Alla fine del 2023 Michael Pergolani ha
rilasciato un nuovo libro che segue la biografia “Nudo”, di cui
avevo scritto in questo spazio nel 2022.
L’autore abbandona il suo
originalissimo modo espositivo e propone ora una grammatica tradizionale, giacché
il lavoro precedente nasceva dall’esigenza di lasciar fluire il racconto, con
impeto e coraggio, e alcune delle convenzioni a cui tutti ci adeguiamo nel
quotidiano - come l’utilizzo delle lettere maiuscole quando richiesto - avrebbero
rappresentato paletti da superare faticosamente, così come il mantenimento della
consequenzialità temporale. Il nuovo progetto, essendo la summa di differenti
storie, potrebbe non aver avuto bisogno di un fiume di pensieri in divenire.
Esiste un link tra il
pregresso e l’attualità? Questa domanda è tra le più frequenti tra quelle che
propongo ai musicisti all’uscita di un nuovo album, ma in questo caso arriverò
ad una possibile risposta dopo un minimo di commento a “Solitude-23 piccoli blues metropolitani”.
Vorrei soffermarmi sul
concetto di “blues” - “Solitude” è il titolo di un brano blues cantato
da Billie Holiday - che emerge dalla lettura, solitamente associato esclusivamente
ed erroneamente ad un genere musicale: scambiare una etichettatura sonora con
un modo preciso di condurre la vita, scelto o subito, mi pare un discreto errore.
Le fondamenta concettuali si
aggrappano ad una storia infinita, fatta di sangue, sudore e fatica, un viaggio
che parte dalle radici africane per approdare ad Harlem, un percorso senza
tempo tra il Mississippi e New Orleans, tra la madre Africa e le scale
antincendio dei vecchi fabbricati di New York tanto cari a Woody Allen e Spike
Lee.
Le storie di blues
raccontano il malessere, più o meno conscio, quello sempre in crescita
nonostante l’evoluzione dei tempi, un caleidoscopio di disagio e resilienza mitigato
da attimi di luce, e quando nasce l’illusione che possa esistere un
confortevole inverno della vita, quello in cui gli spigoli taglienti vengono
ammorbiditi da una spessa coltre di neve, ecco che subito dopo ritorna la
primavera, e i metalli acuminati riemergono, ferendo chi ne viene a contatto,
senza particolari distinzioni, in modo quasi democratico.
Ho sofferto leggendo “Solitude”,
e mi sono chiesto quanta parte dei racconti sia stata vissuta, anche in modo
collaterale, da Pergolani, quanto sia invenzione, quanto “sentito dire” e quanto
sia miscela tra leggenda metropolitana e fantasia, ma la mia esperienza
scritturale - e di vita - mi porta a pensare che in ogni pagina, anche quella
più carica di elementi “impossibili”, esista un collegamento personale.
Alcune “immagini” sono molto
forti, di quelle che potrebbero essere giudicate inadatte ad una lettura
incondizionata, ma non ho trovato una ricercata volontà di stupire, piuttosto di
abbinare un sapiente e unico modus scritturale a esperienze di vita vissuta
che, anche se fossero forzate, troverebbero personaggi corrispettivi nella
realtà, quella che in alcuni casi supera di gran lunga la fantasia.
Esistono temi comuni che
pongono l’accento su sesso e droga - meno sul rock n’ roll - e in alcuni casi si
fa fatica ad immaginare come possano essere vere situazioni di disagio - e di
delirio - così spinte; in taluni casi il finale riamane open, quasi a spingere
il lettore ad indovinare la fermatura del cerchio o ad inventare una propria
chiusura auspicata.
Come già sottolineato, ho
sofferto nel corso della lettura, ma non credo sia questo l’obiettivo del “diabolico”
Michael, e allora ho elaborato una mia idea balzana, quella che un tale urlo di
dolore, associato a fatti e circostanze disegnate con precisione, avrebbe
potuto essere scritto anche un lustro… due lustri fa, ma è solo questo il
momento in cui è possibile prendere coscienza che le nostre strade possono
prendere direzioni così drammatiche e forse inaspettate, e se i sentieri
pericolosi e dannati riguardano chi ci circonda, chiudere la porta di casa e
cercare la propria comfort zone, riporterà al manuale del comportamento
standard.
C’è un momento giusto per
tutto, e questo è, probabilmente, perfetto per “Solitude” e il suo autore.
Il centro del mondo, delle
23 storie è Roma, la metropoli piena di storia e storie, di ricordi e aneddoti,
una delle città di Pergolani, ma il suo girovagare tra parole e situazione
avrebbe potuto trovare un qualsiasi altro sfondo, la provincia racchiude
segreti che, una volta emersi, potrebbero far rabbrividire qualsiasi cittadino
metropolitano.
Mi piacerebbe riportare
alcuni passaggi, ma non vorrei anticipare i contenuti, anche se la quarta di
copertina apre la porta al progetto.
Scelgo però un racconto
positivo, almeno nella mia lettura, il titolo è “Meccanico di pianoforti”.
Due diverse solitudini che
si incontrano, due differenti ceti sociali che trovano il contatto, un uomo e
una donna come tanti, sufficientemente giovani per poter pianificare un
qualsiasi futuro.
Lui, un lavoro anomalo,
fatto di precisione, passione e dedizione, in giro, casa dopo casa, anima dopo anima,
in continuo contatto con chi apprezza o sottovaluta il suo operato. Solo con il
suo cane, ma amabile, pragmatico e pignolo sul lavoro: riparare un pianoforte
non è roba per tutti.
Lei una benestante, apparentemente
distante dall’uomo che mette mano al suo Steinway del 1927, comprato a New York
dal nonno, concertista e amico fraterno di Stravinskij. Insomma, non si parla
di una famiglia qualsiasi!
Ma l’agio, la ricchezza e vita
borghese, non possono nascondere una forte solitudine, quella che tocca
entrambi i protagonisti, tra il girovagare di casa in casa di Luigino (il suo
metro e sessantasei non gli avevano mai permesso di abbattere il diminutivo) e
le sedute psicoanalitiche di Letizia.
Una serie di visite infinite
per una manutenzione ad libitum, per moltiplicare gli incontri, per riprovare
il piacere della semplice convivialità, in attesa che qualcosa di più potente
possa emergere.
Evito azioni di spoileraggio
e mi fermo qui…
Esco per un attimo dalla
logica del commento ed estrapolo alcune righe, prese dallo stesso racconto,
perché sono la perfetta sintesi di ciò che avevo da sempre dentro ma… non sono
mai riuscito ad esprimere in modo efficace.
Evidenzio che sono ligure e
che ho lavorato per oltre venti anni per una compagnia francese.
“Negli anni Luigino si era fatto la convinzione che i francesi fossero un po’ come i genovesi, un po’ stitici negli affetti come nelle questioni di interesse, un po’ con la puzza sotto il naso, un po’ fanatici di quella grandeur che in realtà era bella che tramontata, e anche un po’ falsi. Falsa la loro nonchalance, falsi i loro sorrisi, false le parole che pronunciavano incontrandoti, perché quasi sempre di circostanza, pescate da un galateo cortigiano, come se vivessero ancora alla corte del Re Sole. Non si fidava dei francesi.”
Ritorno alla domanda già
posta, esiste un link tra il pregresso e l’attualità? Cosa lega “Nudo” a “Solitude”?
Se nel primo caso il punto
di osservazione è dichiaratamente proveniente dall’interno, nel secondo esiste
un cannocchiale piazzato nel palazzo di fronte, e chi lo utilizza, 24 ore al giorno,
non perde un solo secondo degli avvenimenti che caratterizzano la vita del
condominio opposto; non solo registra ogni passaggio, ma si prodiga nell’elaborarlo,
semplificarlo, chiarirlo, per fornire testimonianze che possano presentare una
realtà che, in taluni casi, mi è apparsa sconvolgente.
Una lettura che, significati
a parte, scorre, a tratti pare un noire, a volte risulta spiazzante, altre
richiamerebbe un ulteriore intervento autorale.
Un modo di scrivere, crudo,
diretto, forte e molto pulp: è questa la cifra stilistica di Michael Pergolani,
che a questo punto, dimenticato tutto il suo passato, vorrei definire solo come
scrittore, un grande autore!