenere un disco ma non è mai legata solo a un messaggio fine a sé stesso.

La copertina si spinge sempre oltre l’immagine stessa. Sempre.

Il messaggio ambientale della cover di Fragile riflette il gruppo. Perché Fragile può anche essere una band, il suo equilibrio e la sua psiche.

Dean lo intuisce e così disegna un pianeta dove tutto è grande, troppo grande rispetto al pianeta stesso, perché un gruppo è un mondo isolato e fragile, un pianeta in mezzo ad altri pianeti, in particolare quando il gruppo in questione ha appena cambiato alcune componenti del suo meccanismo.

Il gruppo arriva dal loro primo, grande successo con The Yes Album (febbraio dello stesso anno, gli Yes cavalcano l’onda componendo Fragile in tempo record) e all’indomani del cambio tra Tony Kaye e Rick Wakeman. Due piccole scosse. Una bella, visto il successo, l’altra un po’ destabilizzante visto l’uscita di Kaye.

Una cosa che fa riflettere.

Siamo noi a essere fragili, sembrano dire gli Yes, anche noi lo siamo. Non solo il mondo, ma tutti noi. Basta un niente.

Per questo la copertina di Fragile doveva essere un pezzo rotto di porcellana, uno dei materiali più fragili che esistano.

Era l’idea del gruppo, completamente diversa dal concept di Roger Dean che comunque aggiunge la crepa perché quella copertina aveva sì la sua firma, ma parlano gli Yes.

Un gruppo promettente ma ancora troppo giovane per non sentirsi almeno un po’ Fragile.






martedì 12 novembre 2024

Quel giorno in cui vidi i King Crimson...


Il post di oggi è un pò forzato, nel senso che vorrei raccontare molto ma… non posso!
Il problema è che il 12 novembre del 1973 avevo 17 anni, nessuna macchina fotografica a rimorchio, ne magici apparecchi capaci di captare l’essenza di serata.
In rete non si trovano registrazioni, ne immagini di quel giorno, e posseggo solo il ticket, anzi, lo possiede il mio amico Paolo che me lo ha prestato, perché il mio chissà dove è finito!
Il luogo era il Palasport, la città Torino, l’orario… non lo ricordo, la data certa il 12 novembre e la ricerca sul calendario riporta ad un lunedì… il che mi confonde ancora di più le idee: sarà stata sicuramente sera, e il giorno dopo dovevo certamente andare a scuola…
Dimenticavo… ero a Torino per un concerto, quello dei King Crimson!
Il focus del tour era la proposizione di “Larks' Tongues in Aspic”, rilasciato pochi mesi prima, mi pare a febbraio, un album che io e i miei compagni di viaggio conoscevamo a memoria!
Come scritto poc’anzi, sono risicate le notizie disponibili in rete, e per proporre un brano musicale sono risalito al concerto successivo, quello che Fripp e soci tennero due giorni dopo a Zurigo, contenuto in un doppio CD da collezione.
Il brano che ho inserito è “Easy Money” e la scelta non è casuale.
Ma veniamo agli elementi oggettivi, in primis la line up:

Robert Fripp - Guitar, Mellotron
Bill Bruford - Drums
David Cross - Violin, Mellotron
John Wetton - Bass, Vocal

L’unico elemento utile trovato sul web è la set list:

Larks' Tongues in Aspic, Part One
Peace - A Theme
Cat Food
The Night Watch
Book of Saturday
Easy Money
Improv
Exiles
Fracture
Lament
Improv
The Talking Drum
Larks' Tongues in Aspic, Part Two
21st Century Schizoid Man

Per il resto… ricordo davvero poco, ma mi è rimasta precisa una sensazione di giudizio generale: una freddezza iniziale, una difficoltà nel rompere il ghiaccio ed entrare in sintonia col pubblico e poi un senso di soddisfazione che parte da un determinato momento e prosegue abbinato ad una certa eccitazione: il concerto è finito e confluiamo verso l’uscita, sembra che ci conosciamo tutti, e in effetti le facce da concerto in quei giorni erano familiari. Molti i miei concittadini e con uno di loro mi soffermo a commentare l’esperienza appena vissuta: mi pare fosse Pierangelo e se leggerà questo articolo potrà darmi la conferma.
Mi rivolgo a lui e più o meno gli dico: “Inizio un po’ freddo ma da “Easy Money” in poi tutto è cambiato!”.
Che dire, se dopo tutti questi anni un insignificante particolare mi è rimasto nella testa, beh, è bene conservarlo come documento dell’epoca!
Ma che fortuna aver vissuto quel periodo!


IMMAGINI DI REPERTORIO DEL 1973






lunedì 11 novembre 2024

Bryan Adams: il suo “So Happy It Hurts Tour” fa tappa a Milano (19-11-24)-commento e video

Bryan Adams, una trentina di anni fa, non era certo una priorità musicale della mia vita, e se conosco molte delle sue canzoni è solo per un caso, un fatto che risale al 1992, quando mi ritrovai in un luogo sperduto dell’estremo Oriente e dovetti… “accontentarmi” di ciò che passava il convento, acquistando ciò che era disponibile e “commestibile” nell’unico negozio di dischi esistente.

Sarà l’effetto memoria o più semplicemente il fatto che Adams è un gran musicista, ma molte delle sue song non mi hanno più abbandonato e sono arrivate, anche, alle orecchie di una bambina di 1° media che mi chiedeva di portarla ad un concerto genovese del musicista canadese: eravamo nel 2005 e io negai la felicità a mia figlia con la scusa della scuola da affrontare il giorno dopo. Dal 2005 ad oggi quella ex bambina non ha mai smesso di ricordami quanto fossi stato troppo rigido in quella occasione e, approfittando del concerto del 9 novembre al Forum di Assago, senza dirmi nulla ha comprato un paio di biglietti, solo io e lei, perché era rimasto in sospeso un fatto più importante della musica stessa, e occorreva porre rimedio a quella occasione mancata.

Previste un paio di date italiane per il “So Happy It Hurts Tour”, con una scaletta nutrita spalmata su due ore e mezza di musica.

Credo che uno spettacolo simile debba essere immaginato senza divisioni ideologiche legate al genere musicale.

Rock, romantico e duro, ma sempre rock è, con un sound pazzesco realizzato da professionisti che sanno come infiammare l’audience.

L’emozione sale alle 21 in punto, quando si scaldano i motori e il commento di una voce dietro le quinte accompagna il volo di un’auto gonfiabile che si muove tra le prime file del parterre.

L'Unipol Forum è stracolmo di anime che si faranno sentire per tutta la durata del concerto.

Si parte con l’acceleratore schiacciato e l’emozione e il coinvolgimento sono subito palpabili.

Non entro nei dettagli dei singoli brani, elencati nella scaletta a seguire, ma tutto il repertorio più conosciuto viene proposto senza sosta.

Questa la setlist

 

Kick Ass

Can’t Stop This Thing We Started

Somebody

18 til I Die

Please Forgive Me

One Night Love Affair

Shine a Light

Take Me Back

Kids Wanna Rock

Heaven (in versione upbeat)

Go Down Rockin’

It’s Only Love (con dei frammenti di “The Best” e “What’s Love Got to Do with It”, dedicati a Tina Turner

You Belong to Me (con dei frammenti di “Blue Suede Shoes)

Cloud Number Nine

Rock and Roll Hell (cove dei Kiss)

The Only Thing That Looks Good on Me Is You

Here I Am (versione acustica)

When the Night Comes (versione acustica, cover di Joe Cocker)

When You’re Gone (acustica)

Always Have, Always Will

(Everything I Do) I Do It for You

Back to You

So Happy It Hurts

Run to You

Summer of ’69

Have You Ever Really Loved a Woman?

Cuts Like a Knife

Straight From the Heart (acustica)

Hey Baby (acustica, con frammenti di “Shine a Light”)

All for Love (acustica, cover della canzone cantata in duetto con Rod Stewart

Adams sottolinea la figura di Tina Turner e omaggia Joe Cocker, passando dai brani più melodici ai pezzi dalla elevata dinamicità.

La cosa che più mi ha colpito è l’empatia che l’artista riesce a creare con il suo pubblico, e quando si arriva allo status per cui è il pubblico a cantare in sostituzione dell’artista, beh, questa è roba per pochi!

Sul palco quattro musicisti:

Oltre a Bryan Adams (chitarra, basso, voce), troviamo alla chitarra e voce Keith Scott - con lui del 1981 -, Pat Steward alla batteria e Gary Breit alle tastiere.

La parte più spettacolare riguarda i duetti tra Adams e Scott, ma è la coesione della band che permette la produzione di un sound di enorme potenza.

Bryan Adams e Keith Scott presso la Royal Albert Hall nel 2022

Che dire ancora, un concerto per il cuore, un concerto per la memoria, un concerto per gli affetti… un gran concerto rock!





venerdì 8 novembre 2024

Kennedy Center Honors: cosa accadde per la celebrazione degli WHO nel 2008




I Kennedy Center Honors 2008 e gli Who

 

La 31ª edizione dei Kennedy Center Honors, tenutasi nel 2008, ha rappresentato un momento storico per la musica rock, celebrando due leggende viventi come Pete Townshend e Roger Daltrey. Questo riconoscimento ha sottolineato l'impatto duraturo che la band da loro fondata con John Entwistle e Keith Moon ha avuto sulla cultura musicale e sull'immaginario collettivo.

Per la prima volta, l'evento più sfarzoso di Washington celebrava un leggendario gruppo rock. Insieme ai musicisti George Jones e Barbra Streisand, all'attore Morgan Freeman e alla coreografa Twyla Tharp, l'evento ha quindi reso omaggio agli Who.

Vestiti in formale abito nero, Newt Gringrich, la Segretaria di Stato Condoleeza Rice, Madeleine Albright, la Speaker della Camera Nancy Pelosi, Daniel Patrick Leahey e Patrick Kennedy, hanno percorso il red carpet con Dave Grohl, Jack Black, Rob Thomas, Pete Townshend e Roger Daltrey, che nel corso della giornata avevano fatto la tradizionale visita alla Casa Bianca per una chiacchierata con il Presidente Bush.


Jack Black ha introdotto gli Who, ed è noto il suo amore per il rock.

"Quando avevo dieci anni, mi sono innamorato degli Who", ha detto. "Ho visto Tommy e ne sono rimasto profondamente commosso. Non ero sordo, muto o cieco, ma volevo essere sentito, visto, ascoltato e guarito. Davvero, non sto cercando di far ridere qui... Quando li ho sentiti per la prima volta nel 1979, mi hanno colpito come un siluro nel mio terzo occhio. Era una raccolta di canzoni spaccaculo come non ne vedremo mai più. Ed è ora che ottengano un po' di riconoscimento da urlo".

Dopo la proiezione di un video di presentazione, Joss Stone si è infilata sul palco a piedi nudi cantando "My Generation". Chris Cornell ha intonato "Won't Get Fooled Again" e Bettye LaVette ha cantato "Love Reign O'er Me". 

Quando Dave Grohl è salito sul palco per urlare "Who Are You", il volume era alto e la sala “calda”. 

Rob Thomas ha cantato "Baba O'Riley" che ha regalato una gradita sorpresa quando lo sfondo luminoso e lampeggiante della Union Jack si è aperto per rivelare un esercito di pompieri e poliziotti di New York, gli stessi che avevano partecipato al concerto dell'11 settembre che aveva riunito i membri rimanenti degli Who.

Tradizionalmente, i premiati del Kennedy Center vengono riconosciuti per il loro contributo di una vita alla cultura americana attraverso le arti performative, il che rende unico il fatto che la prima rock band ad essere celebrata sia una band britannica. "È una grande emozione", disse Townshend alla stampa in precedenza. "Da quando gli Who hanno iniziato nei primi anni '60, abbiamo amato la musica e il pubblico americani e abbiamo stretto amicizie profonde e durature con tutti coloro che erano coinvolti nel settore lì. Roger e io sentiamo entrambi che il nostro lavoro negli Stati Uniti è stato importante quanto il nostro lavoro a casa. Poiché la nostra musica rock media è musica tipicamente americana con ampie e profonde radici internazionali e multiculturali, questo onore è particolarmente significativo per noi britannici".

"Da adolescente cresciuto nell'austerità dell'Inghilterra del dopoguerra, è stata la musica che sentivo provenire dall'America a darmi un sogno a cui appendere la mia vita", disse Daltrey. "Fare musica e farla lì. Sono profondamente commosso nel ricevere questo onore, il calore e l'affetto che sento dal nostro pubblico statunitense è davvero umile. Essere aggiunto alla lista dei precedenti vincitori di questo premio rende quel sogno realtà".

Non è noto a tutti, ma gli Who fanno ormai parte della cultura locale, tanto da essere presenti nelle performance delle bande musicali nel corso delle partite di football - tra un tempo e l’altro -, uno sport tipicamente americano.

Gli Who hanno definito un'epoca con la loro musica e le loro performance esplosive e il loro riconoscimento ai Kennedy Center Honors è stato un modo per celebrare questa eredità duratura e il loro impatto sulla musica rock.





giovedì 7 novembre 2024

Il concerto di Steve Hackett a Torino, 5 novembre 2024

Ancora una volta Steve Hackett, ancora una volta Torino, ancora una volta il profumo di Genesis.

Il concerto del 5 di novembre ha avuto per me un sapore speciale, visto che ero accompagnato da alcuni ex ragazzi che con me, sempre a Torino, parteciparono al concerto del 3 febbraio 1974.

Nei giorni precedenti l’evento avevo letto un po’ di sciocchezze legate al tour in corso, che affibbiavano alla band il ruolo di “cover band di lusso dei Genesis”… occorre fare i conti con la realtà e ringraziare chi ancora riesce a regalare emozioni così forti.

Come sempre gentilissimo, Steve e la moglie Jo salutano i conoscenti un’ora prima dello show, ed è quella l’occasione in cui si scambiano domande di rito e si realizza di avere il privilegio di essere a fianco di una leggenda vivente.

Ma oltre le emozioni che riportano all’adolescenza, sono lì per un concerto, un grande spettacolo in tutti i sensi, perché due ora e mezza di sonorità così impegnative non potevano avere un risultato scontato.

Conoscevo già la set list ed ero quindi preparato ad una precisa dicotomia tra l’estremo passato e l’Hackett solista; come me molti altri, tutti ansiosi di sentire il lato B, quello in cui trovare pieno conforto per effetto di trame conosciute; a conti fatti, la grandezza di questa band - non certo una novità - ha permesso ai meno radicati nel passato di godersi un gran concerto.

Oltre a Steve - chitarra e voce-on stage c’erano Roger King alle tastiere, Nad Sylvan alla voce, Jonas Reingold basso e backing vocals, Rob Townsend al sax, flauti, tastiere aggiuntive e Craig Blundell alla batteria.

Anche per ciò che riguarda i singoli componenti ho letto varie critiche a Sylvan, per la sua staticità, per il suo … “non essere Gabriel”, ma a me piace molto, e per proporre il repertorio dei Genesis non occorre rincorrere i colori vocali che abbiamo immagazzinato da lustri.

Ho apprezzato particolarmente il lavoro di Reingold, uno che col basso potrebbe suonare Beethoven e Mozart facendo dimenticare che lui è parte di una sezione ritmica!

Ma come diceva qualcuno “è la somma che fa il totale”, e ciò che arriva al pubblico… a me in particolare, è un suono coeso, realizzato da interpreti stellari che riescono a toccare le corde della memoria.

La prima parte dunque riguarda i successi da solista di Steve che propone…

 

PRIMA PARTE (i successi da solista):

People of the Smoke

Circo Inferno

These Passing Clouds

The Devil’s Cathedral

Every Day

A Tower Struck Down

Bass Solo

Camino Royale

Shadow of the Hierophant

Il Teatro Colosseo è sold out; il pubblico, non solo quello antico, attende di rivivere la solita magia che accompagna i successi conosciuti della band, ma non si può rimanere indifferenti al cospetto di tale perfezione esecutiva, di un’armonia sonora che è solo in parte dovuta al virtuosismo.

Ho captato un commento che più o meno diceva: “Questa è la musica di qualità!”, giudizio impegnativo e personale, ma che ben sintetizza il sentimento comune.

E arriva l’intervallo, 15/20 minuti per ricaricare le batterie e ripartire col seguente programma:


SECONDA PARTE (i successi con i Genesis):

The Lamb Lies Down on Broadway

Fly on a Windshield

Broadway Melody of 1974

Hairless Heart

Carpet Crawlers

The Chamber of 32 Doors

Lilywhite Lilith

The Lamia

it

Dancing With the Moonlit Knight

The Cinema Show

Aisle of Plenty

BIS:

Firth of Fifth

Assolo di batteria di Craig Blundell

medley: Los Endos / Slogans / Los Endos


La denominazione del tour, "Genesis Greats, Lamb Highlights & Solo" era di per sé icastica dell’intero programma, ma non sono mancate alcune gemme al contorno, soprattutto quelle che tutti si aspettano e che riportano a “Selling England By The Pound”.

È Hackett che commenta la set list…

Inutile negarlo, arrivati nella confort zone i brividi alla schiena si moltiplicano, la musica azzera il tempo lasciato alle spalle e diventa “responsabile” di un meraviglioso stato emozionale che proseguirà, as usual, dopo il concerto.

Tutti in piedi alla fine, tutti entusiasti, consci probabilmente di aver partecipato ad un evento unico, di quelli da mettere nel carnet dei bei momenti vissuti, magari in compagnia, con accanto qualcuno che, da adolescente, partì in treno in gruppo, da Savona, per andare a vedere i Genesis nel capoluogo torinese: era un lunedì, pioveva, e il giorno dopo saremmo andati a scuola!

Un medley per ricordare…






Joni Mitchell e il suo brano simbolo, "Both Sides, Now"

 


A proposito di canzoni senza tempo…

 

Both Sides, Now è una canzone di Joni Mitchell: registrata per la prima volta da Judy Collins, apparve nella classifica dei singoli statunitensi durante l'autunno del 1968. L'anno successivo fu inclusa nell'album “Clouds”, della Mitchell, e divenne una delle sue canzoni più conosciute. Da allora è stata registrata da dozzine di artisti, tra cui Dion nel 1968, Clannad con Paul Young nel 1991, e la stessa Mitchell che ha ri-registrato la canzone con un arrangiamento orchestrale nel suo album del 2000 Both Sides Now.

Nel 2004, Rolling Stone ha classificato "Both Sides, Now" al numero 170 nella sua lista delle 500 migliori canzoni.

Joni Mitchell ha detto che "Both Sides, Now" è stato ispirato da un passaggio di “Henderson the Rain King”, un romanzo del 1959 di Saul Bellow.

“Stavo leggendo ... “Henderson the Rain King”, su un aereo e all'inizio del libro… anche Henderson era in aereo. In viaggio verso l'Africa, guarda giù e vede queste nuvole. Ho posato il libro, ho guardato fuori dalla finestra e anche io ho visto delle nuvole, e ho subito iniziato a scrivere la canzone. Non avevo idea che sarebbe diventata così popolare.”

La celebrazione della fragilità umana e della giovinezza perduta, una vita racchiusa dentro una canzone che ancora oggi sconcerta e intimidisce. Una lirica che riflette il disagio per certe decisioni prese dopo il fallimento del primo matrimonio e dopo la sua decisione di dare la figlia in adozione.

"Both Sides, Now" appare nell'album "Joni Mitchell: Live at the Second Fret 1966" (2014, All Access Records, AACD0120), una performance dal vivo il 17 novembre 1966, al The Second Fret a Philadelphia, che è stata trasmessa in diretta da WRTI, la stazione radio della Temple University. Ciò suggerisce che Mitchell abbia scritto la canzone prima del 1967 (l'anno di composizione citato nell'articolo del Los Angeles Times sopra) e precede la prima pubblicazione di Judy Collins nel 1967.

"Both Sides, Now" è scritta in fa diesis maggiore. Mitchell ha usato un'accordatura della chitarra D-A-D-F#-A-D con un capotasto al quarto tasto. La canzone utilizza una progressione di accordi I-IV-V modificata.

Mitchell ha ri-registrato la canzone in modo lussureggiante e orchestrato per il suo album del 2000 “Both Sides Now” e ha fatto vincere all'arrangiatore Vince Mendoza un Grammy Award per il miglior arrangiamento strumentale che accompagna i cantanti.

Nell'aprile 2000, due mesi dopo l'uscita dell'album, Mitchell ha cantato la canzone con un'orchestra di 70 elementi alla fine di una celebrazione all-star a lei dedicata all'Hammerstein Ballroom di New York City.

La versione del 2000 viene suonata durante una scena emozionante con Emma Thompson nel film del 2003 “Love Actually”.

Il brano è stato anche proposto durante la cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali del 2010.

Il testo originale e tradotto è fruibile a fine articolo.

L'album del 2000 è un concept che traccia il progresso delle relazioni moderne attraverso l'interpretazione orchestrale della Mitchell di alcune classiche canzoni jazz. Nell'album trovano posto anche due composizioni originali della Mitchell: Both Sides Now e A Case of You. Gli arrangiamenti e la conduzione dell'orchestra sono di Vince Mendoza.

L'album ha vinto due Grammy Awards nel 2001 come Best Traditional Pop Vocal Album e Best Instrumental Arrangement Supporting Vocalis per la canzone "Both Sides Now" e un Juno Award come Vocal Jazz Album of the Year.

Ma veniamo a tempi più recenti.

Il 24 luglio 2022 Joni Mitchell è salita sul palco del Newport Folk Festival, dove mancava dal 1969, per uno show non annunciato, il suo primo spettacolo di lunga durata dal 2000 a oggi, quando decise di non effettuare più vere e proprie tournée.

Un festival storico, che ha visto nascere leggende come Bob Dylan e Joan Baez e che è stato quindi testimone del grande ritorno di Joni Mitchell.

La cantautrice canadese, che nel 2015 era stata colpita da un grave aneurisma, ha regalato una grandissima emozione a tutti i suoi fan, dopo oltre vent'anni di lontananza dalle scene e a 53 anni dalla sua precedente esibizione nella rassegna che si tiene ogni anno nella cittadina statunitense del Rhode Island.

Joni, classe 1943, è salita sul palco a metà di un set di Brandi Carlile e ha mostrato fin da subito il suo carisma e la sua classe senza eguali.

Seduta su un 'trono', la cantante ha presentato 13 brani del suo grande repertorio e ha commosso il pubblico e i “colleghi on stage con il suo brano simbolo, “Both sides now”.

Tutto all'insegna di un'idea: ricreare i famosi "Joni Jams", gli incontri informali avvenuti fra musicisti di grande livello, nella casa di Joni Mitchell a Los Angeles. Una iniziativa presa dopo la malattia che l’aveva colpita, lasciandola praticamente paralizzata e incapace di parlare. Da quell'evento così drammatico, sono però nate queste riunioni: da Carlile a Elton John, da Herbie Hancock a Bonnie Raitt, in tanti si sono ritrovati attorno all'artista, per scambiarsi canzoni e storie.

Impossibile restare indifferenti...

 

Rows and flows of angel hair

And ice cream castles in the air

And feather canyons every where

I've looked at clouds that way 

Strisce e cascate di capelli d'angelo

e castelli fatti di gelato nell'aria

e canyon fatti di piume per ogni dove

Io vedevo in questo modo le nuvole

 

But now they only block the sun

They rain and snow on everyone

So many things I would have done

But clouds got in my way 

Ma ora stanno solo oscurando il sole

fanno cadere pioggia e neve su tutti noi

Così tante cose vorrei aver fatto

ma le nuvole si sono messe sulla mia strada

 

I've looked the clouds from both sides now

From up and down and still somehow

It's cloud's illusions I recall

I really don't know clouds at all 

Ormai ho guardato le nuvole da entrambi i lati / da sotto e da sopra e ancora in qualche altro modo

Sono le illusioni delle nuvole ciò che ricordo

In realtà non conosco affatto le nuvole

 

Moons and Junes and ferries wheels

The dizzy dancing way that you feel

As every fairy tale comes real

I've looked at love that way 

Lune di giugno e ruote a pale di ferry-boat / il ritmo vorticoso e danzante che senti tuo

quando ogni fiaba diventa realtà

In questo modo vedevo l'amore

 

But now it's just another show

you leave 'em laughing when you go

And if you care, don't let them know

Don't give yourself away 

Ma ora è tutto un altro spettacolo

li lasci ridere quando te ne vai

E se ti interessa, non farglielo sapere

Non (devi) dar via te stessa

 

I've looked at love from both sides now

From give and take and still somehow

It's love's illusions that I recall

I really don't know love

Really don't know love at all 

Ormai ho guardato l'amore da entrambi i lati / prendere lasciare e ancora in qualche altro modo

Sono le illusioni dell'amore ciò che ricordo

In realtà non conosco affatto l'amore

 

Tears and fears and feeling proud

To say, "I love you" right out loud

Dreams and schemes and circus crowds

I've looked at life that way 

Lacrime e paure e sentirsi orgogliosi

Dire decisi "Ti amo" ad alta voce

Sogni e progetti e folle da circo

Ho guardato alla vita in quel modo

 

Oh, but now old friends they're acting strange

And they shake their heads, they say I've changed,

well something's lost, but something's gained

In living every day

Oh, ma ora i vecchi amici si comportano in modo strano

E scuotono la testa, dicono che sono cambiata

Beh, qualcosa è andato perso, ma qualcosa si è guadagnato / nel vivere ogni giorno

 

I've looked at life from both sides now

From win and lose and still somehow

It's life's illusions I recall

I really don't know life at all 

Ormai ho guardato la vita da entrambi i lati / vincere o perdere e ancora in qualche altro modo

Sono le illusioni della vita ciò che ricordo

In realtà non conosco affatto la vita

 

It's life's illusions that I recall

I really don't know life

I really don't know life at all 

Sono le illusioni della vita ciò che ricordo

In realtà non conosco la vita

In realtà non conosco affatto la vita