venerdì 19 gennaio 2024

Michael Pergolani: "Solitude-23 piccoli blues metropolitani"


 

Alla fine del 2023 Michael Pergolani ha rilasciato un nuovo libro che segue la biografia “Nudo”, di cui avevo scritto in questo spazio nel 2022.

L’autore abbandona il suo originalissimo modo espositivo e propone ora una grammatica tradizionale, giacché il lavoro precedente nasceva dall’esigenza di lasciar fluire il racconto, con impeto e coraggio, e alcune delle convenzioni a cui tutti ci adeguiamo nel quotidiano - come l’utilizzo delle lettere maiuscole quando richiesto - avrebbero rappresentato paletti da superare faticosamente, così come il mantenimento della consequenzialità temporale. Il nuovo progetto, essendo la summa di differenti storie, potrebbe non aver avuto bisogno di un fiume di pensieri in divenire.

Esiste un link tra il pregresso e l’attualità? Questa domanda è tra le più frequenti tra quelle che propongo ai musicisti all’uscita di un nuovo album, ma in questo caso arriverò ad una possibile risposta dopo un minimo di commento a Solitude-23 piccoli blues metropolitani”.

Vorrei soffermarmi sul concetto di “blues” - “Solitude” è il titolo di un brano blues cantato da Billie Holiday - che emerge dalla lettura, solitamente associato esclusivamente ed erroneamente ad un genere musicale: scambiare una etichettatura sonora con un modo preciso di condurre la vita, scelto o subito, mi pare un discreto errore.

Le fondamenta concettuali si aggrappano ad una storia infinita, fatta di sangue, sudore e fatica, un viaggio che parte dalle radici africane per approdare ad Harlem, un percorso senza tempo tra il Mississippi e New Orleans, tra la madre Africa e le scale antincendio dei vecchi fabbricati di New York tanto cari a Woody Allen e Spike Lee.

Le storie di blues raccontano il malessere, più o meno conscio, quello sempre in crescita nonostante l’evoluzione dei tempi, un caleidoscopio di disagio e resilienza mitigato da attimi di luce, e quando nasce l’illusione che possa esistere un confortevole inverno della vita, quello in cui gli spigoli taglienti vengono ammorbiditi da una spessa coltre di neve, ecco che subito dopo ritorna la primavera, e i metalli acuminati riemergono, ferendo chi ne viene a contatto, senza particolari distinzioni, in modo quasi democratico.

Ho sofferto leggendo “Solitude”, e mi sono chiesto quanta parte dei racconti sia stata vissuta, anche in modo collaterale, da Pergolani, quanto sia invenzione, quanto “sentito dire” e quanto sia miscela tra leggenda metropolitana e fantasia, ma la mia esperienza scritturale - e di vita - mi porta a pensare che in ogni pagina, anche quella più carica di elementi “impossibili”, esista un collegamento personale.

Alcune “immagini” sono molto forti, di quelle che potrebbero essere giudicate inadatte ad una lettura incondizionata, ma non ho trovato una ricercata volontà di stupire, piuttosto di abbinare un sapiente e unico modus scritturale a esperienze di vita vissuta che, anche se fossero forzate, troverebbero personaggi corrispettivi nella realtà, quella che in alcuni casi supera di gran lunga la fantasia.

Esistono temi comuni che pongono l’accento su sesso e droga - meno sul rock n’ roll - e in alcuni casi si fa fatica ad immaginare come possano essere vere situazioni di disagio - e di delirio - così spinte; in taluni casi il finale riamane open, quasi a spingere il lettore ad indovinare la fermatura del cerchio o ad inventare una propria chiusura auspicata.

Come già sottolineato, ho sofferto nel corso della lettura, ma non credo sia questo l’obiettivo del “diabolico” Michael, e allora ho elaborato una mia idea balzana, quella che un tale urlo di dolore, associato a fatti e circostanze disegnate con precisione, avrebbe potuto essere scritto anche un lustro… due lustri fa, ma è solo questo il momento in cui è possibile prendere coscienza che le nostre strade possono prendere direzioni così drammatiche e forse inaspettate, e se i sentieri pericolosi e dannati riguardano chi ci circonda, chiudere la porta di casa e cercare la propria comfort zone, riporterà al manuale del comportamento standard.

C’è un momento giusto per tutto, e questo è, probabilmente, perfetto per “Solitude” e il suo autore.

Il centro del mondo, delle 23 storie è Roma, la metropoli piena di storia e storie, di ricordi e aneddoti, una delle città di Pergolani, ma il suo girovagare tra parole e situazione avrebbe potuto trovare un qualsiasi altro sfondo, la provincia racchiude segreti che, una volta emersi, potrebbero far rabbrividire qualsiasi cittadino metropolitano.

Mi piacerebbe riportare alcuni passaggi, ma non vorrei anticipare i contenuti, anche se la quarta di copertina apre la porta al progetto.

Scelgo però un racconto positivo, almeno nella mia lettura, il titolo è “Meccanico di pianoforti”.

Due diverse solitudini che si incontrano, due differenti ceti sociali che trovano il contatto, un uomo e una donna come tanti, sufficientemente giovani per poter pianificare un qualsiasi futuro.

Lui, un lavoro anomalo, fatto di precisione, passione e dedizione, in giro, casa dopo casa, anima dopo anima, in continuo contatto con chi apprezza o sottovaluta il suo operato. Solo con il suo cane, ma amabile, pragmatico e pignolo sul lavoro: riparare un pianoforte non è roba per tutti.

Lei una benestante, apparentemente distante dall’uomo che mette mano al suo Steinway del 1927, comprato a New York dal nonno, concertista e amico fraterno di Stravinskij. Insomma, non si parla di una famiglia qualsiasi!

Ma l’agio, la ricchezza e vita borghese, non possono nascondere una forte solitudine, quella che tocca entrambi i protagonisti, tra il girovagare di casa in casa di Luigino (il suo metro e sessantasei non gli avevano mai permesso di abbattere il diminutivo) e le sedute psicoanalitiche di Letizia.

Una serie di visite infinite per una manutenzione ad libitum, per moltiplicare gli incontri, per riprovare il piacere della semplice convivialità, in attesa che qualcosa di più potente possa emergere.

Evito azioni di spoileraggio e mi fermo qui…

Esco per un attimo dalla logica del commento ed estrapolo alcune righe, prese dallo stesso racconto, perché sono la perfetta sintesi di ciò che avevo da sempre dentro ma… non sono mai riuscito ad esprimere in modo efficace.

Evidenzio che sono ligure e che ho lavorato per oltre venti anni per una compagnia francese.

Negli anni Luigino si era fatto la convinzione che i francesi fossero un po’ come i genovesi, un po’ stitici negli affetti come nelle questioni di interesse, un po’ con la puzza sotto il naso, un po’ fanatici di quella grandeur che in realtà era bella che tramontata, e anche un po’ falsi. Falsa la loro nonchalance, falsi i loro sorrisi, false le parole che pronunciavano incontrandoti, perché quasi sempre di circostanza, pescate da un galateo cortigiano, come se vivessero ancora alla corte del Re Sole. Non si fidava dei francesi.”

Ritorno alla domanda già posta, esiste un link tra il pregresso e l’attualità? Cosa lega “Nudo” a “Solitude”?

Se nel primo caso il punto di osservazione è dichiaratamente proveniente dall’interno, nel secondo esiste un cannocchiale piazzato nel palazzo di fronte, e chi lo utilizza, 24 ore al giorno, non perde un solo secondo degli avvenimenti che caratterizzano la vita del condominio opposto; non solo registra ogni passaggio, ma si prodiga nell’elaborarlo, semplificarlo, chiarirlo, per fornire testimonianze che possano presentare una realtà che, in taluni casi, mi è apparsa sconvolgente.

Una lettura che, significati a parte, scorre, a tratti pare un noire, a volte risulta spiazzante, altre richiamerebbe un ulteriore intervento autorale.

Un modo di scrivere, crudo, diretto, forte e molto pulp: è questa la cifra stilistica di Michael Pergolani, che a questo punto, dimenticato tutto il suo passato, vorrei definire solo come scrittore, un grande autore!