FABIO ROSSI
IL CAMPANILE
e altre storie
(il CUSCINO di
STELLE)
Fabio
Rossi è conosciuto in ambito musicale
per la sua scrittura/pubblicazione di saggi legati al mondo generico del rock,
e non entro nello specifico essendo i suoi amori variegati, tra metal, prog e
blues, tanto per citare i generi di riferimento.
Avendolo conosciuto, non solo
virtualmente, mi sono sempre chiesto - ma ho tenuto per me il pensiero - se il
suo iperattivismo propositivo fosse fatto caratteriale o se dietro alla
dinamicità spinta esistessero altre motivazioni.
Il suo nuovo libro, “II CAMPANILE e altre storie”, mi ha fornito,
forse, una nuova chiave di lettura, non solo legata ad un DNA da cui non ci si
può allontanare.
In questo caso la musica c’entra
marginalmente, resta in sottofondo se non quando alcuni capitoli specifici evidenziano la partecipazione a grandi concerti, ma il racconto ha un fine diverso dalla descrizione di una
performance, perché funzione del percorso che sintetizza la vita dell’autore.
Un contenitore diviso in due
parti, la prima estremamente personale e dolorosa, mentre la seconda snocciola
racconti altrettanto… formativi.
Onestamente, prima della lettura,
mi sono chiesto la motivazione di un allontanamento dal filone di riferimento,
un iter solitamente specifico che riconduceva in ogni occasione ad una band/artista/genere,
mentre ora il buon Fabio metteva sul piatto la propria vita, non
necessariamente interessante. Che si sia montato la testa?
Niente di tutto questo, anzi,
direi che a questo punto del sentiero saggistico “IL CAMPANILE… “cade a
fagiolo, diventando didattica pura, insegnamento, portatore di speranza,
esempio, oltre ovviamente a definire in toto il “personaggio”, la cui evidente
voglia di vivere è probabilmente frutto della sofferenza e dell’aver visto in
concreto il fondo dell’abisso.
Fabio ha sconfitto in modo eroico
una brutta malattia, anzi, LA MALATTIA.
Non conosco famiglia baciata da
Dio - che in questo caso si dimostra molto “democratico” e lascia che il cancro
colpisca in ogni dove - che possa ignorare l’argomento, e ovviamente parlo per
esperienza diretta.
Prendersela col Signore è una
esagerazione dialettale, tanto per non sfuggire ai tanto cari luoghi comuni, ma resta la
sostanza, ovvero qualcosa con cui tutti abbiamo avuto a che fare, quasi sempre
con lo stesso drammatico risultato.
Super Fabio no, è più forte di
ogni disgrazia, e qui probabilmente il carattere risulta fondamentale, senza dimenticare il calore del nucleo famigliare, quegli affetti che rappresentano quasi sempre un porto sicuro in cui attraccare per trovare il giusto riparo e la cura del caso.
La descrizione minuziosa delle
sue giornate dopo aver appreso di avere un cancro maligno, le cure giornaliere,
le battaglie col professionista di turno, le conoscenze, le amicizie cementate dalla
comune tragedia… tutto coinvolge il lettore, e alla fine, oltre allo sgomento,
all’aver scoperto che il ridente e gioioso Fabio è tale, forse, per aver visto
l’inferno ed essere tornato in terra, resta uno stato d’animo che si prova solo
nei momenti di grande illuminazione, quella sensazione che i giganteschi disagi
oggetto delle lamentele quotidiane siano in realtà piccola cosa rispetto al
dolore vero, quello che capita di provare nel corso di una vita che, da
qualunque angolazioni la si guardi, è sempre troppo breve, una strada lastricata da macigni
da superare a piedi nudi.
Come scrivevo, non solo immagini
reali ma suggerimenti, quelli che derivano dal comportamento di chi “ci è
passato”, e non svelerò quindi un iter che va gustato pagina dopo pagina, anticipando
solo il ruolo del “campanile”, quello della chiesa di San Felice da Cantalice,
nella provincia di Rieti, luogo natio del padre dell’autore e luogo di vacanza
nel periodo della spensieratezza giovanile, un’immagine dimostratasi salvifica
nei momenti di estremo sgomento, quando idealizzare il luogo e il momento dell’antica
felicità risultò fondamentale per il superamento del dolore, fisico e
psicologico.
Si può quindi uscire dal
labirinto senza uscita in cui si pensa di essere caduti quando la malattia colpisce
senza pietà?
Dice Rossi: “Una volta entrati non si esce più, ma occorrono fede e forza d’animo, quelle non mi mancano, e lotterò sempre fino a quando potrò!”.
La seconda parte del book è
intitolata “RACCONTI”, tanti piccoli eventi che ci riportano alla
vita di Fabio, delineando maggiormente l'uomo, con la possibilità di
confortare il concetto che “il destino ha strade che non si possono cambiare”,
con la sensazione netta che il nostro sentiero sia condizionato da elementi che
non sono sotto il nostro controllo.
Sono da leggere tutti, e tutti
regaleranno qualcosa, ma… arrivato all’ultimo episodio, quello denominato “ANDROMEDA,
di Concetta di Palma (testo revisionato da Fabio Rossi) mi sono chiesto
inizialmente il motivo di una storia prodotta da terzi: omaggio? Riempitivo?
Favore? Certamente qualcosa che vale la pena di raccontare e leggere ma… che ci
azzecca?
Ma nulla è lasciato al caso,
tutti i cerchi si chiudono in “casa Rossi”, ed è stato grande lo stupore
provato quando lo svolgimento della lettura mi ha portato piano piano verso la
comprensione; ma per poter capire che cosa io intenda occorre… comprare il
libro, un po'di suspence appare necessaria!
Estrapolo una frase, molto
semplice, che mi è molto piaciuta perché mi accomuna maggiormente a Fabio:
“Oggi il bar non c’è
più, ma la Madonnina sta sempre lì a ricordarmi, ogni volta che la vedo, la
magia di quei giorni. Quanto mi manca quell’atmosfera… quanto mi mancano gli
anni Settanta, quanto mi manchi papà!”
La vita fugge via in un istante,
ieri camminavamo tenendo la mano di nostri genitori e oggi…
Ma farlo capire ad un giovane
resta azione utopica, e forse è giusto che si così!
Un plauso a Fabio Rossi, che da
oggi guarderò con occhi nuovi!